CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 17 dicembre 2009, n.26505 L’ASSICURAZIONE COPRE GLI EVENTI INFAUSTI CAUSATI DAL MEDICO NEGLIGENTE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 cpc.

A) Ricorso principale.

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 83, 586, 651 c.p., 43 c.p.p., 1900 e 1917 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo, avendo la Corte di merito erroneamente escluso la copertura assicurativa in ordine alla morte di T. A., riconducibile invece ad una fattispecie colposa.

Il ricorso è fondato.

1. La sentenza -impugnata ha escluso la sussistenza della garanzia assicurativa in ordine alla morte di T. A., rilevando in conclusione che ciò che doveva essere preso in esame al fine predetto “è l’azione che determina il danno e non l’evento che ad essa consegue”, per cui – pur essendo pacifico che la morte del T. era stata riconosciuta in sede penale come una “conseguenza non voluta” della condotta omissiva del medico – era determinante la circostanza che questa condotta gli era stata però attribuita a titolo di dolo in relazione al delitto di omissione di atti di ufficio.

Questa impostazione del problema non risulta però correttamente formulata.

In primo luogo, perché la Corte di merito ha palesemente omesso di valutare in via autonoma il comportamento dell’odierno ricorrente in relazione all’accadimento dell’evento morte, essendo necessario l’accertamento in ordine a tale comportamento dell’effettivo elemento psicologico del S., che non poteva ritenersi quello di dolo, imputatogli solo ed esclusivamente per la specifica violazione del reato di cui all’art. 328 c.p.

Ed invero, escluso che si possa rispondere dell’evento non voluto a titolo di responsabilità oggettiva, ciò che contrasterebbe con il dettato dell’art. 27 comma primo Cost., la Corte territoriale avrebbe dovuto correttamente indirizzarsi in direzione dell’accertamento, in concreto, di una condotta omissiva colposa dell’agente, cui andava ricondotto in ultima analisi l’evento mortale in danno del T.: accertamento che avrebbe dovuto riguardare innanzitutto l’eventuale concorso degli elementi tipici della colpa, quali l’imprudenza, la negligenza e l’imperizia ovvero anche la stessa inosservanza della legge penale, vale a dire nel caso di specie dell’art. 328 c.p.

Infatti, l’inclusione, ad opera dell’art. 43 c.p., tra i criteri qualificativi dei comportamenti colposi anche della “inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” non limita questo modo d’essere della colpa alla sola violazione della legge a carattere squisitamente o esclusivamente cautelare, ma comprende anche la violazione delle stesse norme penali incriminatrici (v. Cass. pen., sez. I 86/174058).

2. Una volta stabilito che alla base dell’affermazione di responsabilità in ordine all’evento non voluto non può che sussistere una condotta colposa dell’agente, distinta e concettualmente autonoma da quella dell’agente stesso qualificata come dolosa in riferimento al delitto voluto, ne consegue che nel caso di specie la Corte di merito non avrebbe dovuto escludere l’operatività della garanzia assicurativa in relazione all’evento morte di T. A..

Infatti, il riferimento, da parte della sentenza impugnata, alla norma dell’art. 1917 c.c. ed a quelle contrattuali (artt. 1 lett. B e 4 lett. B delle condizioni generali di contratto), quali disposizioni giustificatrici di quella esclusione, risulta del tutto erroneo, essendo pacifico che le norme in questione escludono dalla garanzia assicurativa della responsabilità civile solo i danni derivanti da fatti dolosi e rientrando invece pienamente la condotta del S. in relazione all’evento morte non voluto, qualificata per le ragioni sopra dette come colposa, nella previsione del citato art. 1 lett. B delle condizioni generali circa i “danni involontariamente cagionati ai terzi nell’esercizio dell’attività professionale".

B) Ricorso incidentale.

Con il primo motivo i resistenti deducono la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 163 nn. 3 e 4 c.p.c., violazione dell’art. 185 e 5 c.p.c. (vecchio testo), insufficiente ed erronea motivazione, nonché motivazione apparente, non avendo la Corte di merito affrontato tutti i temi relativi ai danni non patrimoniali di cui era stato richiesto espressamente il risarcimento ed avendo la stessa erroneamente ritenuto che la precisazione delle singole voci di danno, contenuta nelle conclusioni di cui all’appello incidentale, fosse da interpretare come volontà di circoscrivere il petitum.

Con il secondo motivo denunciano la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. in ordine alla quantificazione del danno morale, nonché insufficiente ed apparente motivazione circa i criteri di tale liquidazione.

Con il terzo motivo denunciano ancora la violazione dei suddetti artt. 2043 e 2059 c.c. ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo, avendo i giudici d’appello senza alcun vaglio critico confermato la sentenza di primo grado sul punto relativo alla non risarcibilità delle voci di danno richieste iure successionis.

Con il quarto motivo infine manifestano la volontà di aderire sostanzialmente alle ragioni del ricorso principale.

1. Va esaminata, in via preliminare, l’eccezione d’inammissibilità del ricorso incidentale, sollevata in controricorso dal S., che ha fatto rilevare come i T. non fossero affatto le parti contro cui il ricorso principale, da lui proposto, era diretto, in quanto rivolto esclusivamente nei confronti dell’Axa Ass.ni, atteso che la sentenza gravata era stata censurata solo nella parte in cui essa aveva ritenuto non operante la garanzia assicurativa.

Tale eccezione è infondata.

Infatti, qualora un atto, anche se denominato controricorso, non contesti il ricorso principale ma aderisca ad esso, deve qualificarsi sotto questo profilo ricorso incidentale di tipo adesivo, con conseguente non applicabilità dell’art. 334 cpc in tema di impugnazione incidentale tardiva e soggezione ai termini ordinari (v. Cass. n. 12764/03).

Ciò non esclude però che, anche nell’ipotesi di non contestazione del ricorso principale, quello incidentale possa contenere la richiesta di cassazione della sentenza impugnata per ragioni diverse da quella fatte valere dal ricorrente in via principale, bastando in tal caso che il medesimo abbia rispettato per la sua proposizione, come si riscontra nel caso di specie, il termine di cui all’art. 327 primo comma cpc (un anno dalla pubblicazione della sentenza, stante la mancata notifica di quest’ultima).

2. Passando all’esame dei motivi, i primi tre, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati nei limiti delle considerazioni che seguono.

2.1. In via preliminare, va rilevato che, avendo i T. sempre concluso, sia in primo che in secondo grado, per il riconoscimento a loro favore del risarcimento “di tutti i danni conseguenti alla morte di T. A.”, la specificazione da parte loro (ed esempio, nella memoria del 13.9.01, depositata ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 183 V comma cpc) dei singoli danni di cui veniva invocata la liquidazione non può essere correttamente interpretata, come ha fatto la Corte territoriale, quale volontà di delimitare il petitum, giacché tale specificazione non va oltre un valore puramente esemplificativo,

Infatti, quella locuzione “tutti i danni’” risulta comunque indicativa della loro volontà di conseguire un integrale risarcimento di tutte le voci di danno che fossero legittimamente indennizzabili nel caso di specie.

2.2. Va, quindi, rilevato che complessivamente la Corte di merito ha confermato acriticamente la sentenza di primo grado, senza tener conto in particolare della significativa evoluzione (a partire dalle sentenze gemelle nn. 8827/03 e 8828/03) della giurisprudenza di questa S.C. nel campo di una più precisa definizione del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., sollecitata dalla sempre più sentita esigenza di garantire l’integrale riparazione del danno ingiustamente subito, non solo nel patrimonio inteso in senso strettamente economico, ma anche nei valori propri della persona (art. 2 Cost.).

In particolare, la sentenza impugnata ha trascurato di valutare un dato ormai acquisito nell’ordinamento positivo, e cioè l’avvenuto riconoscimento di una più lata estensione della nozione di “danno non patrimoniale”, inteso ormai come danno da lesione di valori inerenti alla persona e non più solo come “danno morale soggettivo”.

Ed invero, la Corte salernitana, omettendo di adeguarsi al più aggiornato indirizzo giurisprudenziale di questa S.C. in subiecta materia, si è limitata a confermare in favore degli odierni ricorrenti in via incidentale la statuizione del primo giudice circa la quantificazione del danno morale, inteso quest’ultimo nel suo significato originario e tradizionale di sofferenza d’animo interiore di tipo soggettivo, senza sostanzialmente esaminare – sia pure criticamente – le doglianze svolte dai medesimi nell’appello incidentale e dirette ad ottenere, in primo luogo, il risarcimento liquidabile ai figli conviventi per la morte del genitore secondo le tabelle applicate dal Tribunale di Milano.

Quella conferma si basa, infatti, su considerazioni del tutto generiche e superficiali (si parla in modo sommario di circostanze di fatto, di condizioni delle parti, delle condizioni fisiche del defunto), ma nulla di specifico viene precisato specialmente in ordine alle suddette condizioni fisiche del de cuius.

Né, trattandosi di liquidazione equitativa, i giudici d’appello hanno assolto all’onere che loro incombeva, specialmente a fronte della richiesta degli appellanti in via incidentale di applicare le tabelle del Tribunale milanese, di dar conto dei criteri adottati nella liquidazione stessa, nonché delle congruenza ed adeguatezza dei medesimi rispetto al caso concreto (v. Cass. n. 13065/04).

2.3. Si rileva che anche il rigetto della richiesta di liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale, fondato su un’asserita mancanza di prova sia sull’an che sul quantum, risulta in realtà giustificato in forza di valutazioni assolutamente vaghe e generiche, che non specificano la sussistenza o meno dell’elemento della convivenza degli istanti con il defunto genitore né precisano quali altri dati necessari non sarebbero stati comprovati dagli interessati per integrare la prova presuntiva, a parte anche in questo caso un generico riferimento alle condizioni di salute, indicate come “ampiamente compromesse”, del defunto.

2.4. Si rileva, infine, che la Corte di merito ha omesso di prendere in alcuna considerazione il riconoscimento a favore dei germani T. di una particolare specie di danno non patrimoniale (inteso nel senso lato come sopra specificato), a ristoro della sofferenza psichica provata dal loro dante causa quale vittima di lesioni fisiche (alle quali sia seguita, come nel caso in esame, dopo breve tempo la morte), che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine (v. Cass. n. 26972/08, par. 4.9.).

Tale sofferenza, non essendo suscettibile, in relazione al limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dar luogo a danno biologico, va risarcita dunque come danno morale nella sua nuova e più ampia accezione.

Il risarcimento in questione è trasmissibile iure hereditatis agli eredi (conviventi) della vittima, i quali a loro volta potranno far valere il danno parentale come danno complesso iure proprio.

3. Il quarto motivo non va preso in considerazione, in quanto non contiene alcuna censura nei riguardi della sentenza impugnata, risolvendosi in un mero auspicio circa l’accoglimento del ricorso principale.

C) Vanno perciò accolti sia il ricorso principale che quello incidentale, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che, oltre a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione, dovrà attenersi ai seguenti principi di diritto:

1. “Nell’ipotesi di cui all’art. 83 c.p., dopo la condanna penale per il delitto doloso effettivamente voluto dall’agente o dal quale sia derivata, quale conseguenza non voluta, la morte di una persona, compete al giudice civile investito della causa per il risarcimento dei danni cagionati da quella morte l’onere di accertare, in relazione al disposto di cui all’art. 1917 c.c., se la condotta dell’agente in ordine all’evento non voluto sia qualificabile autonomamente come condotta colposa, distinta da quella dello stesso agente qualificata come dolosa in riferimento al delitto voluto”;

2. “Colui che agisce in giudizio per il risarcimento di danni da illecito soddisfa tutti i requisiti richiesti dagli artt. 99, 112, 163 nn. 3-4 e 185 V comma c.p.c., con la domanda generica di risarcimento di “tutti i danni” ricollegabili all’evento lesivo, a nulla rilevando l’eventuale specificazione a titolo esemplificativo di singole voci di danno liquidabili”;

3. “Il danno da lesione del rapporto parentale va valutato e liquidato in via equitativa, con prudente discrezionalità contemperando in maniera equilibrata il grado di gravità del fatto illecito, nonché l’intensità e la durata degli effetti del danno ingiusto, alla stregua delle tabelle utilizzate dai vari Tribunali della Repubblica, in particolare quello di Milano”;

4. “Il giudice di rinvio dovrà valutare, con attenta motivazione, la rilevanza del lasso di tempo intercorrente tra la lesione e l’avvenuta morte onde apprezzare la trasmissibilità iure hereditatis del diritto della vittima al risarcimento del danno morale (inteso nella sua nuova e più ampia accezione, come sofferenza psichica di particolare intensità anche se di breve durata, da parte di chi abbia atteso lucidamente la fine della propria vita)”.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li accoglie, cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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