Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 118/2009

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Ettore Manca Primo Referendario

Massimo Santini Referendario est.

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 1375/2008 presentato dalla ENERSOL s.r.l., in persona del legale rappresentante sig. Alessandro Strazzella, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Lupo ed elettivamente domiciliata presso lo studio del’Avv. Marra in Lecce, p.zza Mazzini n. 72;

contro

il Comune di Grottaglie, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Irene Vaglia ed elettivamente domiciliato in Lecce alla via Taranto n. 92 presso lo studio dell’Avv. Lazzari;

per l’annullamento

1. della nota n. 15555 in data 14 luglio 2008 del Comune di Grottaglie con cui si ordina di non effettuare l’intervento diretto alla realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore ad 1 MW;
2. della deliberazione n. 42 del 29 maggio 2008 del Consiglio comunale di Grottaglie con la quale si disciplina la localizzazione sul territorio comunale degli impianti fotovoltaici di potenza inferiore ad 1 MW;
3. di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale.

Visti il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale, resistente;

Visti tutti gli atti di causa;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Designato alla pubblica udienza del 17 dicembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, uditi altresì gli Avv.ti Lupo per il ricorrente e l’Avv. Vaglia per il Comune resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente ha presentato in data 3 luglio 2008 denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, per la realizzazione di un impianto fotovoltaica di potenza pari a 0,99 MW.

Veniva a tal fine allegata copiosa documentazione tra cui relazione tecnica del progetto, elaborati e tavole grafiche, relazione esplicativa circa la non assoggettabilità a VIA, mappa catastale, ortofoto, planimetrie su varie scale e relazione tecnica asseverativa.

L’area destinata ad ospitare l’intervento è classificata come agricola e non è gravata da vincoli di alcun genere (paesaggistico, ambientale, idrogeologico, etc.).

In data 14 luglio 2008 il Comune di Grottaglie ordinava di non effettuare l’intervento in quanto, da un lato, l’istanza doveva essere corredata altresì dalla documentazione prevista dall’art. 3 del disciplinare approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 42 del 29 maggio 2008; dall’altro lato, dovevano essere rispettate tutte le condizioni previste dal predetto disciplinare.

La società interponeva dunque ricorso giurisdizionale per una serie di motivi che il collegio ritiene così di rubricare:

1. Difetto di motivazione, in quanto non vengono esplicitati i documenti che, tra quelli indicati nell’art. 3 del disciplinare, dovevano effettivamente essere prodotti dall’interessata;
2. Violazione dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo e del principio di tipicità e nominatività degli atti amministrativi, in quanto non sarebbe previsto in alcun modo l’esercizio di un siffatto potere regolamentare da parte delle amministrazioni comunali, il cui intervento potrebbe anzi comportare ulteriori e indebiti limiti normativi alla realizzazione di impianti ritenuti fondamentali per il raggiungimento di importanti obiettivi di politica ambientale;
3. Violazione della legge n. 239 del 2004 nella parte in cui prevede misure di compensazione ambientale (pari al 7% del costo dell’impianto), nonché fideiussioni disposte direttamente dal Comune, laddove la normativa di settore ascrive siffatta competenza esclusivamente in capo a Stato e regioni, peraltro per esigenze legate all’elevato impatto territoriale ed ambientale prodotto dai suddetti impianti. Violazione altresì dell’art. 23 Cost., nella parte in cui viene stabilita la corresponsione di un contributo nella sostanza riconducibile ad un tributo non altrimenti previsto da una fonte primaria.

Si è costituito in giudizio il Comune di Grottaglie eccependo in particolare che:

1. Difetta il requisito dell’integrazione dell’impianto con altre strutture a carattere commerciale, industriale o di servizi, così come sarebbe previsto dall’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008;
2. Sussiste il potere di regolamentare, da parte del comune, le funzioni ad esso riservate, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost. e dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003.

Alla udienza del 17 dicembre 2008 i rispettivi procuratori delle parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

01. Il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

1. In merito al regime applicabile è da respingere l’eccezione della difesa comunale, relativa alla necessaria integrazione dell’impianto con altre strutture di carattere commerciale, industriale o servizi, al fine di poter legittimamente ricorrere all’istituto della DIA. In assenza di tale integrazione, secondo la tesi comunale si dovrebbe infatti applicare il procedimento della autorizzazione espressa.

Per quanto attiene all’ambito di applicazione dell’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008, ratione temporis applicabile (ossia prima della sua abrogazione da parte della legge regionale n. 31 del 2008, che ha ridisciplinato tali aspetti, a partire dall’8 novembre 2008, data di entrata in vigore), essa prevede, al comma 1, che “per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 … con potenza elettrica nominale fino a 1 MWe da realizzare nella Regione Puglia, fatte salve le norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 … nei seguenti casi:

a) impianti fotovoltaici posti su edifici industriali, commerciali e servizi, e/o collocati a terra internamente a complessi industriali, commerciali e servizi esistenti o da costruire … ”.

Il successivo comma 2 prevede poi che “gli impianti di cui al comma 1 possono anche essere realizzati in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, tenuto, peraltro, conto di quanto specificato dall’articolo 12, comma 7, del d.lgs. 387/2003”.

Secondo l’interpretazione data dall’amministrazione comunale, il riferimento al comma 1 operato dal comma 2 sarebbe da intendere nel senso che gli impianti fotovoltaici da collocare in zona agricola dovrebbero essere comunque integrati con altre strutture commerciali, industriali e terziarie.

Ad avviso di questo collegio, invece, il richiamo agli impianti di cui al comma 1 deve intendersi come riferito a tutte le strutture complessivamente enucleate nell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003 (disposizione questa a sua volta riportata, non a caso, dallo stesso comma 1 della norma regionale in commento), ossia con esclusivo riguardo a tipologia, dimensioni e potenza delle medesime e non anche alla loro particolare conformazione (o meglio integrazione) strutturale.

La disposizione regionale sembra dunque prevedere la possibilità di realizzare gli interventi de quibus anche in zona agricola (comma 2), a prescindere dalla loro integrazione strutturale con altri impianti a carattere industriale, commerciale o di servizi (comma 1).

Del resto, nella prospettiva indicata dalla difesa comunale la legge regionale avrebbe altrimenti giustificato, in questo modo, la presenza di talune strutture (per l’appunto industriali, commerciali, etc.) all’interno di aree (agricole) con esse incompatibili sotto il profilo urbanistico.

L’interpretazione cui il collegio ritiene invece di aderire è peraltro l’unica a consentire una lettura costituzionalmente compatibile della disposizione in parola, considerato che la possibilità giuridica di installare tali impianti anche in zone agricole rappresenta un principio fondamentale della legislazione statale in materia di energia (art. 12, comma 7, d.lgs. n. 387 del 2003).

Per tutte le ragioni evidenziate, l’eccezione sollevata dalla difesa comunale deve essere respinta.

2. Con riferimento all’esistenza di un potere regolamentare da parte del Comune, ritiene il Collegio che a quest’ultimo possa essere riservata la possibilità di disciplinare la realizzazione e, più in particolare, l’ubicazione degli impianti di energia rinnovabile.

Il favor legislativo per le fonti rinnovabili, che si riverbera tra l’altro sulla possibilità di installare gli impianti suddetti anche in zona agricola, non è infatti senza limiti.

Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003, i Comuni possono certamente prevedere, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, aree specificamente destinate o meno a tal fine. La disposizione citata sottintende proprio tale potere, laddove prevede che “nell’ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale” (cfr. T.A.R. Umbria, 15 giugno 2007, n. 518).

In questa stessa direzione, la recente legge regionale n. 31 del 2008 stabilisce, all’art. 2, comma 2, che “i comuni, con motivata deliberazione approvata dal consiglio comunale, possono individuare parti di territorio di particolare pregio”, nell’ambito delle zone agricole, ove porre eventualmente siffatti divieti.

Emerge dunque dal quadro normativo sopra delineato come le amministrazioni comunali, nel favorire l’installazione di impianti di energia pulita, conservino in ogni caso un certo potere discrezionale teso a disciplinare – se del caso anche mediante atti regolamentari a carattere generale – il corretto inserimento di tali strutture nel rispetto dei fondamentali valori della tradizione agroalimentare locale e del paesaggio rurale.

Più in particolare, si ritiene che gli aspetti sostanziali possano essere disciplinati mediante atti amministrativi generali (si veda in questi termini la ridetta legge regionale n. 31 del 2008), qualora si intenda incidere su aspetti riguardanti eminentemente la tutela del patrimonio agricolo, mentre si dovrà ricorrere agli ordinari strumenti della pianificazione urbanistica, come rilevabile in altre analoghe fattispecie trattate da questa stessa sezione, qualora si intenda incidere anche su altri aspetti (urbanistici, paesaggistici, idrogeologici, etc.).

Per quanto attiene invece agli aspetti procedimentali concernenti l’esercizio delle proprie funzioni – ipotesi qui ricorrente – si potrà utilizzare l’ordinario strumento regolamentare, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost., il quale dispone espressamente che i Comuni “hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.

Ciò detto, si evidenzia che l’art. 3 della delibera consiliare gravata prevede che l’istanza diretta alla realizzazione di siffatti impianti sia corredata da una documentazione ricomprendente, tra l’altro: la descrizione del contesto paesaggistico e dei “percorsi panoramici”, la rappresentazione fotografica dei prospetti e delle skylines, una relazione sulla durata di permanenza dell’impianto, elaborati di progetto, planimetrie su varie scale e sovrapposizioni tra stato di fatto e progetto, sezioni in scala, rendering.

Ritiene il collegio che tali previsioni, adottate come detto alla luce del richiamato potere di cui all’art. 117, sesto comma, Cost., rispondano nel complesso a principi di ragionevolezza e proporzionalità, considerato da un lato che va salvaguardata l’esigenza dei poteri pubblici locali di tutelare il territorio di propria competenza, e dall’altro lato che si tratta di adempimenti sì numerosi ma pur sempre realizzabili, anche attraverso la tecnologia attualmente disponibile, secondo la normale diligenza e professionalità posseduta da tecnici a tal fine abilitati.

Vanno dunque respinte le censure complessivamente rubricate al punto n. 2.

4. Deve invece essere accolta la censura riguardante la carenza di motivazione e di istruttoria del provvedimento, atteso che l’amministrazione non ha in alcun modo puntualmente indicato quale sarebbe la documentazione eventualmente mancante dal confronto tra quanto in allegato alla DIA e quanto invece richiesto dal citato art. 3 del disciplinare, essendosi genericamente e apoditticamente limitata, la medesima, ad affermare la necessità di produrre “tutta la documentazione” di cui all’art. 3.

Né è stato specificato per quale motivo la documentazione comunque prodotta fosse o meno, in qualche misura, inidonea al raggiungimento dello scopo.

E ciò anche in considerazione della localizzazione dell’impianto in area agricola, della mancanza di vincoli paesaggistici ivi impressi, nonché della copiosa documentazione, in parte corrispondente a quella prevista dall’art. 3 (si vedano tra l’altro le planimetrie e gli elaborati progettuali) che era stata comunque allegata alla DIA.

Per tali ragioni va accolto il primo motivo di ricorso.

4. Appare inoltre illegittima la previsione relativa alla compensazione ambientale.

Ora, è vero che l’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387/2003, dispone che “l’autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province”, sicché se ne potrebbe desumere, a contrario, la possibilità di misure di compensazione a favore di altre collettività locali, e segnatamente i Comuni quali enti esponenziali.

Tuttavia, come affermato dal Consiglio di Stato (cfr. sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849) tale previsione va letta in via sistematica insieme all’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 239/2004, a tenore del quale lo Stato e le Regioni garantiscono “l’adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle singole regioni, prevedendo eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”.

La sentenza della Corte cost. n. 383/2005, nel ritenere illegittima l’esclusione da misure compensative degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, va intesa nel senso che possono essere imposte misure compensative di carattere ambientale e territoriale, ma non meramente patrimoniali, e sempre che ricorrano tutti gli altri presupposti indicati nel citato art. 1, comma 4, lett. f).

Tanto si desume anche dalla successiva Corte cost. n. 248/2006, che, nel ritenere consentita la fissazione di misure compensative pure in relazione ad impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha statuito che l’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 239/2004, nel testo risultante dalla declaratoria di incostituzionalità ad opera di Corte cost. n. 383/2005, prevede la possibilità che possano essere determinate dallo Stato o dalle Regioni “misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale” in riferimento a “concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale”, con specifico riguardo altresì alle opere in questione.

Sotto tale profilo, le misure compensative devono essere concrete e realistiche, cioè determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche del parco fotovoltaico e del suo specifico impatto ambientale e territoriale.

Infatti, secondo il citato art. 1, comma 4, lett. f), le misure compensative sono solo eventuali, e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale.

Dunque, non dà luogo a misura compensativa, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull’ambiente.

E comunque tali misure compensative sono di competenza dello Stato o della Regione, e non possono unilateralmente essere stabilite da un singolo Comune (Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849).

Il motivo indicato sub n. 3 deve dunque essere accolto.

5. Appare in ultimo esente da vizi di legittimità la previsione di una fideiussione posta a garanzia della rimozione dell’impianto in caso di cessazione dell’attività.

Tale adempimento, comunemente richiesto nella prassi (in materia di governo del territorio si veda altresì la c.d. garanzia “a prima richiesta” da presentare per gli oneri di urbanizzazione), non costituisce infatti una prestazione impositiva ex art. 23 Cost., come tale da prevedere solo per legge, quanto piuttosto una obbligazione contrattuale da assumere con terzi soggetti (garanti) che la amministrazione comunale, in applicazione di principi di diritto comune cui la stessa può legittimamente ricorrere (cfr. art. 1-bis della legge n. 241 del 1990), ritiene di imporre al fine di cautelarsi dinanzi ad eventuali inadempimenti del privato (nella specie concernenti l’obbligo di rimuovere gli impianti in caso di cessazione dell’attività).

Tale censura non può dunque trovare ingresso.

6. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso, con riferimento alle censure indicate ai punti 3 e 4, è fondato e deve essere pertanto accolto. Per l’effetto annulla in parte qua la nota n. 15555 in data 14 luglio 2008 e, con esclusivo riferimento alla determinazione della compensazione ambientale, la deliberazione consiliare n. 42 del 29 maggio 2008.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1375/2008, lo accoglie nei sensi e nei limiti indicati in motivazione. Per l’effetto annulla la nota n. 15555 in data 14 luglio 2008 del responsabile SUAP e, in parte qua, la delibera del Consiglio comunale n. 42 del 29 maggio 2008.

Liquida le spese del presente giudizio in euro 2.000 (duemila), oltre IVA e CPA, da porre a carico dell’amministrazione soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 17 dicembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 29 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

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