CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE – SENTENZA 18 settembre 2008, n.35646 PRESUPPOSTI LEGITTIMANTI LA SCRIMINANTE PUTATIVA DEL DIRITTO DI CRITICA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 21 gennaio 2008 la Corte d’appello di Milano, sezione prima penale, pronunziandosi a seguito dell’annullamento con rinvio della decisione del Tribunale di Milano, sezione distaccata di Desio, disposto il 27 aprile 2005 dalla Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, dichiarava non doversi procedere nei confronti di P. G. e M. V. C., imputati, rispettivamente, del reato di cui agli artt. 81 cpv, 595, commi primo e terzo, c.p. L. 47/1948 e 57 c.p. in relazione all’art. 595 c.p. nella qualità, il primo, di autore degli articoli pubblicati su “Il Giornale” il 29 e il 30 novembre 2000 e, il secondo, di direttore responsabile del predetto quotidiano per intempestività della querela proposta da R. M. e, inoltre, assolveva P. G. e M. V. C. dalle residue imputazioni loro contestate rispettivamente perché il fatto non costituisce reato e perché il fatto non sussiste.2. Dalla sentenza impugnata emergevano le seguenti circostanze di fatto.

Con i tre articoli pubblicati il 29 e il 30 novembre 2002 e il 2 dicembre dello stesso anno, sul quotidiano “Il Giornale”, all’epoca diretto da M. C., il giornalista P. G. evidenziava la mancanza di corrispondenza tra il contenuto dell’intervista al giudice P. B. mandata in onda dall’emittente televisiva “Rai News 24” e quella apparsa sul settimanale “L’Espresso” l’8 aprile 1994, costituente, a sua volta, la trascrizione letterale di alcuni brani della lunga intervista (circa cinquanta minuti di registrazione) rilasciata dal dott. B. ai due giornalisti francesi M. e C. e argomentava che i tagli e le modifiche apportate erano tali da attribuire alle dichiarazioni del magistrato un significato sostanzialmente diverso soprattutto con riguardo alla figura di M. Dell’U. e ai rapporti intercorsi tra quest’ultimo e V. M..

Più specificamente, l’articolo del 29 novembre 2000, recante il titolo “E’ manipolata l’intervista che mi accusa messa in onda dalla Rai”, riportava la notizia della diffida inviata alla Rai dal legale di M. Dell’U., che riteneva manipolata per “determinare discredito e diffamazione” l’intervista al giudice P. B. mandata in onda dalla emittente pubblica televisiva “Rai News 24” e lamentava la falsificazione della stessa “all’evidente scopo di attribuire alle dichiarazioni dell’intervistato significati diversi da quelli espressi nell’intervista originale”. L’autore dell’articolo osservava che “tagli e manipolazioni” erano “tali da accreditare coinvolgimenti di Dell’U. in traffici di droga e rapporti diretti con V. M.”. Il giornalista, dopo avere dato atto della circostanza che, secondo la Rai, il filmato era una copia dell’originale depositato agli atti di un processo penale, ottenuta previa autorizzazione della magistratura e trasmessa senza manipolazioni né tagli, osservava che i brani dell’intervista trasmessa dalla Rai non “coincidevano con quelli apparsi sull’Espresso”, e già a suo tempo ritenuti pacificamente una trascrizione letterale del più ampio testo originale. Sulla base di questi elementi l’autore dell’articolo argomentava che la cassetta ottenuta da “Rai News 24” non conteneva l’intervista originale al giudice B. e commentava testualmente: “qualcuno l’ha manipolata. Se non è stata la Rai, chi ci ha messo le mani?”.

Considerazioni analoghe venivano svolte nell’ambito dell’articolo pubblicato sul quotidiano “Il Giornale” il 30 novembre 2000 nel quale venivano illustrate dettagliatamente le differenze rilevate tra il testo dell’intervista mandata in onda da “Rai News 24” e quello a suo tempo pubblicato, l’8 aprile 1994, sul settimanale “L’Espresso”.

Nell’articolo pubblicato il 2 dicembre 2000 sul medesimo quotidiano e intitolato “B., il giallo del video e dei tagli di Rai News 24”, il giornalista G. prendeva spunto dalla lettera con la quale R. M., pur confermando di avere trasmesso integralmente l’intervista in questione, comunicava che si trattava di una “sintesi montata”, pari a dodici minuti, della registrazione originale dell’intervista, della durata di cinquanta minuti, integralmente pubblicata dalla giornalista C. B. sul settimanale “L’Espresso”, per ribadire che l’intervista mandata in onda nel corso della trasmissione di “Rai News 24” era stata manipolata e concludeva che la lettera di M. doveva considerarsi una “ammissione di colpa”. Nell’articolo si precisava pure che M. aveva dichiarato di avere “acquisito l’intervista dalla Procura di Caltanissetta” e che tale circostanza, oltre a sorprendere moltissimo, imponeva di “sapere la verità, tutta la verità che ci sembra comunque inquietante”. Con riferimento ai tagli operati, il giornalista G. lamentava in particolare la circostanza che nella sintesi dell’intervista mandata in onda da “Rai News 24”, mancasse, rispetto al testo apparso sul settimanale “L’Espresso”, “la parte dell’intervista in cui il povero B. parla dell’autentica attività ippica svolta da M. a Milano”, e, inoltre, che fossero stati operati tagli a domande e risposte con il risultato di “creare confusione nello spettatore tra due intercettazioni diverse e distanti, nel tempo e nello spazio, alle quali B. si riferisce in momenti diversi”. Ribadiva, poi, che l’intervista mandata in onda su “Rai News 24” era stata manipolata e concludeva che la lettera di M. doveva essere considerata una “ammissione di colpa”.

3. La Corte d’appello di Milano riteneva intempestiva, con riferimento agli articoli apparsi il 29 e il 30 novembre 2000 sul quotidiano “Il Giornale”, la querela presentata il 2 marzo 2001 dalla parte lesa M., osservando che dallo stesso tenore della lettera dallo stesso inviata al direttore e pubblicata il 2 dicembre 2000 sul medesimo quotidiano emergeva univocamente che il giornalista aveva avuto conoscenza in epoca precedente dei fatti e che, quindi, la querela era stata proposta oltre il termine di tre mesi previsto dalla legge.

La sentenza impugnata perveniva, invece, a diverse conclusioni relativamente alle parti lese F. e R.. Dopo un analitico esame del testo dei tre articoli pubblicati sul quotidiano “Il Giornale” e di quello apparso sul settimanale “L’Espresso” l’8 aprile 1994, i giudici di merito pervenivano alla pronunzia assolutoria sulla base delle seguenti considerazioni:

l’accusa di avere trasmesso un’intervista manipolata, al fine di diffamare M. Dell’U., concreta indubbiamente un’offesa all’onore e alla reputazione dei giornalisti responsabili del servizio mandato in onda su “Rai News 24”;

dalle risultanze delle trascrizioni emergeva l’assoluta corrispondenza tra la videocassetta che i giornalisti di “Rai News 24” avevano ottenuto dalla famiglia B. (a sua volta corrispondente a quella agli atti della Procura della Repubblica di Palermo) e il contenuto dell’intervista al Giudice che “Rai News 24” aveva mandato in onda;

nella lettera inviata al quotidiano “Il Giornale” e pubblicata unitamente al citato articolo del 2 dicembre 2000, M., dopo avere ribadito di avere trasmesso l’intervista “integralmente così come è stata ricevuta” costituiva la sintesi montata di cinquanta minuti di registrazione, così come in precedenza aveva specificato il settimanale “L’Espresso”;

dalle dichiarazioni rese a dibattimento da R. e F. era univocamente emersa l’impossibilità, malgrado i tentativi fatti, di ottenere la versione originale dell’intervista, poiché il giornalista C. aveva chiarito che il materiale non era più in loro possesso e la casa di produzione era fallita;

anche il servizio di “Rai News 24” aveva fatto, in apertura, esplicito riferimento all’articolo già pubblicato dall’Espresso nell’aprile del 1994, evidenziando testualmente: “ci sono però delle piccole differenze rispetto al video che vedrete”;

il testo dell’intervista al Giudice B., mandata in onda da “Rai News 24”, presentava, rispetto all’intervista pubblicata dal settimanale “L’Espresso” alcune significative differenze concernenti in particolare: a) l’omesso riferimento all’interesse di M. per i cavalli, intesi come animali e non come sinonimo di droga: b) l’attribuzione di una risposta, riferita ad un’intercettazione intercorsa tra M. e un componente della “famiglia” I., ad una differente domanda concernente una conversazione intercorsa tra V. M. e M. Dell’U. in cui si parlava di cavalli, sì da potere ingenerare l’erroneo convincimento che potesse essere stato Dell’U., e non un componente della “famiglia” I., l’interlocutore di una conversazione con M. in cui, con linguaggio criptato, si faceva riferimento alla droga;

pur essendo indubbio che l’operazione di sintesi e montaggio non era stata realizzata dai giornalisti di “Rai News 24” R. M., A. F., S. R, cui non era ascrivibile alcuna manipolazione, la tesi di Guzzanti di trovarsi di fronte a un caso di manipolazione si fondava sulla circostanza che l’intervista mandata in onda su “Rai News 24” era obiettivamente il frutto di una rielaborazione della cassetta originale e che l’unico elemento di paragone era rappresentato dall’articolo apparso sul settimanale “L’Espresso” dell’8 aprile 1994.

Ad avviso dei giudici di merito sussistevano, quindi, i presupposti per ritenere sussistente l’esimente dell’esercizio putativo del diritto di critica, in quanto la notizia era stata controllata con adeguata serietà professionale, il giornalista era rimasto vittima di un errore involontario sulla corrispondenza al vero del fatto esposto, era stato rispettato il limite della continenza entro il quale deve svolgersi il corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica, atteso che i giudizi formulati, pur nella loro durezza, da inquadrare in una polemica a sfondo politico, non erano trascesi in attacchi personali diretti a colpire la figura morale dei giornalisti né contenevano termini offensivi rivolti, in modo gratuito, agli interlocutori.

4. Avverso la citata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, le parti civili costituite M., F. e R. che lamentano: a) carenza della motivazione con riferimento alle ragioni poste a base dell’assoluzione del direttore, quanto meno con riferimento ai titoli degli articoli, all’intero corredo grafico e ai richiami di prima pagina; b) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’assoluzione del giornalista G., considerato che: 1) nessuna manipolazione è ascrivibile ai ricorrenti, i quali, insieme con la Rai, hanno precisato di avere ricevuto la videocassetta contenente l’intervista dalla Procura di Caltanissetta; 2) il quotidiano ha ignorato tale presa di posizione e, pur pubblicando la rettifica inviata da M., ha portato avanti l’attacco diffamatorio; 3) gli articoli travisano l’andamento dell’intervista trasmessa su “Rai News 24”; 4) vengono attribuiti alla Rai interventi manipolativi mai effettuati; 5) non sono mai esistiti un trailer di dodici minuti testualmente trascritto sul settimanale “L’Espresso” e una videocassetta contenente i gli operati sullo stesso mandata in onda su “Rai News 24”, bensì soltanto una videocassetta originale, della durata di oltre cinquanta minuti, usata dalla giornalista C. B. e una videocassetta più breve, acquista successivamente e consegnata da quest’ultima alla famiglia B., sequestrata dalla Procura di Caltanissetta e mandata in onda su “Rai News 24”; 6) dal confronto fra i testi dell’intervista pubblicata sul settimanale “L’Espresso” e quella andata in onda su “Rai News 24” risulta che il giudice B., sia pure rispondendo a domande diverse e facendo riferimento a due distinti processi (maxi-processo e inchiesta denominata “San Valentino”), conferma la sua opinione che anche M. Dell’U. e V. M., nel conversare telefonicamente, usino il termine cavalli in senso convenzionale per riferirsi alla droga secondo una metodologica verificabile anche nella telefonata intercorsa tra V. M. e un uomo della “famiglia” I..

Osserva in diritto

1. Il ricorso proposto dalle parti civili nei confronti del direttore del quotidiano “Il Giornale” è inammissibile.

La disposizione di cui all’art. 577 c.p.p. (abrogata dall’art. 9 della l. n. 46 del 2006) – che legittimava la persona offesa, costituita parte civile, a proporre impugnazione anche agli effetti penali contro la sentenza per i reati di ingiuria e diffamazione – aveva carattere eccezionale e, pertanto, non era suscettibile di interpretazione analogica e neppure estensiva (Cass., Sez. V, 10 luglio 2006, n. 33093, rv. 234628; Cass. 23 settembre 2004 n. 37430, rv. 229884; Cass. 14 settembre 2004 n. 36283 rv. 230629; Cass. 16 giugno 2005 n. 22673, rv. 231891).

Di conseguenza il Collegio, pur consapevole di un isolato orientamento di segno contrario (Cass., Sez. I, 15 novembre 2001, n. 4462, rv. 221058), ritiene che essa non poteva trovare applicazione per l’ipotesi di omesso controllo del direttore responsabile sul contenuto della pubblicazione, previsto dall’art. 57 c.p., che rappresenta una fattispecie del tutto autonoma rispetto a quella della diffamazione ex art. 595 c.p..

L’appello proposto agli effetti penali dalle parti civili contro M.C. era, pertanto, inammissibile e tale situazione, che può essere rilevata anche in questa sede secondo il disposto dell’art. 591 c.p.p., comma quarto, c.p.p. di portata generale in materia di impugnazioni, comporta l’automatica inammissibilità del ricorso ai menzionati effetti.

Il ricorso proposto contro il direttore responsabile agli effetti civili è, a sua volta, inammissibile, in quanto è stata del tutto omessa l’indicazione delle pretese restitutorie.

2. Non fondata è la seconda censura riguardante la posizione del giornalista G..

In proposito deve essere svolto, in via preliminare, un duplice ordine di considerazioni.

2.1. Alla luce della nuova formulazione dell’art. 606, lett. e), c.p.p., novellato dall’art. 8 della l. 20 febbraio 2006 n. 46, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass., Sez. VI, 15 marzo 2006, Casula).

Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.

E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Cass., Sez. VI, 15 marzo 2006, Casula).

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice.

Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

2.2. In tema di diffamazione a mezzo stampa, condizioni indispensabili per il corretto esercizio del diritto di critica sono:

a) la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni criticate, in quanto – fermo restando che la realtà può essere percepita in modo differente e che due narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze anche marcate – non può essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti dallo stesso non tenuti o espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni fossero effettivamente a lui riferibili; esula, quindi, dal diritto di critica il gratuito attacco morale alla persona e, pur essendo consentita una polemica anche intensa su temi di rilievo sociale e politico, è pur sempre necessario che quei dati non siano strumentalmente travisati nel loro nucleo essenziale;

b) l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti;

c) la continenza che deve ritenersi superata quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica; la verifica circa l’adeguatezza del linguaggio alle esigenze del diritto del giornalista alla cronaca e alla critica impone l’accertamento della verità del fatto riportato e la proporzionalità dei termini adoperati per rapporto all’esigenza di evidenziare la gravità dell’accaduto, quando questo presenti oggettivi profili di interesse pubblico (Cass., Sez. V, 15 ottobre 1987, Beria d’Argentine; Cass., Sez. V, 5 marzo 2004, Giacalone; Cass., Sez. V, 20 aprile 2005, n. 19381, rv. 231562; Cass., Sez. V, 31 gennaio 2007, n. 7662, rv. 236524; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2008, n. 4496;)

Per avere efficacia scriminante, l’esercizio del diritto di critica postula, oltre al rispetto del limite della continenza, la stigmatizzazione di un fatto obiettivamente vero nei suoi elementi essenziali oppure ritenuto tale per errore assolutamente scusabile. Non assume, al contrario, rilievo, ai fini della sussistenza dell’esimente, la verità solo supposta del fatto diffamatorio non sottoposto alle opportune verifiche e ai doverosi controlli (Cass., Sez. V, 11 agosto 1998, n. 11199, rv. 212131).

Nel caso in cui il fatto narrato risulti obiettivamente falso, la possibilità di applicare la scriminante ex art. 51 c.p. sotto il profilo putativo ai sensi dell’art. 59, comma primo, c.p. presuppone che il giornalista abbia assolto all’onere di controllare accuratamente la notizia risalendo alla fonte originaria e che l’errore circa la verità del fatto non costituisca espressione di negligenza, imperizia o, comunque, di colpa non scusabile (Cass., Sez. V, 2 dicembre 1999, n. 1952, rv. 216437).

3. Esaminata in quest’ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse.

Il provvedimento impugnato, con ampi ed esaurienti riferimenti alle emergenze processuali acquisite (testimonianza di F. B., dichiarazioni rese a dibattimento da R. e F. circa l’impossibilità di ottenere il testo originale dell’intervista al Giudice a seguito delle affermazioni del giornalista C. in merito all’omessa, perdurante disponibilità del materiale e il fallimento della casa produttrice), ha, in primo luogo, sottolineato che nessuna manipolazione è ascrivibile a R. M. ,A. F. e S. R. e che sussiste assoluta corrispondenza tra la videocassetta che i giornalisti della Rai hanno ottenuto dalla famiglia B. (a sua volta identica a quella esistente agli atti della Procura della Repubblica di Palermo) e l’intervista trasmessa su “Rai News 24”.

Muovendo da questa premessa, la sentenza impugnata, con motivazione compiuta ed esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha illustrato i motivi per i quali l’accusa di avere trasmesso un’intervista manipolata, al fine di diffamare M. Dell’U., astrattamente idonea a concretare un’offesa all’onore e alla reputazione dei giornalisti responsabili del servizio mandato in onda su “Rai News 24”, rientra nell’ambito dell’esercizio putativo del diritto di critica, tenuto conto dei seguenti elementi di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità: 1) autenticità del testo dell’intervista pubblicata l’8 aprile 1994 sul settimanale “L’Espresso”; 2) esistenza di alcune differenze significative tra il testo riportato nell’articolo pubblicato sul settimanale “L’Espresso” e quello trasmesso da “Rai News 24”; 3) convinzione del giornalista P. G. che la cassetta dell’intervista al Giudice B. fatta da M. e C., trascritta nell’articolo a firma di C. B., costituisse l’unico documento relativo all’intervista stessa, come testimoniato dal seguente passaggio testuale contenuto in uno degli articoli incriminati: “quella era e resta l’unico documento noto della famosa intervista. Ho chiesto a C.B. dove fosse finita la cassetta… e mi ha risposto: l’ho consegnata alla vedova B., perché si trattava dell’ultimo ricordo del giudice ucciso. Che cosa ne poi ne abbia fatto la signora, lo ignoro. La stessa collega, che non è certo tenera con B. e Dell’U., si è detta sconcertata e irritata per l’uso che è stato fatto del materiale da lei recuperato e prodotto sull’Espresso. M. dice ora di avere acquisito l’intervista dalla Procura di Caltanissetta, ciò che ci sorprende moltissimo e su cui vorremmo sapere la verità, tutta la verità che ci sembra comunque inquietante. M. fa del sarcasmo sul fatto che io abbia usato la parola schifo. Forse ha ragione e mi correggo. La parola appropriata è: paura”. Le considerazioni sviluppate dal giornalista nei tre articoli, dal contenuto prevalentemente valutativo e sviluppate nell’alveo di una polemica accesa e dura su una questione di indubbia rilevanza sociale e politica, si fondano su circostanze che, sebbene non veritiere, rappresentano il frutto di un errore scusabile, avendo G. assunto quale parametro di riferimento per valutare la veridicità delle notizie mandate in onda su “Rai News 24” l’articolo pubblicato l’8 aprile 1994 sul settimanale “L’Espresso”, contenente la trascrizione letterale solo di alcuni brani della lunga intervista, della durata di circa cinquanta minuti, rilasciata dal Giudice B. ai due giornalisti francesi M. e C.. L’informazione data sul quotidiano “Il Giornale” con i tre articoli non può, pertanto, ritenersi strumentalmente travisata e manipolata e, sotto il profilo del rispetto del limite della continenza, e le sue modalità non appaiono sovrabbondanti ai fini del concetto da esprimere e della descrizione del fatto assoggettato a critica in presenza del pubblico interesse alla conoscenza né sono trasmodate in un attacco personale consapevolmente lesivo della sfera privata altrui (Cass. Sez. V, 6 febbraio 1981 n. 5385, Marzullo).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso nella parte riguardante la posizione di C. M. V.

Rigetta nel resto il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *