Cass. pen., sez. V 19-11-2008 (04-11-2008), n. 43232 Dichiarazioni rese da soggetto che doveva essere sentito come indagato – Verifica del giudice – Instaurazione irrituale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1. Con l’impugnata sentenza è stata confermata la dichiarazione di colpevolezza di B.L. in ordine ai reati di lesioni aggravate e ingiuria ai danni di M.G., capotreno delle Ferrovie Trenitalia s.p.a..
I giudici del merito hanno ritenuto accertato che il M., che aveva contestato alla viaggiatrice P.C. di essere sprovvista di "biglietto, nella stazione di (OMISSIS) era stato aggredito dal di lei convivente, B.L., con la catena di un guinzaglio per cani avente in cima un moschettone ed anche offeso con l’epiteto "bastardo", e, caduto per terra, era stato nuovamente colpito con dei calci.
Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato con cinque motivi, come di seguito rubricati.
1. Inosservanza di norme processuali, per essere stata la statuizione di colpevolezza basata sulle dichiarazioni di persone (il M. e il macchinista del treno) che non potevano essere ascoltate come testimoni, in quanto raggiunte da indizi di reità già anteriormente alla loro audizione dibattimentale.
2. Vizio di motivazione in ordine al diniego della scriminante di cui all’art. 52 c.p..
3. Analogo vizio in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2 e alla ritenuta ricorrenza della aggravante ex art. 61 c.p., n. 10.
4. Errata adozione del giudizio direttissimo anche per il reato di ingiuria,non rientrante tra quelli soggetti a tale rito speciale e comunque di competenza del giudice di pace.
5. Inosservanza di legge in relazione alla ritenuta ricorrenza della recidiva reiterata e alla obbligatorietà del relative aumento di pena.
2. Il primo motivo è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il divieto di utilizzabilità nei confronti di terzi di dichiarazioni raccolte da persona che avrebbe dovuto essere sentita in qualità di indagata,anche se prescinde da una già intervenuta imputazione formale (dovendosi considerare la posizione sostanziale del soggetto al momento dell’atto), non può comunque colpire le dichiarazioni rese al giudice da soggetto che mai abbia assunto la qualità di imputato o quelle, equiparateci persona sottoposta a indagini, dal momento che il giudice, a differenza del pubblico ministero, non può attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, la suddetta qualità, ma può, e deve, soltanto verificare che essa non sia già stata formalmente assunta, si che sussista incompatibilità con l’ufficio di testimone, ai sensi dell’art. 197 c.p.p., comma 1, lett. a) e b).
Ne consegue che il riferimento alla "posizione sostanziale" del dichiarante non esaurisce la verifica dei presupposti di applicabilità dell’art. 63 c.p.p. la quale si estende anche alla necessità della successiva formale instaurazione del procedimento a suo carico (Cass. Sez. 2, 21 settembre 2007, rv. 238218; Sez. 5, 28 gennaio 2003, Bernya).
E, nella specie, neppure si deduce dal ricorrente che i due testimoni fossero stati iscritti nel registro degli indagati.
Il secondo motivo è inammissibile.
Si incentra essenzialmente sulla denuncia di mancato apprezzamento della evidenziata e censurata singolarità "di una aggressione ove è aggredito ad inseguire l’aggressore". Ma la doglianza, sotto la specie della puntualizzazione degli argomenti difensivi asseritamente pretermessi, finisce con l’introdurre rilievi in punto di fatto che non sono certamente apprezzabili in questa, sede di legittimità. Si prospetta infatti una ricostruzione della vicenda difforme da quella operata dai giudici del merito, secondo i quali all’aggressione subita ad opera del B. nella stazione ove nel frattempo il treno aveva fatto sosta, la persona offesa si era limitata a cercare di disarmare l’agente ed era poi caduto a terra, continuano ad essere colpito con calci.
Le considerazioni che precedono danno contezza pure della palese infondatezza della pretesa di applicazione della attenuante della provocazione, almeno sotto il profilo putativo: i giudici del merito hanno ragionevolmente escluso che l’invito del M. rivolto alla viaggiatrice di pagare il "biglietto e a non turbare il viaggio potesse qualificarsi come atto ingiusto; e tale connotato non acquista neppure per la circostanza, evidenziata in ricorso, che esso fosse stato accompagnato dall’avere il capotreno messo una mano sul braccio della P. ed averla spinta fuori dalla cabina, dove è vietato l’ingresso ai passeggeri. Ed è anche priva di qualsiasi consistenza la deduzione, pur essa racchiusa nel terzo motivo, attinente all’aggravante ex art. 61 c.p., n. 10: diversamente dal dedotto, il ricorrente è stato assolto dal delitto di resistenza non già per la denegata qualità di pubblico ufficiale della persona offesa, ma per la ragione che questa, al momento della subita minaccia ("te la farò pagare"). non stava compiendo nessun atto del proprio ufficio.
Va disatteso anche il quarto motivo di impugnazione.
Lo svolgimento del giudizio direttissimo fuori dei casi previsti dalla legge da luogo ad una nullità relativa che, a pena di decadenza, deve essere eccepita dalle parti presenti prima del compimento dell’atto.
Nella fattispecie tale eccezione venne sollevata dal difensore non al momento della contestazione in udienza dell’imputazione di ingiuria ad opera del p.m., ma dopo aver chiesto e ottenuto termine a difesa, e quindi, come correttamente divisato dal giudice "a quo", tardivamente.
Parzialmente fondato è l’ultimo motivo.
Premesso che vanamente si contrasta il principio secondo cui la recidiva reiterata può contestarsi anche in assenza di pregresse dichiarazioni giudiziali della recidiva semplice, va puntualizzato che l’imputato doveva essere considerato recidivo specifico (due delle precedenti con danne riguardano infatti reati contravvenzionali), sicchè l’aumento ex art. 99 c.p., era determinabile sino alla metà.
A tale aumento può provvedere direttamente questa Corte, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), commisurandolo a mesi "tre di reclusione, derivandone che la pena finale è quella di un anno, tre mesi di reclusione ed Euro 2000,00 di multa.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla entità della pena, che ridetermina nella misura di un anno, tre mesi di reclusione ed Euro 2000,00 di multa.
Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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