Cass. pen., sez. IV 31-10-2008 (02-10-2008), n. 40926 Determinazione dell’indennizzo – Tripartizione dell’importo massimo liquidabile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli accoglieva la domanda di R.P., assegnando al medesimo, a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 27 aprile al 17 maggio 1993 (dall’8 maggio 1993 in regime di arresti domiciliari), la somma di Euro 17.609,34.
Per determinare l’indennizzo nella misura anzidetta, il giudice della riparazione spiegava:
che l’art. 643 c.p.p., comma 1, applicabile in virtù del richiamo delle disposizioni in materia di errore giudiziario contenuto nell’art. 315 c.p.p., comma 3, commisura la riparazione alla durata della detenzione subita ed alle sofferenze di ordine personale e familiare (morali e patrimoniali) derivate;
che a ciascuno dei predetti pregiudizi va "astrattamente riservato" un terzo (Euro 172.152,30) della somma massima liquidabile (Euro 516.456,90) per la riparazione ai sensi dell’art. 315 c.p.p., comma 2;
– che l’indennizzo per le "conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna" va determinato in proporzione all’indennizzo dovuto per la detenzione subita e, in particolare, non può essere inferiore al decimo e superiore al decuplo di quest’ultimo.
Ciò premesso, la Corte determinava:
– in Euro 1.257,81 la somma dovuta per la detenzione (78,61 Euro al giorno in caso di detenzione in carcere; riduzione del 50% per gli arresti domiciliari);
in Euro 10.062,68 l’importo dovuto per le conseguenze personali (sofferenze morali, riflessi negativi sui rapporti familiari e sociali, discredito professionale, anche in considerazione del risalto dato dal quotidiano (OMISSIS) alla notizia dell’arresto);
– in Euro 6.289,05 l’indennizzo dovuto per le conseguenze familiari (i suoi congiunti avevano risentito della sua compromessa reputazione).
2. Avverso l’anzidetta ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione il richiedente, per mezzo del difensore, chiedendone l’annullamento ed affidando le proprie doglianze a due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce erronea applicazione di legge in punto di determinazione dei criteri di liquidazione dell’indennizzo.
Osserva in proposito che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, il parametro aritmetico, al quale riferire la liquidazione dell’indennizzo, è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2 e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita. E’ frutto, pertanto, di erronea applicazione di legge "calcolare la quota – base dell’indennizzo da deputare al ristoro della detenzione, prendendo come dividendo" non l’importo massimo di Euro 516.456,90, ma il terzo di detta somma (Euro 172.152,30).
L’adottato metodo di determinazione (la divisione in tre quote dell’importo massimo) non risponde – secondo il ricorrente – neppure a canoni di logica, atteso che le "tre" voci della suddivisione possono avere un’incidenza maggiore o minore a seconda dei casi concreti.
2.2. Con il secondo motivo lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione della ordinanza impugnata in relazione alla determinazione dell’indennizzo e "alla quantificazione delle singole quote".
La Corte non ha spiegato per quali ragioni ha inteso quantificare la quota relativa alle conseguenze personali in Euro 10.062,68, cioè in una somma pari ad otto volte quella determinata con riguardo alla detenzione subita.
E lo stesso è a dirsi con riferimento all’importo di Euro 6.289,05 liquidato per le conseguenze familiari.
Rileva, infine, il ricorrente che l’importo di Euro 10.062,68 appariva, in ogni caso, incongruo se posto in relazione in relazione alle rimarcate sofferenze morali, ai riflessi negativi sui rapporti familiari e sociali, al discredito professionale derivatone ad un incensurato commercialista ed al risalto dato dalla stampa quotidiana alla notizia dell’arresto.
3. Con memoria per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto dichiararsi l’infondatezza del ricorso o l’inammissibilità del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Il ricorso è meritevole di accoglimento nei termini di seguito precisati.
La Corte di appello ha effettuato le proprie valutazioni dopo avere "creato" parametri e criteri rigidi (la suddivisione dell’importo massimo liquidabile in tre quote riservate, rispettivamente, alla detenzione, alle sofferenze personali ed alle conseguenze familiari;
l’introduzione di un cornice indicativa di un rapporto di proporzione tra indennizzo per la detenzione, da un lato, e conseguenze personali o familiari, dall’altro) dei quali non vi è traccia alcuna nelle norme in materia e nell’interpretazione delle medesime offerta dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. S.U. 13 gennaio 1995, Min. Tesoro in c. Castellani; Cass. S.U. 9 maggio 2001, Min. tesoro e Caridi), che hanno chiarito che il legislatore ha volutamente evitato di prescrivere al giudice l’adozione di rigidi parametri valutativi in considerazione della delicatezza della materia e delle difficoltà per l’interessato di provare nel suo preciso ammontare la lesione patita (si aggiunga che Cass. S.U. 13 gennaio 1995, Min. Tesoro in c. Castellani, cit., parla dei "due", non tre, parametri della detenzione e delle conseguenze personali e familiari e pone i medesimi sullo stesso piano, precisando che i criteri equitativi di liquidazione devono tenere conto "non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari, scaturite dalla privazione della libertà").
Il legislatore ha lasciato, in altre parole, al giudice della riparazione ampia libertà di apprezzamento delle circostanze del caso concreto. Naturalmente entro i confini della ragionevolezza e della coerenza, che, nel caso in esame – come rilevato dal ricorrente – appaiono ampiamente superati dalla metodologia seguita, sfociata nell’arbitrio e nella scelta di criteri contrari alla logica comune.
Nulla vieta – è stata ancora una volta la Corte a ribadirlo (Cass. S.U. 9 maggio 2001, Min. tesoro e Caridi, cit.) – che il giudice proceda ad una ideale divisione del "fondo" disponibile in più parti, in guisa da soddisfare, nel conteggio conclusivo, le diverse "voci di danno" elencate dall’art. 643 c.p.p..
Ma ciò il giudice deve fare, al fine di raggiungere un equo effetto remunerativo, nell’esplicazione del suo potere discrezionale di gestire lo spazio riconosciutogli dalla legge come ritiene più consono alle particolari caratteristiche della vicenda, senza subire il condizionamento di rigidi contenitori "quantitativi" delle singole voci di danno o di limiti oltre i quali verrebbe meno un asseritamente necessario rapporto di proporzione tra le somme dovute a ristoro delle stesse.
Unico limite: l’esplicazione del potere anzidetto non può condurre a risultati comportanti uno sfondamento del tetto, normativamente fissato, dell’entità massima della liquidazione.
E’ frutto, in conclusione, di erronea applicazione delle norme che disciplinano la materia sia la rigida tripartizione dell’importo massimo liquidabile (che ha condotto la Corte di appello a determinare in Euro 78,61, anzichè in Euro 235,82, il tetto relativo ad un giorno di detenzione in carcere), sia la previsione di una cornice entro cui riconoscere la sussistenza di un asseritamente richiesto rapporto di proporzione tra l’indennizzo per la detenzione e le somme dovute a ristoro delle altre voci di danno previste.
5. La concreta liquidazione effettuata subisce, naturalmente, gli influssi negativi delle anzidette erronee determinazioni e la decisione impugnata va, pertanto, annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli, alla quale si rimette il regolamento delle spese tra le parti per il presente giudizio.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli cui rimette il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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