Corte cost. 28-11-2008 (05-11-2008), n. 397 (ord.) Reati e pene – Condotta del condannato contraria alle finalità rieducative e tratta mentali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

ORDINANZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 108, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza del 17 gennaio 2007 dal Tribunale di sorveglianza di Bari nel procedimento di sorveglianza relativo a V. G., iscritta al n. 413 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 novembre 2008 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Bari, nel procedimento a carico di V. G., con ordinanza del 17 gennaio 2007 ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, dell’art. 108, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevede che la frazione di libertà controllata non ancora eseguita possa essere convertita in pena detentiva nel caso in cui si accerti una condotta del condannato che, pur non costituendo una diretta violazione delle prescrizioni impartite con il provvedimento di conversione, sia comunque chiaramente contraria alle finalità rieducative e trattamentali previste;
che il rimettente premette, in fatto, che il magistrato di sorveglianza di Bari con ordinanza del 9 marzo 2000, dopo aver accertato lo stato d’insolvenza di V. G., ha disposto la conversione dell’originaria pena pecuniaria di lire 32.000.000, inflittagli dal Tribunale di Brindisi con sentenza del 5 ottobre 1992, in 427 giorni di libertà controllata;
che il provvedimento di conversione contiene, tra le altre, anche la prescrizione della sospensione della patente di guida per la durata della libertà controllata;
che il condannato, durante l’esecuzione della libertà controllata, è stato sorpreso alla guida di un’autovettura, benché avesse la patente sospesa e, inoltre, per ben tre volte è stato segnalato in compagnia di noti pregiudicati;
che il magistrato di sorveglianza, dopo aver provvisoriamente sospeso con effetto immediato l’esecuzione della libertà controllata, ha trasmesso gli atti al Tribunale di sorveglianza con proposta di conversione della parte residua di libertà controllata in uguale periodo di detenzione ai sensi dell’art. 108 della legge n. 689 del 1981;
che, a parere del Tribunale di sorveglianza, la questione sollevata è rilevante perché un’unica violazione delle prescrizioni impartite con il provvedimento di applicazione della libertà controllata non potrebbe determinare, ai sensi della norma censurata (art. 108 della legge n. 689 del 1981), la conversione della parte di libertà controllata ineseguita in pena detentiva, essendo necessaria, invece, una pluralità di violazioni da cui si possa desumere che il condannato non voglia osservare le prescrizioni medesime;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente evidenzia che il principio finalistico di cui al terzo comma dell’art. 27 Cost., secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del reo, connota tanto l’esecuzione delle pene detentive quanto di quelle pecuniarie;
che, inoltre, per rieducazione deve intendersi l’avvio, da parte della persona condannata, di un serio ed efficace percorso finalizzato alla rivisitazione critica dei reati commessi, all’abbandono di mentalità e prassi criminogene, all’allontanamento dagli ambienti delinquenziali frequentati, alla interruzione dei legami con persone dedite alla commissione di reati, alla riabilitazione e recupero dalla dipendenza da sostanze vietate e/o dannose, all’inclusione ed integrazione sociale e familiare;
che, fatta questa premessa, il Tribunale rimettente osserva come, nel caso al suo esame, il condannato, a fronte di un’unica violazione delle prescrizioni impartite, abbia posto in essere numerose altre condotte che, pur non implicando alcuna violazione del provvedimento di conversione, sono comunque sintomatiche della persistente volontà di continuare ad avere rapporti con pregiudicati e contesti criminali e di non avviare alcun reale e serio percorso di rivisitazione critica in ordine ai reati commessi;
che, per questo motivo, secondo il giudice a quo, l’art. 108, primo comma, legge n. 689 del 1981, interpretato, a suo avviso, dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la conversione in pena detentiva sia possibile solamente se si accerti che il soggetto in libertà controllata abbia violato ripetutamente le prescrizioni ed abbia così dimostrato, per facta concludentia, di non essere disposto ad osservarle (è citata Cassazione, sentenza n. 3754 del 1998), violerebbe il principio finalistico della rieducazione del condannato di cui all’art. 27 Cost.;
che il Tribunale rimettente lamenta, in particolare, l’impossibilità di valorizzare quei comportamenti che, pur non concretandosi in violazioni delle prescrizioni, appaiono chiaramente sintomatici della volontà del soggetto in libertà controllata di non intraprendere con serietà un percorso autenticamente teso a riconsiderare i reati perpetrati, ad abbandonare prassi criminogene, ad allontanarsi da circuiti e contesti delinquenziali, a tagliare i rapporti con persone dedite al reato, a conseguire un’adeguata inclusione sociale;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione infondata;
che, a parere dell’Avvocatura dello Stato, la questione sollevata è frutto di un’errata impostazione di principio, in quanto la disciplina posta a raffronto con quella censurata (artt. 51, 51-ter e 53-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante «Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà») attiene alla concessione di un «beneficio» penitenziario in sostituzione di una pena detentiva, mentre la libertà controllata «che viene disposta direttamente in sentenza, afferisce ad un sistema sanzionatorio che, pur prevedendo in astratto una scelta secca tra pena detentiva e pena pecuniaria, in concreto consente l’irrogazione di pene di specie diversa: libertà controllata, lavoro sostitutivo»;
che la previsione di esclusioni oggettive e soggettive per la sostituzione servirebbe, secondo l’Avvocatura, a «soddisfare in concreto quelle esigenze di prevenzione generale o speciale che il legislatore normalmente si prefigge nel comminare una sanzione detentiva in astratto»;
che, in tal modo, il legislatore vuole assicurare che le sostituzioni avvengano non solo per pene detentive «brevi», ma anche per categorie di reati non particolarmente gravi e nei confronti di soggetti connotati da non particolare pericolosità;
che, pertanto, l’Avvocatura, pur rimarcando che il rimettente non lamenta l’irragionevolezza della norma per disparità di trattamento tra pena detentiva e libertà controllata, conclude che qualsiasi paragone tra la libertà controllata e analoghi istituti penitenziari è incongruo;
che, inoltre, la difesa governativa propone un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, nel senso che «mentre gli obblighi generali imposti dall’articolo 56 della l. n. 689 del 1981 sono tipici e discendono dalla legge, il contenuto delle prescrizioni che possono accedere alla libertà controllata, ai sensi dell’articolo 62 potrebbe essere "atipico" ed aggiuntivo rispetto ai primi, con funzione "individualizzante" del trattamento sanzionatorio, come sembrerebbe suggerire anche il richiamo, contenuto nell’ultimo comma dell’articolo 56, ai servizi sociali con finalità di favorire il reinserimento sociale»;
che, in virtù di tale interpretazione, le prescrizioni potrebbero essere liberamente stabilite dal magistrato di sorveglianza e modificate in corso di esecuzione ai sensi dell’art. 64, in modo da vietare tutte quelle condotte (come frequentare pregiudicati o determinati luoghi di ritrovo) che potrebbero ostacolare il percorso di reinserimento sociale;
che, in tal modo, nulla vieterebbe al magistrato di sorveglianza di impostare il sistema delle prescrizioni in modo tale che la condotta del soggetto, che sia «contraria alle finalità rieducative», concretizzi una violazione delle prescrizioni impartite, con conseguente possibilità di sostituzione della libertà controllata con pena detentiva.
Considerato che il Tribunale di sorveglianza di Bari dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, dell’art. 108, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevede che la frazione di libertà controllata non ancora eseguita possa essere convertita in pena detentiva nel caso in cui si accerti una condotta del condannato che, pur non costituendo una diretta violazione delle prescrizioni impartite con il provvedimento di conversione, sia comunque chiaramente contraria alle finalità rieducative e trattamentali previste;
che, ad avviso del rimettente, la norma censurata, interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la conversione in pena detentiva sarebbe possibile solamente se si accerti che il soggetto in libertà controllata abbia violato ripetutamente le prescrizioni ed abbia così dimostrato, per facta concludentia, di non essere disposto ad osservarle (così come affermato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 3754 del 16 luglio 1998), violerebbe il principio finalistico della rieducazione del condannato di cui all’art. 27 Cost.;
che, in particolare, il giudice a quo lamenta l’impossibilità di valorizzare quei comportamenti che, pur non concretandosi in violazioni delle prescrizioni, appaiono chiaramente sintomatici della volontà del soggetto in libertà controllata di non intraprendere con serietà un percorso autenticamente teso a riconsiderare i reati perpetrati, ad abbandonare prassi criminogene, ad allontanarsi da circuiti e contesti delinquenziali, a tagliare i rapporti con persone dedite al reato, a conseguire un’adeguata inclusione sociale;
che la questione così prospettata è manifestamente infondata;
che, invero, il giudice a quo muove dall’erroneo presupposto interpretativo secondo il quale la violazione di una sola delle prescrizioni impartite con il provvedimento applicativo della libertà controllata non è condizione sufficiente ai fini della conversione in detenzione della parte restante di libertà controllata non ancora eseguita;
che, al contrario, l’art. 108, primo comma, testualmente dispone che «Quando è violata anche solo una delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata, ivi comprese quelle inerenti al lavoro sostitutivo, conseguenti alla conversione di pene pecuniarie, la parte di libertà controllata o di lavoro sostitutivo non ancora eseguita si converte in un uguale periodo di reclusione o di arresto, a seconda della specie della pena pecuniaria originariamente inflitta»;
che nell’applicazione concreta della suddetta disposizione, al pari di quella analoga di cui all’art. 66 della legge n. 689 del 1981, era sorto un contrasto in giurisprudenza circa l’automatismo della conversione, ovvero se al verificarsi della violazione (anche di una sola) delle prescrizioni inerenti la libertà controllata si dovesse procedere automaticamente alla conversione, non residuando alcun margine di discrezionalità per il giudice di sorveglianza, o se, viceversa, questi dovesse valutare anche la gravità della violazione e l’ulteriore condotta del condannato quali indici di una inidoneità della sanzione ad assicurarne il reinserimento;
che, in tale situazione di contrasto interpretativo, è intervenuta questa Corte, la quale, con sentenza di non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, ha affermato che «tra la condotta che si discosta dal prescrizionale e l’accertamento della violazione che la norma postula, intercorre, […] il necessario potere delibativo che il giudice è chiamato a esercitare, in funzione, anche e soprattutto, del principio enunciato dall’art. 27, terzo comma, della Costituzione. In tale prospettiva, allora, ci si avvede agevolmente che, essendo la conversione delle sanzioni sostitutive normativamente riguardata come il riconoscimento della inadeguatezza delle sanzioni medesime a perseguire la funzione rieducativa che è loro propria, il comportamento del condannato che abbia trasgredito "anche solo una delle prescrizioni" deve presentare connotazioni tali da costituire elemento sintomatico di quella inadeguatezza, così da assegnare al sistema la necessaria flessibilità e coerenza che, sola, può dirsi rispondente alle reali finalità dell’istituto ed all’invocato precetto costituzionale» (sentenza n. 199 del 1992);
che, dunque, è pacifico che l’art. 108, primo comma, della legge n. 689 del 1981, non richiede, ai fini della conversione, una plurima violazione delle prescrizioni, essendo, invece, sufficiente che risulti violata «anche solo una delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione o alla libertà controllata», gravando sul giudice un onere di motivazione sul perché ritiene di dover procedere alla conversione in presenza di una sola violazione;
che, pertanto, allorché si è in presenza della violazione di almeno una delle prescrizioni tipiche impartite con il provvedimento di applicazione della libertà controllata, il giudice potrà comunque procedere alla conversione, valorizzando o la gravità oggettiva del comportamento violativo della prescrizione ovvero altre circostanze sintomatiche di una mancata volontà di reinserimento del condannato, come, ad esempio, l’assidua frequentazione di pregiudicati.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 108, primo comma, della legge 24 novembre 1981 n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Bari con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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