Cass. pen., sez. I 21-11-2008 (13-11-2008), n. 43715 Confisca di beni – Possibilità dei terzi titolari di diritti reali sui beni confiscati di esperire incidente di esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con decreto del 20 aprile 2007 la Corte di Appello di Catanzaro, investita della cognizione con provvedimento di rinvio della Corte di legittimità che aveva qualificato come appello il ricorso ad essa in precedenza proposto, rigettava la doglianza articolata da M. D. avverso il provvedimento del Tribunale di Vibo Valentia, reso in data 17.02.2006, che aveva a sua volta respinto l’incidente di esecuzione sollevato da P.F., dante causa della istante nel frattempo deceduta, incidente volto alla restituzione al terzo proprietario del fabbricato confiscato a M.G. con decreto del Tribunale di Vibo Valentia il 27.1.1998 (confermato nelle varie sedi di impugnazione) sul presupposto che il fabbricato insisterebbe su fondi di proprietà dei terzi impugnanti ed in forza delle regole civilistiche in tema di accessione.
La Corte distrettuale ha sostenuto la sua decisione affermando che la P. tollerò volontariamente la realizzazione del manufatto sulla sua proprietà fondiaria, senza avvalersi dei diritti riconosciutile dall’art. 936 c.c. e facendo inutilmente decorrere il termine di decadenza posto da tale norma per la riduzione in pristino, di guisa che rimarrebbe a suo favore la possibilità di tutele civilistiche per il riconoscimento della maturata accessione alle condizioni risarcitorie previste dalla disciplina di tale complesso istituto. Chiede l’annullamento del predetto decreto della Corte distrettuale M.D. perchè viziato, a suo dire, da difetto di motivazione e violazione di legge.
Col primo motivo di ricorso sostiene l’impugnante, sotto il profilo dell’insufficiente ed illogico apparato motivazionale, che non risulterebbe affatto provato il pagamento con proventi illeciti della costruzione confiscata; che irrilevante si appaleserebbe la circostanza, enfatizzata nell’atto impugnato, che la P., proprietaria del suolo sui quale l’edificio venne realizzato, entro sei mesi dall’ultimazione della costruzione non avrebbe richiesto la rimessione in pristino; e che, infine, nessuna adeguata risposta avrebbe dato il giudice a quo al principio di diritto in forza del quale la misura di prevenzione della confisca non comporta l’estinzione dei diritti reali costituiti sul bene confiscato a favore di terzi. Col secondo motivo di doglianza sostiene il ricorrente, denunciando sul punto violazione di legge, la errata applicazione dei principi civilistici in tema di accessione, dappoichè avrebbero ignorato i giudicanti delle fasi di merito che l’operatività di tale ultimo istituto di diritto civile comporta l’automatica acquisizione da parte del proprietario del suolo di quanto sopra di esso edificato, senza alcuna necessità di specifiche manifestazioni di volontà al riguardo. Ha depositato memoria l’Avvocatura dello Stato in difesa delle ragioni dell’Agenzia del Demanio, beneficiarla della confisca ed ha illustrato motivate conclusioni scritte il P.G. in sede.
L’avvocatura ha chiesto il rigetto del gravame di legittimità sul duplice rilievo che, per un verso, la proprietà del terzo non risulterebbe provata, dappoichè insufficienti al riguardo le risultanze catastali e, per altro verso, la dante causa del ricorrente non sarebbe estranea al reato come imposto per l’esperibilità dell’azione di restituzione.
Ha concluso invece per la inammissibilità del gravame di legittimità il rappresentante della P.A., il quale ha motivato le sue richieste sostenendo che l’impugnante non avrebbe titolo opponibile alla confisca dappoichè non in buona fede ed in quanto, comunque, non provata la sua buona fede, condizione ineludibile, quest’ultima, per l’utile delibazione della istanza di restituzione.
Il ricorrente ha altresì depositato memorie aggiunte, per contrastare l’assunto dell’avvocatura relativo alla mancanza di titolo dominicale in capo alla dante causa del ricorrente, al riguardo richiamando le considerazioni contrarie illustrate dal P.G. in sede e per sostenere che il requisito della buona fede, per un verso, non può costituire probatio diabolica ogni qual volta, come nella fattispecie, riguardi i rapporti tra madre e figlio, e per altro verso, che essa buona fede va esclusa soltanto in presenza di attività concretamente apprezzabili, riconducibili alla nozione di agevolazione se non di fiancheggiamento, nel caso in esame pacificamente esclusi dai titoli giudiziali relativi al figlio condannato.
Il ricorso è infondato.
Giova rammentare che la confisca per cui è causa è avvenuta in applicazione della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter, recante:
"Disposizioni contro la mafia". Le impugnazioni contro i provvedimenti contemplati da tale norma, secondo la disciplina dettata dalla citata legge, art. 3 ter, sono regolate dalle disposizioni della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, commi 8, 9, 10 ed 11, e comma 11 appena richiamato ammette il ricorso per Cassazione soltanto per violazione di legge.
E’ inammissibile, pertanto, il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il difetto di motivazione quale vizio dell’atto impugnato.
Quanto, invece, alla denunciata violazione di legge, si osserva che, ai sensi dell’art. 934 c.c. la proprietà si acquista ipso iure al momento dell’incorporazione, trattandosi di fatto giuridico in senso stretto. non essendo pertanto necessaria nè una manifestazione di volontà, nè una pronuncia giudiziale, che assume, se provocata, valore dichiarativo.
E’ questo il principio generale dell’acquisto al dominus soli, principio, come è noto, derogabile dalla legge o dal titolo. Qui interessano le deroghe legislative, e precisamente quelle portate dall’art. 936 c.c. dappoichè l’ipotesi al nostro esame è quella di una costruzione fatta da un terzo con i suoi materiali, ed anche in questa ipotesi, come correttamente annotato ed opinato dal P.G., l’acquisto della proprietà delle opere eseguite dal terzo si attua ipso ture per effetto della costruzione stessa (Cass., 20.08.1986 n. 5116); tale acquistò peraltro non è definitivo ed esso si ha come non avvenuto quando il proprietario del suolo intimi la rimozione della cosa, circostanza non verificatosi nel caso in esame, in cui non può pertanto revocarsi in dubbio che il titolare del diritto di proprietà del suolo sia diventato proprietario con effetto immediato della costruzione realizzata su di esso eppoi sottoposta a provvedimento di confisca.
Nella fattispecie peraltro, come posto in evidenza dall’Avvocatura dello Stato nelle sue difese, la prova di tale diritto dominicale manca del tutto.
Sul punto, come è noto, vige il principio in forza del quale il soggetto che in base al diritto di proprietà faccia valere una sua pretesa, deve dimostrare di esserne il titolare in virtù di acquisto a titolo derivativo o originario (Cass. civ., Sez. 3, 11/04/2008, n. 9681) mentre, nel caso che ci occupa,, la prova della titolarità del diritto in questione è stata affidata alle informative della guardia di finanza ed alle risultanze delle certificazioni catastali inidonee allo scopo.
Difetta infine in capo alla dante causa del ricorrente la prova della buona fede quale requisito necessario ai fini dell’utile esperimento dell’incidente di esecuzione da parte del terzo titolare di diritti reali sul bene confiscato.
E’ nota al riguardo l’elaborazione giurisprudenziale provocata dalla pronuncia della Corte costituzionale, che, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 quinquies, comma 2, nella parte in cui consente che il provvedimento di confisca dei beni ivi previsto possa riflettersi su soggetti per i quali non ricorrano i presupposti per l’immediata applicazione di una misura di prevenzione personale, ha precisato che la situazione di "sostanziale incolpevolezza" segna il limite della confisca, aggiungendo che una simile condizione soggettiva, su cui è fondata la tutela del terzo in buona fede, non ricorre nei confronti di chi, pur non essendo assoggettabile a provvedimenti di prevenzione, pone in essere attività agevolati ve che determinano obiettiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività mafiosa (Corte Cost., 20 novembre 1995, n. 487). Deve, dunque, affermarsi – anche alla luce di una lettura costituzionalmente orientata della legislazione antimafia – che la salvaguardia del preminente interesse pubblico non può giustificare il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, dovendo considerarsi la sua posizione "protetta dal principio della tutela dell’affidamento incolpevole, che permea di sè ogni ambito dell’ordinamento giuridico" (Corte Cost., 10 gennaio 1997, n. 1). Ne consegue pertanto, che non può mai prescindersi dalla prova della effettiva terzietà di chi assume avere diritti sul bene oggetto di confisca, non potendo considerarsi terzo colui che, avendo ricavato vantaggi e utilità, non si sia trovato in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole.
Il principio testè indicato deve essere integrato rilevando che anche nel sistema della L. n. 575 del 1965 è applicabile il principio enunciato in materia di confisca, quale misura di sicurezza, dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui i terzi che vantino diritti reali hanno l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di "appartenenza" e di "estraneità al reato", dalle quali dipende l’operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato: di talchè, nell’analoga ipotesi della confisca quale misura di prevenzione patrimoniale, sui terzi fa carico l’onere della prova sia relativamente alla titolarità dello "ius in re aliena", il cui titolo deve essere costituito da un atto di data certa anteriore al sequestro di cui al più volte citato art. 2 ter, sia relativamente alla mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attività illecita del proposto, indiziato di mafia, derivante da condotte di agevolazione o, addirittura, di fiancheggiamento (Cass., Sez. i, 11.2.2005, n. 12317, est.
Silvestri).
In altri termini, l’onere probatorio a carico del terzo ha ad oggetto la dimostrazione del suo affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di oggetti va apparenza che rende scusabile l’ignoranza o i difetto di diligenza (cfr. Cass., Sez. Un., 28 aprile 1999, Bacherotti ed altri, cit).
Nel caso in esame, nonostante il contrario avviso della difesa ricorrente che ha richiamato l’appena evocato insegnamento delle sezioni unite di questa Corte, lo strettissimo rapporto intercorrente tra dominus soli e costruttore terzo, uniti da vincolo di filiazione, evidenzia di per sè l’atteggiamento agevolativo della proprietaria (dando per provato il diritto dominicale) a cagione della innegabile conoscenza da parte di costei di quanto il secondo realizzava, con il suo consenso, e di "come" la realizzazione sia stata economicamente possibile.
Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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