Cass. pen., sez. I 26-11-2008 (11-11-2008), n. 44081 Questioni sulla loro persistenza dopo condanna, anche non definitiva – Inammissibilità.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con ordinanza in data 6.6.2008 il Tribunale di Salerno, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ha rigettato l’appello proposto da D. R.A. contro l’ordinanza 28.3.2008 del GIP del Tribunale di Vallo della Lucania che aveva rigettato la richiesta di revoca o di sostituzione con gli arresti domiciliari della misura cautelare della custodia in carcere applicata al D.R. per i reati di rapina aggravata, detenzione e porto di arma ed omicidio volontario commessi in (OMISSIS) in concorso con altri due complici.
Il tribunale ha preliminarmente rilevato che il D.R., a seguito di giudizio abbreviato, era stato condannato dal GIP alla pena di sedici anni di reclusione, concesse le attenuanti generiche nonchè la diminuente dell’art. 116 c.p. in relazione all’omicidio, ritenute equivalenti alle aggravanti, il che cristallizzava il quadro indiziario. Ha quindi ritenuto che non sussistessero le ragioni per cui il D.R. aveva invocato la attenuazione delle esigenze cautelari, discendenti dal riconoscimento delle suddette attenuanti, dal decorso del tempo e dal trasferimento di domicilio della sua famiglia, poichè: le attenuanti generiche e del concorso anomalo non mitigavano la obiettiva gravità delle condotte ascritte al D.R. che, trovandosi in una posizione privilegiata in quanto dipendente della vittima, aveva ideato, programmato ed eseguito la rapina accettando che venisse utilizzata l’arma ed anzi suggerendo al suo complice, che sapeva essere assuntore di sostanze stupefacenti di puntare l’arma contro la vittima; il passaggio di un solo anno dall’inizio della custodia cautelare era insignificante in presenza di una condanna a sedici anni di reclusione ed in relazione ai termini di custodia cautelare che erano ben più lunghi;
l’allontanamento della famiglia del D.R. dai luoghi del fatto non attenuava la pericolosità sociale dell’imputato.
Ha proposto ricorso per Cassazione la difesa del D.R. lamentando violazione dell’art. 299 c.p.p., in relazione all’art. 272 c.p.p. e segg., per difetto delle esigenze cautelari, nonchè mancanza di motivazione del provvedimento impugnato per avere il Tribunale omesso di confrontarsi con le argomentazioni svolte dalla difesa, anche con una memoria scritta, in relazione alla concludenza degli elementi probatori nell’ambito di una fattispecie particolarmente controversa e di valutare comunque l’incidenza nel quadro cautelare di tre elementi importanti, quali la concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 116 c.p., nonchè il trasferimento del domicilio familiare da parte dei parenti dell’imputato.
Il ricorso è infondato.
Occorre in primo luogo che, una volta intervenuto il giudizio di merito, anche se soltanto in primo grado, il giudice della cautela non può disattendere la ricostruzione dei fatti operata in sede di giudizio.
Il principio è stato ripetutamente affermato in giurisprudenza con riguardo alla gravità indiziaria sotto il profilo che la rivalutazione del quadro indiziario non è più consentita dopo l’intervento di una decisione assorbente sul merito emessa dal giudice della cognizione, con la quale non potrebbe configgere, per evidenti ragioni di certezza e di razionalità del sistema, l’apprezzamento, eventualmente diverso, del giudice del procedimento incidentale "de libertate" (v. per tutte Cass. 4.12.1997, Vincenti).
La avvenuta condanna costituisce infatti preclusione processuale alla rivalutazione della gravità degli indizi in sede di appello incidentale "de libertate" poichè il principio dell’autonomia del procedimento incidentale "de libertate" rispetto a quello principale non può essere interpretato rigidamente creando il pericolo che vengano ad esistere due pronunce giurisdizionali sul tema della colpevolezza, l’una incidentale e di tipo prognostico, l’altra fondata sul pieno merito e suscettibile di passare in giudicato, tra di loro contrastanti; per cui la valutazione in appello avverso il provvedimento restrittivo deve ritenersi preclusa quando interviene una decisione che contiene una valutazione nel merito così incisiva da assorbire l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza (v.
Cass. 9.4.1997, Fazio). La stessa ratio impone peraltro che dopo una pronuncia di merito pure la valutazione delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. debba avvenire alla stregua della ricostruzione di merito operata in sede di giudizio con riguardo non solo alla qualificazione dei fatti ed alla pronuncia di colpevolezza (il che è ovvio) ma anche alle circostanze del fatto che non possono essere diversamente apprezzate dal giudice della cautela.
E ciò acquista particolare rilievo proprio con riguardo alle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), che qui interessa, poichè la valutazione sia della gravità del fatto che della personalità del suo autore impongono l’esame di atti o comportamenti concreti che, dopo il giudizio di merito, devono essere quegli stessi atti o comportamenti apprezzati dal giudice del merito per giungere al giudizio di responsabilità e che non possono essere diversamente valutati dal giudice della cautela.
Ciò posto e considerato che dalla sentenza di merito, come riportata dal provvedimento impugnato, emerge che il D.R. è stato l’ideatore ed il programmatore della rapina poi sfociata nell’omicidio ed era pienamente consapevole che sarebbe stata utilizzata un’arma carica o immediatamente caricabile, mentre le attenuanti generiche sono state concesse soltanto in ragione della incensuratezza, in assenza di qualsiasi elaborazione della gravità della condotta, il che consente di escludere che sia venuto meno, per tale verso, il pericolo di reiterazione di condotte criminali dello stesso tipo, si tratta di verificare se esista o meno una motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla valutazione della durata della misura cautelare e del trasferimento di residenza dei suoi parenti. Orbene, si è già rilevato nella parte espositiva della presente sentenza che il Tribunale ha dato ampia ed esauriente risposta alle speculari argomentazioni portate dall’imputato in sede di appello, per cui deve escludersi che manchi la motivazione; ma si deve escludere pure che la motivazione sia incongrua o illogica poichè la proporzionalità e la adeguatezza della misura della durata di un anno, di fronte ad un a pena di sedici anni fra l’altro per omicidio, è di tutta evidenza, mentre il trasferimento di residenza dei parenti dell’imputato, ormai oppressi dalle "chiacchiere" del paese, non ha alcuna incidenza sulla pericolosità sociale dell’imputato.
Il ricorso deve essere pertanto respinto in quanto infondato sotto tutti i profili addotti, con le conseguenze di legge in punto di spese (art. 616 c.p.p.).
La cancelleria provvedere all’adempimento previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.
LA CORTE SEZIONE PRIMA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa, a cura della Cancelleria, al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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