CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 13 gennaio 2010, n.368 DIVISIONE EREDITARIA E COLLAZIONE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 737 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver escluso che la domanda di collazione di donazioni da essi proposta potesse riguardare anche la successione di M. N. in quanto quest’ultimo aveva lasciato la moglie quale erede universale, cosicché nessuna comunione ereditaria, presupposto imprescindibile della collazione ai fini della divisione, si era creata tra madre e figli; i ricorrenti sostengono che tale scissione della posizione dei due donanti è impropria, e che l’affermata dipendenza della collazione dall’azione di riduzione è estranea al sistema delineato dal codice civile.

La censura è infondata.

Deve premettersi come elemento pacifico in causa che M. N. aveva istituito quale sua unica erede la moglie L. T., e che i figli, legittimari pretermessi, non avevano agito in riduzione delle disposizioni testamentarie per la reintegrazione della quota di riserva; sulla base di tali elementi correttamente il giudice di appello, attesa l’insussistenza di una comunione ereditaria conseguente alla successione di M. N. ha escluso l’operatività della collazione, che presuppone un asse ereditario attribuito congiuntamente agli eredi e da dividere tra di essi.

Ed invero, considerato che il legittimario totalmente pretermesso dall’eredità acquista la qualità di erede solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione (Cass. 15.6.2006 n. 13804; Cass. 29.5.2007 n. 12496), è evidente che i figli di M. N. non avevano acquisito la qualità di eredi di quest’ultimo; pertanto è insussistente nella specie il presupposto oggettivo per l’operatività della collazione, ovvero la comunione ereditaria sui beni relitti dal “de cuius”, considerato che il diritto dei coeredi di chiedere la divisione ed il connesso diritto alla collazione postulano l’assunzione della qualità di erede (Cass. 30.10.1992 n. 11831).

Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 230 bis c.c. ed omessa motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto rilevante la circostanza – peraltro solo apoditticamente affermata – della mancanza di redditi da parte della T., dal momento che, come dedotto in appello, l’assetto dei rapporti in seno alla famiglia N. era quello di un’impresa familiare, e che quindi la T. avrebbe comunque avuto diritto alla sua parte di utili in base alla norma da ultimo citata; ebbene tale rilievo non era stato esaminato dalla Corte territoriale.

Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione o falsa applicazione degli articoli 2697 – 2727 – 2729 c.c. e difetto di motivazione, assumono che il giudice di appello, per escludere la qualità di donante in capo alla T., aveva dedotto la mancanza di redditi in capo alla stessa da una circostanza, ovvero la proprietà esclusiva da parte del di lei marito dell’albergo omissis di omissis, in realtà inidonea a dimostrare alcunché; invero la proprietà immobiliare non implica di per sé la titolarità dell’azienda, né d’altra parte la mancanza di redditi esclude astrattamente la possibilità di un soggetto di essere donante, potendo le risorse provenire da fonte diversa da quella lavorativa.

Inoltre gli esponenti avevano provato l’intestazione ad entrambi i coniugi del libretto di risparmio e del preliminare di acquisto della villa nonché l’intestazione del rogito; ciò consentiva almeno di presumere la comunione delle somme di denaro utilizzate per l’acquisto da parte dei coniugi della omissis, nonché la sussistenza della donazione indiretta riguardo a tale immobile.

Infine i ricorrenti censurano la mancata ammissione della prova per testi tendente ad acclarare le varie attività economiche della famiglia N. e l’assetto dei rapporti in seno alla stessa.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, sono infondate.

La Corte territoriale ha escluso la sussistenza di prove in ordine alla pretesa donazione da parte della T. in favore del figlio S. sia dell’appartamento in omissis sia della omissis; in particolare ha evidenziato che la documentazione in atti smentiva l’assunto degli appellanti, considerato che l’acquisto di tale secondo immobile venne fatto da S. N. per la nuda proprietà e dai genitori per l’usufrutto, dovendosi peraltro escludere che la T., priva di redditi propri, avesse fatto fronte con denaro proprio a tale acquisto; la Corte territoriale, poi, condividendo il convincimento del giudice di primo grado, ha aggiunto che, pur volendo ammettere che parte del prezzo dell’immobile fosse stato pagato con denaro proveniente dai conti correnti cointestati a M. N. ed alla T., era ragionevole ritenere che ciò era stato fatto da colui che era il proprietario esclusivo dell’albergo omissis e l’unico quindi ad avere il denaro necessario per l’acquisto, non risultando che la T. disponesse di redditi propri, e non essendo decisiva la circostanza di essere costei cointestataria con il marito dei conti bancari da cui era stato prelevato il denaro impiegato per l’acquisto della omissis.

Orbene il convincimento espresso dal giudice di appello è frutto di un accertamento di fatto sorretto da motivazione congrua e priva di vizi logici, come tale incensurabile in questa sede, dove invero i ricorrenti tendono inammissibilmente a prospettare una ricostruzione delle vicende relative alla presente controversia ad essi più favorevole, trascurando la competenza esclusiva al riguardo devoluta al giudice di merito.

In particolare è agevole osservare che l’assunto della sentenza impugnata in ordine alla insussistenza della prova di redditi propri da parte della T. conduce inevitabilmente alla conclusione della mancata disponibilità da parte sua di qualsiasi somma di denaro di una certa entità per effettuare delle donazioni indirette in favore del figlio S., in particolare in ordine all’acquisto da parte di quest’ultimo della omissis; sotto tale profilo logicamente la Corte territoriale ha escluso rilievo alla cointestazione sia del preliminare di acquisto della omissis e sia dei conti bancari tra M. N. e la T., considerato che solo il primo, titolare esclusivo dell’albergo omissis di omissis, disponeva di redditi propri.

Il riferimento poi all’impresa familiare non è rilevante, atteso che non è stato provato che la T. svolgesse una qualsiasi attività lavorativa, anche di natura domestica, nella azienda alberghiera di cui era titolare il marito.

È pur vero, poi, l’assunto dei ricorrenti in ordine alla possibilità che la T. disponesse comunque di redditi di fonte non lavorativa tali da far fronte a donazioni indirette in favore del figlio S.; e tuttavia non solo non è stato provato, ma neppure risulta essere stato dedotto che la T. godesse di redditi di diversa natura rispetto a quelli provenienti da attività lavorativa.

Infine è infondato anche il profilo di censura riguardante la mancata ammissione della prova per testi articolata dagli appellanti in quanto, come correttamente rilevato dal giudice di appello, essa aveva ad oggetto circostanze (come ad esempio una vacanza di S. N. in omissis ovvero l’emissione di assegni bancari provenienti da conti correnti cointestati ai coniugi N. serviti per lavori di ristrutturazione relativi alla omissis) inidonee in radice a provare la sussistenza di una qualsiasi fonte di reddito della T., così da potersi configurare l’asserita donazione indiretta da parte di quest’ultima in favore del figlio S..

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi, avendo riguardo agli stretti rapporti parentali esistenti tra le parti, per compensare interamente tra di esse le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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