Cass. pen., sez. V 26-11-2008 (20-11-2008), n. 44159 Beni di provenienza illecita – Configurabilità del reato.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Torino ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di B.W. e S. A.R. in ordine ai delitti di bancarotta fraudolenta propria e impropria e di violazione delle norme sull’intermediazione finanziaria.
Ricorrono per cassazione gli imputati e propongono quattro motivi d’impugnazione.
Con il primo motivo i ricorrenti eccepiscono la nullità delle decisioni di merito per omessa citazione delle persone offese dal delitto di appropriazione indebita che sarebbe in realtà configurabile nei fatti controversi.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse ex art. 182 c.p.p., non avendo gli imputati alcun interesse a ottenere la presenza nel giudizio delle persone offese (Cass., sez. 4^, 2 marzo 2007, Pensabene, m. 237463).
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione della L. Fall., art. 216, sostenendo che non è configurabile la bancarotta rispetto a beni di provenienza illecita, come quelli che nel caso in esame sono oggetto di appropriazione indebita.
Il motivo è manifestamente infondato, essendo indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che anche beni, di provenienza illecita possono essere oggetto di bancarotta fraudolenta (Cass., sez. 5, 3 aprile 2003, Sivieri, m. m. 228297).
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione della L. Fall., art. 223, sostenendo che sarebbero configurabili solo i reati di false comunicazioni sociali, non perseguibili per difetto di querela e comunque estinti, per prescrizione.
Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata con riferimento alla consulenza tecnica di accertamento di un rapporto di causalità tra la falsità delle comunicazioni sociali e il dissesto aziendale.
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 62, 81 e 157 c.p., D.Lgs. n. 241 del 2006, art. 1 lamentando il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e l’eccessività della pena. Chiedono comunque l’applicazione del condono.
Anche questo motivo d’impugnazione propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata con riferimento alla gravità del reato e dei danni cagionati.
Inammissibile è anche la censura attinente alla mancata applicazione dell’indulto, che non era stata oggetto della decisione di merito (Cass., sez. 5^, 13 dicembre 2006, Dell’Aquila, m. 235775).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno al versamento della soma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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