Cass. pen., sez. VI 31-10-2008 (10-10-2008), n. 40976 Pendenza del processo in primo grado o in appello – Passaggio dal primo al secondo grado

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza in data 22 settembre 2005 del Tribunale di Palermo, appellata da N.S., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione, in quanto riconosciuto colpevole del delitto di calunnia, realizzata con falsa denuncia di smarrimento di un assegno bancario sporta in (OMISSIS), in realtà negoziato a tale D.G..
Ricorre per Cassazione l’imputato, con atto sottoscritto personalmente, deducendo, in primo luogo, la intervenuta prescrizione del reato, consumatasi in data antecedente alla sentenza di appello, in virtù dei più ristretti termini recati dall’art. 157 c.p. a seguito della L. 5 dicembre 2005, n. 251, entrata in vigore quando ancora non era stato proposto appello avverso la sentenza di primo grado.
Con un secondo motivo, il ricorrente si duole della mancata declaratoria di condono della pena inflitta.
Osserva la Corte che il ricorso è infondato.
Come già affermato, tra le altre, da questa stessa Sesta sezione, con sentenze in data 20 novembre 2007, ric. Altier e 26 maggio 2008, ric. Serafin, ai fini dell’applicazione delle norme transitorie previste dalla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, la pendenza del grado d’appello ha inizio dopo la sentenza di 1 grado, che deve ritenersi intervenuta all’atto della lettura del dispositivo.
Infatti, la sentenza n. 393 del 2006 della Corte costituzionale, ha ritenuto "non ragionevole" la previsione di non operatività dei più favorevoli termini di prescrizione nei procedimenti pendenti in primo grado per i quali fosse stato già dichiarato aperto il dibattimento, sulla base della considerazione che tale cadenza processuale "non è in alcun modo idonea a correlarsi significativamente ad un istituto di carattere generale come la prescrizione", non solo perchè si tratta di un incombente che "non connota indefettibilmente tutti i processi penali di primo grado (in particolare i riti alternativi – e, tra essi il giudizio abbreviato – che hanno la funzione di "deflazionare" il dibattimento)" ma anche perchè esso non "è incluso tra quelli ai quali il legislatore attribuisce rilevanza ai fini dell’interruzione del decorso della prescrizione ex art. 160 c.p., il quale richiama una serie di atti, tra cui la sentenza di condanna e il decreto di condanna, oltre altri atti processuali anteriori".
Ora, dopo che sia intervenuta una sentenza di condanna, potenzialmente idonea a produrre il giudicato, le aporie ritenute non ragionevoli dalla Corte costituzionale, checchè se ne possa astrattamente pensare, vengono a risolversi: nei giudizi di impugnazione, tra i quali, quello che qui più interessa, il giudizio di Cassazione, perde infatti di rilievo la differenziazione dei moduli procedimentali, nessuno dei quali viene a essere "discriminato", e la sentenza di condanna, oggetto di impugnazione, è appunto atto interruttivo della prescrizione, a norma dell’art. 160 c.p., comma 1.
Tali osservazioni sono state del resto autorevolmente confermate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 72 del 2008.
Quanto alla mancata declaratoria di condono della pena inflitta, va ribadito che non è proponibile in sede di legittimità la richiesta di applicazione dell’indulto (nella specie quello previsto dalla L. 31 luglio 2006, n. 241), qualora la questione non abbia formato oggetto di decisione nel giudizio di merito (v. fra le tante Cass., sez. 5, 13 dicembre 2006, Dell’Aquila), fermo restando che di tale richiesta potrà essere investito il giudice della esecuzione.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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