CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 11 gennaio 2010, n.230 OBBLIGAZIONE DEL PROFESSIONISTA E COMPENSO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Col primo motivo si deducono violazione del procedimento interpretativo del contratto, con riguardo ai requisiti e difetto di motivazione perché il mandato riguardava il riconoscimento e conferimento della qualifica superiore di aiuto (e di farmacista dirigente per l’Aceto) sia dinanzi all’organo di gestione che a quello di controllo.

Col secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 115 e 116 cpc, 2697, 2698, 1375 cc perché la lettura del Tribunale dei deliberati è esclusa dalle bozze consegnate agli assistiti l’11.6.1985 ed il Tribunale ignora il regime degli incarichi perché ogni incarico formale di funzioni superiori deve regolare il trattamento economico, ai sensi dell’art. 33 dpr n. 3/1957.

Col terzo motivo si lamentano violazione degli artt. 112 e 99 cpc, difetto di motivazione, alterazione dell’oggetto del mandato e del corrispettivo, violazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 2697 cc, perché gli assistiti vennero edotti circa l’approvazione delle delibere e l’ulteriore pagamento di lire 2.000.000 non era subordinato alla riscossione degli arretrati, ipotesi nemmeno prospettabile per l’Aceto.

Le tre censure non sono idonee a confutare la motivazione della sentenza che si fonda sull’assenza di prova, da parte del Ciliento, sull’importo del corrispettivo pattuito, onere su di lui incombente, in assenza, peraltro, di una analitica e non contestata notula sulle specifiche incombenze effettuate e sulla obbligatorietà ed inderogabilità delle tariffe minime, all’epoca vigente.

In particolare, la sentenza impugnata, dopo aver esaminato diffusamente i rapporti tra le parti alle pagine quattro, cinque, sei, sette ed otto, ha concluso: “appare plausibile che le intese sul corrispettivo fossero intervenute nei termini riferiti dai convenuti. Assorbente è in ogni caso l’argomentazione di cui a pag. 16 dell’impugnata sentenza secondo la quale in difetto di prova da parte del Ciliento sul tenore dell’accordo relativo al corrispettivo posto a base della domanda lo stesso può avere efficacia soltanto nei limiti del riconoscimento dei convenuti”.

Se, invero, il rapporto professionale che lega l’avvocato al cliente comporta una obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che la prestazione va retribuita a prescindere dall’esito conseguito, nella specie la pacifica circostanza che il non meglio specificato mandato riguardasse il riconoscimento e conferimento delle funzioni di aiuto e la deduzione dei convenuti che il compenso era stato indicato in lire 1.000.000 elevabile a lire 3.000.000, in caso di riconoscimento di arretrati, comportava l’onere dell’attore di provare circostanze specifiche e non di contrapporre una tesi diversa.

Le odierne censure sono generiche e non autosufficienti, non riportano gli atti richiamati (vedi secondo motivo circa le bozze consegnate agli assistiti) e non sono risolutive, costituendo, peraltro, lo schema di deliberazione prerogativa specifica degli organi amministrativi dell’ente e del responsabile del procedimento.

L’attività del professionista si traduce, in definitiva, in uno o più pareri, nemmeno espressamente ed analiticamente indicati e riportati, con riferimento ai quali non si deduce una violazione di tariffe obbligatorie.

In definitiva il ricorso va rigettato, mentre la mancata costituzione delle controparti esime dalla pronunzia sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *