CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 23 novembre 2009, n.24658 IMPUGNAZIONE DELIBERE ASSEMBLEARI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, lamentando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 3°, cod. proc. civ.”, censura la decisione gravata laddove aveva affermato “che avendo esaurito l’appellante ogni potere di impugnativa con l’atto di appello, non possono essere qui esaminati successivi e ulteriori motivi di doglianza” atteso che con l’atto di appello era stato dedotto che la somma di cui al decreto opposto non era dovuta ed era stato chiesto che fosse accertata e dichiarata la nullità della delibera adottata all’assemblea del Condominio A in data 28.7.1996, sulla quale si era fondato poi il decreto medesimo: nelle more del giudizio di appello erano intervenute le sentenze n. 38/2002 e n. 156/2003 con le quali il Tribunale di Venezia, Sezione distaccata di Portogruaro aveva accertato la nullità della delibera 28.7.1996; in particolare, con la comparsa conclusionale la ricorrente aveva, ancora, prodotto copia della sentenza n. 38/2002 pronunciata in un identico procedimento di opposizione a decreto proposto da altro soggetto proprietario di un’unità immobiliare del Condominio A, mentre copia del dispositivo della sentenza n. 156/2003 era stata allegata alla memoria di replica, posto che ancora non era disponibile la copia integrale: il giudice avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità della delibera accertata dalle decisioni sopra richiamate anche ove le deduzioni dell’appellante fossero state tardive, tenuto conto che la nullità della delibera condominiale può essere fatta da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice anche in grado di appello.

Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1136 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 3°, cod. proc. civ., Nullità della delibera del 28.7.1996”, deduce la nullità della citata delibera che era stata adottata con un numero di voti 419.96 millesimi, inferiore alla maggioranza indicata dal 5° comma dell’art. 1136 cod. civ. per approvazione delle innovazioni, dovendo così qualificarsi le opere deliberate secondo quanto emerso dall’elaborato redatto dal consulente tecnico nominato nel procedimento n.R.G. 15060/00 e depositato con la comparsa conclusionale; in ogni caso le opere in questione costituivano un intervento di manutenzione straordinaria che era stato approvato con una maggioranza inferiore a quella prescritta dall’art. 1136 quarto comma cod. civ. secondo quanto accertato con la sentenza n. 38 del 2002.

I motivi, essendo strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente.

Le censure vanno disattese, anche se la motivazione della decisione impugnata deve essere in parte rettificata.

Va innanzitutto considerato che: 1) in tema di opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo emesso ai sensi dell’art. 63 disp. att. cod. civ. per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale, già impugnata in altro giudizio, ma solo questioni riguardanti l’efficacia della medesima. Tale delibera infatti costituisce titolo di credito del condominio e, di per sé, prova l’esistenza di tale credito e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel giudizio di opposizione che quest’ultimo proponga contro tale decreto, ed il cui ambito è dunque ristretto alla sola verifica della esistenza e della efficacia della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. 2387/2003; 7261/2002; 11515/1999; 3302/1993).

2) debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto (S.U. 4806/2005).

Nella specie, l’opponente ha invocato la nullità della delibera posta a base dell’opposto decreto, deducendo che la stessa sarebbe stata adottata con maggioranza inferiore a quelle prescritta: secondo quel che si è detto, in tal modo ha denunciato un motivo non di nullità ma di annullabilità che andava fatto valere nel termine di cui all’art. 1137 cod. civ. con l’impugnazione della delibera al giudice competente, non potendo tale invalidità essere accertata neppure incidenter tantum dal giudice adito con l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo relativo ai contributi deliberati dall’assemblea.

Né, d’altra parte, potrebbe invocarsi la cosa giudicata per effetto delle sentenze menzionate dalla ricorrente, che avrebbero dichiarato la nullità della delibera in oggetto perché – a prescindere dal rilevare la tardività della produzione avvenuta rispettivamente con la comparsa conclusionale e con la memoria di replica depositate nel giudizio di gravame, per cui la sentenza impugnata non le ha esaminate (e non ha potuto verificare in particolare il passaggio in giudicato), va osservato che mentre quella n. 38 del 2002 era stata emessa – secondo quanto affermato dalla stessa ricorrente – nei confronti di soggetto estraneo al presente giudizio (altro condomino) e dunque manca uno degli elementi necessari (l’identità soggettiva) per invocare nel presente giudizio la cosa giudicata, della decisione n. 156/2003 era stato prodotto – sempre secondo quanto affermato dalla ricorrente – il solo dispositivo e neppure nella presente sede di legittimità risulta depositata la sentenza con attestazione di passaggio in giudicato avvenuto in data successiva alla pronuncia della sentenza impugnata.

Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Violazione dell’art. 1223, commi 2° e 3° cod. civ. in relazione all’art. 360, 3° comma, cod. proc. civ. Errata ripartizione delle spese. Violazione dell’art. 1123, commi 2° e 3° cod. civ. Contraddittorietà della motivazione”, censura la sentenza impugnata laddove, nel disattendere la doglianza relativa alla ripartizione delle spese, aveva affermato “né del resto l’appellante spiega come ogni condomino possa fare uso diverso e godere in maniera diversa del muro comune perimetrale”, senza considerare che il Condominio A è in sostanza un supercondominio, costituendo un complesso immobiliare a forma di “C”, disposto su quattro livelli, composto quindi da numerose unità: tre unità in proprietà X sono poste al pianterreno; una di queste, in particolare, adibita a pizzeria, è del tutto autonoma, non risulta collegata in alcun modo al corpo principale dell’edificio e non è stata interessata dal lavori condominiali di cui non ha in alcuna misura usufruito.

Il motivo va disatteso.

La sentenza impugnata, nel respingere la doglianza in ordine alla ripartizione delle spese relative ai lavori in questione, non si è limitata a fare riferimento all’art. 1123 secondo comma cod. civ. ma ha anche ritenuto che i muri perimetrali in oggetto erano comuni e che l’obbligo di contribuire al pagamento dei contributi condominiali in questione trovava comunque fondamento nella disposizione di cui all’art. 7 del regolamento di condominio, secondo cui erano a carico dei condomini gli oneri relativi ai muri perimetrali, così rinvenendo anche in tale fonte l’obbligo di pagamento: tale ratio decidendi non è stata censurata dal ricorrente e, perciò, è di per sé idonea a sorreggere la motivazione.

Al riguardo, va considerato che quando con il ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass. 16602/2005).

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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