CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE – SENTENZA 3 luglio 2008, n.26766 TOCCARE LA CAVIGLIA CONFIGURA TENTATIVO DI VIOLENZA SESSUALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Il Gup del Tribunale di Monza, con sentenza del 2/2/06, condannava P.F.P. alla pena di mesi otto di reclusione, ritenutolo colpevole dei reati di cui agli artt. 56 e 609 bis c.p., u.c., c.p., per avere seguito C.M., di anni 25, per un tratto di strada, fino alla porta dell’abitazione ove costei era diretta, quindi raggiuntala, l’aveva afferrata per i polpacci, intimandole di stare zitta, desistendo per la ferma e decisa reazione della donna, che si liberava dalla presa dell’uomo e, urlando, faceva intervenire in suo aiuto un poliziotto.

A seguito di appello proposto dal prevenuto la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 9/11/07, ha confermato la decisione di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

– mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione – inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56 e 609 bis c.p., rilevando la insussistenza nella condotta posta in essere dal prevenuto degli elementi concretizzanti la fattispecie di reato ascrittogli, in quanto le stesse contraddizioni, rilevabili nelle dichiarazioni rese dalla p.o., avrebbero dovuto indurre il decidente ad escludere la concretizzazione del tentativo di violenza sessuale.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La decisione oggetto di gravame appare logicamente e correttamente motivata.

La difesa del P. censura la sentenza in punto di errata valutazione delle dichiarazioni rese dalla C., che avrebbero dovuto permettere di escludere che il prevenuto avesse tentato di porre in essere una violenza sessuale nei confronti di ella.

Infatti, la dinamica dei fatti, se correttamente letta, dava agio di ritenere che il P. aveva voluto fare alla donna uno scherzo, anche se di cattivo gusto, e che, in ogni caso, il fatto di averle toccato una caviglia non avrebbe potuto configurare il reato ascrittogli.

La obiezione mossa è priva di pregio per quanto di seguito si osserva.

Il giudice di merito ha analizzato il quadro probatorio ed ha evidenziato che il prevenuto non ha negato di avere seguito la donna, nè di essersi avvicinato ad essa, fino a toccarle una caviglia, e, di poi, alle grida di costei, di essersi allontanato, ammonendola di stare zitta.

La p.o. ha dichiarato che mentre si incamminava per la via ****, diretta a casa del fidanzato, sentiva alle sue spalle un uomo che fischiava e, pur comprendendo che ciò veniva fatto per richiamare la propria attenzione, proseguiva, fingendo di non averlo sentito.

Accelerava il passo, inseriva la chiave nel portone, e, nell’atto di aprirlo, si sentiva afferrare alle caviglie ed ai polpacci da un uomo che le intimava di tacere e che, rialzatosi dalla posizione china, cercava di toccarla nuovamente, nonostante il suo indietreggiare per allontanare da sè l’individuo, che, vista la ferma reazione della vittima cercava di dileguarsi, ma veniva raggiunto da un poliziotto in borghese, occorso in aiuto della donna.

In dipendenza di quanto rilevato il giudice di merito ritiene che gli atti posti in esser dall’imputato siano da inquadrare nella fattispecie di reato prevista dall’art. 56, 609 bis c.p., evidenziando, preliminarmente, la attendibilità della p.o. e la credibilità dei fatti denunciati dalla stessa, non contestati dalle dichiarazioni del medesimo imputato.

Con il ricorso si contesta che proprio per le modalità in cui si è svolta la vicenda, il decidente avrebbe dovuto assolvere il P., in quanto in esse non sarebbe ravvisabile alcun elemento di attinenza con la imputazione.

Orbene, il giudice di merito osserva che il gesto compiuto dal prevenuto, preceduto da pedinamento, fischi da richiamo e apprezzamento, fosse un chiaro approccio sessuale, prodromico a più approfonditi contatti fisici, laddove la vittima non si fosse opposta, rilevando, peraltro, la sussistenza nella condotta del P. di insidiosa rapidità, così da sorprendere la donna.

Inoltre, tra i due non intercorreva la pur minima conoscenza, circostanza che avrebbe potuto fare ritenere plausibile che il prevenuto avesse voluto fare uno scherzo alla donna.

Devesi rilevare che è configurabile il tentativo di violenza sessuale, di cui all’art. 609 bis, c.p., quando, pur in mancanza di atti di contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta denoti il requisito soggettivo della intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo della idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, elementi ravvisati dal giudicante nella specie.

Inconferente risulta essere la obiezione mossa dal prevenuto, secondo cui il toccamente di una caviglia non può considerarsi atto di intrusione nella sfera sessuale altrui, ciò perchè questa zona del corpo non qualificata erogena, in quanto che se il P. avesse palpeggiato altre parti anatomiche della C., generanti sensazioni erotiche, avrebbe dovuto rispondere di reato consumato e non tentato.

E’ opportuno ribadire che nella verifica della fondatezza o infondatezza del motivo di ricorso ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il compito del giudice di legittimità non consiste nell’accertare la plausibilità e la intrinseca adeguatezza dei risultati della interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma è quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se, nella interpretazione delle prove, abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 21/9/99, Guglielmi), come ravvisati nel discorso giustificativo della decisione oggetto di gravame.

Peraltro, non è producente opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, come il P. tenta di prospettare, dato che in tale ipotesi verrebbe, inevitabilmente, invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Cass. 6/5/03, Curcillo; Cass. SU. 19/6/96, Di F.).

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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