CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE – SENTENZA 1 ottobre 2009, n.33597 LE MISURE PATRIMONIALI DI PREVENZIONE DEL SEQUESTRO E DELLA CONFISCA SONO APPLICABILI ANCHE AI SOGGETTI PERICOLOSI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto in data 20 marzo 2008, con cui è stato annullato il decreto dello stesso Tribunale in data 9 febbraio 2005 ed è stato revocato il sequestro e la confisca di tutti i beni mobili ed immobili in esso indicati, adottato nel procedimento di prevenzione instaurato nei confronti di M. R., e dei terzi interessati C. T. (moglie del predetto), M. A., M. F., M. N. (figli del predetto). A sostegno dell’impugnazione ha dedotto:

a) Nullità ai sensi dell’art. 605, comma 1 lett. b) c.p.p. per violazione e falsa applicazione dell’art. 2 ter l. 31 maggio 1965, n. 575 in relazione agli artt. 19 legge n. 152 del 1975, 1 e ss, L. n. 575 del 1965, art. 14 l. n. 55 del 1990 e 521 c.p.p.

Il ricorrente censura la ritenuta inapplicabilità della confisca di cui all’art. 2 ter l. 31 maggio 1965, n. 575 ai beni del preposto ritenuti provento di attività delittuose (nella specie attività di riciclaggio relativa a reperti archeologici), diverse da quelle indicate dall’art. 14, comma 1 l. n. 55 del 1990, in base alla considerazione che, pur ritenendo di carattere formale il rinvio di cui all’art. 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152 alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, con la conseguente applicabilità delle disposizioni contro la mafia contenute nella legge n. 575 del 1965 anche alle persone dichiarate genericamente pericolose, purtuttavia prevederebbe tale applicabilità alle sole misure di prevenzione personale, in considerazione della limitata equiparazione tra i soggetti pericolosi in quanto indiziati di appartenere ad associazioni mafiose o assimilate, (pericolosità qualificata), e i soggetti pericolosi in quanto ritenuti abitualmente dediti a traffici delittuosi o che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose (pericolosità generica). Tale conclusione sarebbe giustificata in forza della natura derogatoria della norma sodi avvenuta, di cui all’art. 14 della legge n. 55/90, in quanto lex specialis posterior, con l’effetto che le disposizioni della legge n. 575 del 1965 concernenti le indagini e l’applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale o interdittivo si applicherebbero a regime con esclusivo riferimento ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o finalizzate al narcotraffico, ovvero ai soggetti indicati nei nn. 1 e 2 del comma 1 dell’art. 1 della legge n. 1423 del 1956 “quando l’attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle previste dagli artt. 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648 bis, 648 ter del c.p., ovvero del contrabbando”.

Tale conclusione non potrebbe essere condivisa per l’impossibilità di scindere il regime della misure di prevenzione patrimoniali da quello delle misure di prevenzione personali e dall’assenza di una esplicita esclusione in tal senso nel dettato normativo; né la stessa potrebbe essere rinvenuta nella stessa previsione dell’art. 14 della legge n. 55/90; in questo caso, infatti, il legislatore avrebbe voluto soltanto agevolare, per alcune determinate attività delittuose, l’applicazione delle misure ai prevenzione patrimoniali, escludendo, in quei casi specifici, la necessità di dimostrare che il soggetto viva abitualmente di tali proventi, come invece occorre in tutti gli altri vasi.

Erroneamente, peraltro, secondo il PG ricorrente, sarebbe stata esclusa la sussistenza, sotto il profilo indiziario, dell’art. 648 bis c.p., così come qualificato dal giudice delle misure di prevenzione, rispetto alla qualificazione dei fatti operata dal p.m. nel procedimento penale.

In ogni caso la diversa qualificazione giuridica dei fatti, configurata ai sensi dell’art. 174 del d.lvo. 22 gennaio 2004 dalla Corte d’appello, non sarebbe corretta, disciplinando il diverso caso di chi, detenendo legittimamente beni archeologici, li trasferisca poi all’estero senza la prescritta autorizzazione, presupposti che sarebbero insussistenti nel caso in esame.

Il P.G. ha poi presentato motivi aggiunti con riferimento all’entrata in vigore della legge 24 luglio 2008, n. 125 :i cui l’art. 11 ha modificato il comma 1 dell’art. 19 della legge 22 maggio 1975 n. 152 e l’art. 11 ter ha abrogato l’art. 14 della legge 19 marzo 1990 n. 55; infatti, in base alla novella legislativa, che confermerebbe comunque l’impianto del ricorso, oltre ad essere stata prevista la possibilità di applicazione disgiunta delle misure di prevenzione patrimoniale rispetto a quelle personali, l’abrogazione dell’art. 14, comma 1 della legge n. 55/90, consente l’applicazione delle stesse pacificamente, al di là di ogni analisi interpretativa, quando l’attività delittuosa, da cui si ritiene che derivino i proventi, sia rappresentata da una qualsiasi ipotesi di reato. E tali conclusioni andranno applicate al procedimento in esame, tuttora pendente, in conformità della costante giurisprudenza di legittimità (v. da ultimo la recente decisione della Corte di cassazione, sez. 1, 4 febbraio 2009 – 11 febbraio 2009, n. 600).

I difensori del ricorrente M. R. e degli altri terzi interessati hanno presentato una memoria di replica ai sensi dell’art. 611 c.p.p. deducendo che, in realtà, la nuova disciplina legislativa dimostrerebbe la erroneità delle conclusioni assunte in via interpretativa e potrebbe essere applicata solo per il futuro, non avendo alcuna efficacia rispetto ai procedimenti in corso, per l’impossibilità di riconoscere alla nuova disposizione natura di norma processuale, stante la sua finalità esclusivamente sanzionatoria con la conseguente applicazione del principio tempus regit actum.

In ogni caso l’irretroattività della nuova disciplina dovrebbe essere fatta discendere dalla necessità di tutelare i principi costituzionali delineati negli artt. 3, 42 e 41 Cost., in quanto, in caso contrario, sarebbero violati i principi di ragionevolezza e di non collisione con gli interessi tutelati da altre norme costituzionali, tra cui quello dell’art. 27, comma 3 della finalità rieducativa della pena.

Inoltre, se può condividersi che, dal punto di vista formale, l’art. 19 della legge n. 152 del 1975 non avrebbe mai perso vigore, peraltro la sua concreta operatività sarebbe stata ristretta dalla vigenza dell’art. 14 della legge n. 55/90, con la conseguenza che non sarebbero modificabili gli effetti più favorevoli prodotti dall’originaria normativa.

In ogni coso non potrebbe essere accolta l’interpretazione in base alla quale l’abrogazione dell’art. 14 della legge n. 55 del 1990 avrebbe ridato forza espansiva alla legge del 1975, estendendo espressamente il regime della prevenzione antimafia a tutti i soggetti genericamente pericolosi ai sensi della legge n. 1423 del 1956, in base all’art. 19 della stessa legge del 1975, il cui rinvio necessariamente dovrebbe essere limitato alle sole misure di prevenzione personale, stante la sua natura recettizia delle previsioni di cui alla legge n. 575 del 1965.

La difesa ha concluso pertanto con una istanza di rimessione alle Sezioni Unite penali ex art. 618 c.p.p., con riferimento alla questione relativa alla specifica natura delle misure di prevenzione patrimoniale ovvero del tipo di rinvio, recettizio o formale, operato dall’art. 19, comma 1 della l. 152/75. È stato infine chiesto di ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 11 ter e 13 della legge n. 125 del 2008 per la violazione delle norme costituzionali sopraindicate.

Osserva la Corte che il ricorso del Procuratore generale è fondato e deve essere accolto.

In questo caso, infatti deve trovare applicazione la nuova disciplina introdotta dall’art 11 ter del decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, convertito con modificazioni nella legge 24 luglio 2008, n. 125, con cui è stato abrogato l’art. 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55.

Come è stato già sottolineato dalle prime applicazioni della nuova normativa, l’abrogazione dell’art. 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55 ha determinato una contemporanea estensione delle disposizioni previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, a tutti i soggetti indicati nei numeri 1 e 2 del comma 1 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per effetto della “riespansione” dell’area di operatività dell’art. 19 comma 1 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (c.d. Legge Reale), come modificato dall’art. 13 della legge 3 agosto 1988, n. 327. Quest’ultimo articolo prova infatti che “le disposizioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575 si applicano anche alle persone indicate nell’art. 1, n. 1 e 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423”. La razionalità di questa interpretazione trova conforto nel fatto che la nuova normativa ha come obiettivo quello di tutelare l’esigenza di meglio soddisfare la difesa sociale, di cui gli strumenti di prevenzione patrimoniale di natura reale rappresentano i mezzi più efficaci per depotenziare i sodalizi criminali e le attività illegali. L’estensione ai soggetti sopraindicati delle misure di prevenzione personali e patrimoniali ai sensi dell’art. 19 della legge n. 152 del 1975 è fondata dunque sul tenore letterale della norma, che opera un rinvio, senza alcuna distinzione, a tutte le disposizioni della legge n. 575 del 1965. Tale interpretazione viene confermata dal fatto che l’art. 2 ter della legge n. 575 del 1965, nel disciplinare il sequestro, continua a prevedere la clausola di riserva nei confronti della sospensione dell’amministrazione dei beni disciplinata dagli artt. 22, 23 e 24 della legge n. 152 del 1975. Questa clausola perderebbe la sua utilità se non fosse possibile applicare le misure patrimoniali ai soggetti indicati dall’art. 19 della stessa legge. Da queste premesse consegue che l’eliminazione dell’art. 14 della L. n. 55/90 deve essere letta come un ampliamento dell’ambito di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale che, senza le limitazioni riconducibile a tale norme, vengono estese ai soggetti che sono dediti a traffici delittuosi o vivono abitualmente, anche in modo parziale, con i proventi di attività criminose, a prescindere da quali siano i delitti da cui scaturiscano i proventi.

Né appare sostenibile l’interpretazione secondo cui l’abrogazione dell’art. 14 della legge n. 55/90. ove alla stessa fosse riconosciuto il potere di riespandere l’area di operatività delle misure patrimoniali, non sarebbe coerente con l’art. 1 della legge n. 575/65, che individua i soggetti destinatari dell’apparato di misure personali e patrimoniali ivi previste, senza richiamare anche le ipotesi di pericolosità generica indicate negli artt. 1 e 2 della legge n. 1423/56. E ciò in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. La Corte costituzionale, infatti, in relazione ad uno specifico aspetto procedurale, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge n. 152 del 1975, Sollevata con riferimento all’art. 3 della Costituzione (ord. n. 275 del 12 giugno 1992; v. anche Corte cost., 9 giugno 1988, n. 675), in considerazione del fatto che in forza del rinvio formale operato dalla prima norma alle disposizioni della legge n. 575/65, questa disciplina nel suo complesso si estende per intero alle persone indicate nell’art. 1, nn. 1 e 2 della legge n. 1423/56, anche se non indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso. Vi è da aggiungere che la contemporanea modifica apportata dall’art. 10 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv. nella legge 24 luglio 2008, n. 125, all’art. 1 della legge n. 575/65, che ha ampliato il perimetro della norma, ricomprendendo tra i destinatari delle misure patrimoniali i soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51 comma 3 bis cpp., appare coerente con le conclusioni raggiunte. Come detto, infatti, la nuova disciplina non ha intaccato l’operatività dell’art. 19, comma 1 della L. n. 152/75 determinando un’ulteriore estensione dell’area di applicazione della Legge n. 75/65; correttamente dunque è stata, da un lato, richiamata la competenza del pubblico ministero per il procedimento di prevenzione, unitamente alla nuova competenza del PNA e del Procuratore distrettuale antimafia per gli ulteriori ambiti, e allo stesso tempo, proprio per la riespansione dell’art. 19 comma 1 l. n. 152 del 1975, è stata adottata una riformulazione dell’art. 1 della legge n. 575/65, che richiama una previsione normativa (art. 1 n. 1 e 2 l. 1423/56) che richiede, ai fini della applicazione delle misure di prevenzione, particolari requisiti destinati a qualificare l’attività delittuosa del destinatario, quale l’abitualità nel reato, propria di quei soggetti dediti a traffici delittuosi o che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività criminose, il che potrebbero mancare, con riferimento ai delitti di cui all’art. 51, comma 3 bis c.p.p.

Questa interpretazione appare dunque la più coerente con la “ratio” del complessivo intervento normativo di modifica e con l’indirizzo assolutamente prevalente seguito anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sez. I, 4 febbraio [omissis] 2009 n. 600).

Alla luce delle suesposte considerazioni va dunque affermato il seguente principio di diritto. “Le misura patrimoniali di prevenzione del sequestro e della confisca, previste nei confronti dei soggetti indicati dall’art. 1 della legge n. 575 del 1965, come modificato dall’art. 10 del d.l. 23 maggio 2008 n. 92, convertito nella l. 24 luglio 2008 n. 125, sono applicabili anche ai soggetti pericolosi ai sensi dell’art. 1 nn. 1 e 2 della legge 1423/56. Infatti il rinvio di cui all’art. 19 comma 1 della legge 22 maggio 1975 n. 152 contenente norme a tutela dell’ordine pubblico non ha carattere erariale o recettizio ma di ordine formale nel senso che in difetto di una espressa esclusione o limitazione, deve ritenersi esteso a tutte le norme successivamente interpolate nell’atto – fonte in sostituzione, integrazione o modificazione di quelle originarie”.

Né tale conclusione può essere contrastata dai principi di irretroattività della legge penale. La giurisprudenza è assolutamente costante nel ritenere che le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione proprio perché corrente per la loro natura alla situazione di pericolosità del proposto, con conseguenza che deve ritenersi possibile la suddetta applicazione per un fatto reale per il quale originariamente non era prevista la misura, in considerazione del fatto appunto che il principio di irretroattività di legge penale riguarda le norme incriminatrici e non le misure di sicurezza (ex pluribus Cass. Sez. II 3 ottobre [omissis] n. 3655, Sibilia, Ced. 207140; Cass. Sez. III 15 ottobre 2002 n. 4070, Ced. 222278; Cass. Sez. I 8 novembre 2007, n. 7116, Liboni, Ced. [omissis]).

Alla luce delle suesposte considerazioni, che rendono inaccoglibile anche la richiesta di rimessione della causa all’esame delle Sezioni Unite e assorbono le questioni dedotte con le altre censure deve annullarsi l’impugnato decreto e trasmettere gli atti alla Corte di Appello di Lecce per un nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’impugnato decreto e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di Appello di Lecce per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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