Cass. pen., sez. VI 31-10-2008 (08-10-2008), n. 40973 Prove previste dalla legge ma assunte irregolarmente – Applicazione della disciplina della inutilizzabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, pronunciata a seguito di impugnazione di P.V.A., la Corte d’appello di Salerno ha confermato quella del Tribunale di Salerno in data 11 maggio 2004 che aveva condannato il predetto alla pena di anni due di reclusione per il reato di calunnia (art. 368 c.p., commi 1 e 2) per avere falsamente accusato il pubblico ufficiale l’ing. F., sapendolo innocente, con dichiarazione resa al pubblico ministero, di essere stato indotto da quest’ultimo a versargli la somma di L. 15 milioni per l’aggiudicazione di lavori, così attribuendogli il reato di concussione, la cui notitia criminis era stata oggetto di provvedimento di archiviazione.
Avverso la predetta sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato che deduce i seguenti motivi.
– Violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 180 c.p.p..
Il giudice di primo grado aveva opposto un "pervicace divieto" di svolgere il controesame dei testi al difensore, ritenendo, con l’ordinanza 8 ottobre 2003, impugnata con il gravame principale, che il controesame costituisse un autonomo mezzo di prova ex art. 493 c.p.p.: erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che la nullità della prova testimoniale avrebbe dovuto essere dedotta mentre era ancora in corso il suo compimento, in quanto essa era già stata formulata non già dopo l’atto, ma addirittura nel corso del suo svolgimento.
– Violazione dell’art. 498 c.p.p. per assunzione della prova testimoniale difformemente dal modello legale, per le ragioni anzidette e conseguente inutilizzabilità della prova. Ai sensi dell’art. 113 Cost., il comportamento del giudice di primo grado che sostanzialmente avrebbe interrotto la prova testimoniale, avrebbe comportato che la prova testimoniale non poteva ritenersi tale, con la conseguenza ulteriore che il risultato di essa non avrebbe potuto essere utilizzato.
– Erronea applicazione dell’art. 368 c.p. La Corte di merito avrebbe ritenuto la ritrattazione delle frasi indicate come calunniose, reputando divergenti la prima dichiarazione del P. e quella successiva, e considerando tale circostanza ulteriore prova del dolo.
Ma i giudici di merito avrebbero dovuto considerare insieme le due dichiarazioni, ai fini della verifica della sussistenza del delitto di calunnia, in quanto il fatto addebitato a titolo di calunnia sarebbe dovuto risultare dalle due dichiarazioni congiunte che avrebbero avuto un fondamentale nucleo descrittivo, escludente, anche sotto il profilo soggettivo, il reato di calunnia (nella prima dichiarazione l’imputato aveva affermato che la persona offesa lo avrebbe indotto alla dazione indebita di L. 15 milioni; nella seconda, aveva detto che, in occasione delle festività natalizie del (OMISSIS), aveva regalato al F. due agende, all’interno delle quali aveva inserito una busta contenente un milione di lire ciascuna, n.d.e.).
Il ricorso non può trovare accoglimento.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente data la loro connessione, avendo a oggetto una doglianza unitaria sul modo di assunzione della prova testimoniale.
Osserva la Corte in proposito che se è vero che dal verbale stenotipico risulta pienamente confermata la tesi del ricorrente, è anche vero che non può ricorrere nel caso di specie una nullità assoluta della prova testimoniale ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c), potendo verificarsi tale situazione solo in caso di assenza del difensore alla assunzione della prova testimoniale per causa imputabile all’ufficio procedente, mentre nella specie il difensore era certamente presente. Tanto meno può assumersi l’inutilizzabilità della prova ai sensi dell’art. 191 c.p.p., trattandosi di procedimento probatorio implicitamente vietato, come sostenuto dal difensore. A prescindere dalla considerazione che di inutilizzabilità potrebbe parlarsi nei confronti del risultato probatorio e non di un procedimento probatorio di dubbia identificazione, la inutilizzabilità può ricorrere solo in caso di assunzione di prove vietate ai sensi dell’art. 191 c.p.p., connotazione che non può individuarsi nel caso di specie sotto il profilo del divieto (implicito) di assunzione della prova, vigendo anche in materia di inutilizzabilità il principio della tassatività. (su tutti tali principi v. Sez. 3, Sentenza n. 7747 del 30/04/1999 Ud. (dep. 16/06/1999) Rv. 214162 Sez. 6, Sentenza n. 3460 del 13/02/1998 Ud. (dep. 19/03/1998) Rv. 210089; Sez. 5, Sentenza n. 10046 del 20/05/1997 Ud. (dep. 10/11/1997) Rv. 208821).
Non resta che ipotizzare una nullità della ordinanza riverberantesi sulla sentenza ai sensi degli artt. 125 e 546 c.p.p., ma a parte la difficoltà dommatica di costruire un tal tipo di nullità nella specie, stante il principio fissato dall’ari. 177 c.p.p., resta il fatto che si verterebbe in ipotesi di nullità a regime intermedio che il difensore avrebbe dovuto rilevare prima del compimento dell’atto ovvero, ove ciò non fosse stato possibile, "immediatamente dopo" (v. art. 182 c.p.p.), ciò che il difensore non ha fatto, con conseguente preclusione della rilevabilità della nullità.
Sul terzo motivo di ricorso la Corte d’appello ha correttamente motivato nel senso che i due atti sopra menzionati non potevano rappresentare il secondo ritrattazione del primo, considerati in una unitaria visione come dovuto, ad avviso della difesa.
Una cosa è affermare di essere stato indotto a versare al pubblico ufficiale la somma di L. 15 milioni in più riprese, per ottenerne i favori (assegnazione di lavori) altra cosa è affermare di avere consegnato al medesimo funzionario, in occasione delle festività natalizie, un’agenda con all’interno una busta contenente 1 milione.
La valutazione della Corte di merito secondo cui ictu oculi si tratterebbe non di una precisazione della seconda dichiarazione nei confronti della prima, ma si verterebbe invece in ipotesi di totale stravolgimento della prima dichiarazione, è corretta: ne risulta quindi conferma la sussistenza di tutti i requisiti del reato di calunnia. Si tratta, invero, di dichiarazioni ontologicamente diverse a prescindere dalla qualificazione giuridica da attribuire a ciascuna di esse.
Il ricorso va conclusivamente rigettato e al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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