Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La CdA di Roma, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale C.F. e C.A.C., furono condannati alla pena di giustizia in quanto riconosciuti, il primo, responsabile di lesioni in danno di Ci.Ca., il secondo di lesioni, ingiuria e minaccia in danno del predetto.
Ricorre per cassazione il difensore e deduce:
1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, atteso che già il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare prescritti i reati, essendo trascorsi più di 5 anni tra la consumazione dei fatti ((OMISSIS)) e il primo atto interattivo. I giudici del merito sono stati di contrario parere, in considerazione del fatto che; a) il 28.5.2005 il PM emise avviso ex art. 415 bis c.p.p., chiedendo contestualmente, ai sensi art. 132 disp. att. c.p.p., n. 2, la fissazione dell’udienza, b) il 21.12.2006 il PM emise invito alla presentazione di persona sottoposta a indagini per il 12.1.2007, c) il 10.5.2007 fu emesso decreto di citazione a giudizio.
Orbene, l’unico atto validamente interruttivo è da considerarsi l’ultimo, intervenuto dopo 5 anni dal fatto. L’invito per rendere interrogatorio è da qualificarsi abnorme o quantomeno inutilizzabile, perchè intervenuto dopo la scadenza del termine per il compimento delle indagini preliminari e quindi quando il PM non era più legittimato a esercitare alcuna attività di indagine. I giudici del merito hanno sostenuto il contrario, ma la tesi è palesemente priva di fondamento. Il PM ha emesso il predetto invito dopo aver esercitato l’azione penale; lo stesso dunque non aveva interesse alcuno allo svolgimento dell’atto e si determinò a tanto, evidentemente, solo allo scopo di interrompere la prescrizione, 2) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla responsabilità di C.F..
Al proposito il giudice di secondo grado non ha minimamente esaminato le censure proposte con l’atto di appello. F. giunse sul posto, accompagnato da altro giovane e non vi è certezza che a dare manforte a C.A.C. sia stato proprio il figlio piuttosto che M.R.T. (vale a dire l’arto ragazzo). Lo stesso sostiene di aver parcheggiato l’auto a 100 m. dal luogo nel quale si svolsero i fatti, ma tale dichiarazione è oltremodo sospetta. In realtà i, giudici del merito affermano la responsabilità di entrambi gli imputati, facendo riferimento alle dichiarazioni relative alla condotta del solo C.A. C., 3) violazione di legge penale sostanziale e processuale, atteso che, con l’atto di impugnazione si faceva presente che i reati ascritti a C.A.C. sarebbero oggi di competenza del GdP e dunque dovrebbero essere puniti con la sola sanzione pecuniaria; ebbene, in tema di commisurazione della pena, la motivazione della CdA è del tutto incongrua, 4) ancora violazione di legge penale in quanto i reati devono comunque ritenersi prescritti, atteso che detta prescrizione è maturata tra la lettura del dispositivo e il deposito della motivazione.
Motivi della decisione
La prima censura è infondata.
L’invito a presentarsi per rendere interrogatorio è atto idoneo a interrompere la prescrizione.
Nel caso in esame, esso non può ritenersi atto abnorme in quanto non è certamente da considerarsi avulso dalla logica dell’ordinamento processuale, nè costituisce manifestazione di potere che si esplichi al di fuori dei casi, in astratto, consentiti e delle ipotesi previste dalla legge. Nè esso ha determinato regressione alcuna nell’iter procedimentale.
La seconda censura è inammissibile in quanto manifestamente infondata e articolata in fatto.
Non corrisponde al vero che la CdA non abbia fornito risposta alle censure formulate con l’atto di impugnazione, atteso che essa, nella ricostruzione dell’accaduto, ha chiarito che le testimonianze sulle quali il C.F. vorrebbe far perno per inficiare la pronunzia nella parte in cui afferma la sua colpevolezza, attengo ad aspetti marginali della ricostruzione stessa.
A fronte delle ricordate dichiarazioni accusatorie provenienti dalla PO e del teste B.G., il ricorrente si limita ad avanzare un’alternativa (e meramente congetturale) rilettura del materiale probatorio raccolto e vagliato, giungendo a sostenere che il reale aggressore del Ci. potrebbe essere il T., vale a dire uno dei testi della difesa.
Ma – è il caso di ripeterlo – trattasi di una mera ipotesi, avanzata dal ricorrente che si contrappone – frontalmente, ma sterilmente – alla articolata ricostruzione operata nelle due sentenze di merito.
Tutto ciò premesso, si deve rilevare che la prescrizione (non quella "intermedia" invocata nel ricorso, ma quella "per interruzione") è maturata per tutti i reati.
In presenza di ricorso che sarebbe da dichiarare infondato (cfr. quanto sopra scritto a proposito della prima censura), la predetta causa estintiva deve ritenersi operativa.
Ciò, ovviamente, rende superfluo l’esame della censura sub 3), che attiene al trattamento sanzionatorio.
La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio, ma, per le ragioni sopra illustrate, il ricorso va rigettato per quanto riguarda le statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili.
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