Cassazione civile 21788/2010 Condominio: fino a che punto si può disporre della cosa comune? Lo chiariranno le Sezioni Unite.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 3 marzo 2003 F.C., in qualità di comproprietaria in ragione della metà dell’immobile adibito ad uso commerciale sito in (OMISSIS) al piano terra nel fabbricato ubicato in (OMISSIS), concesso in locazione dall’altra comproprietaria N.A. a T.C. con contratto in data (OMISSIS) per la durata di sei anni, adiva il Tribunale di Massa per sentir dichiarare che una quota pari al 50% dei canoni locativi dovuti dal T. in relazione alla locazione da lui stipulata con la N. era di spettanza di essa attrice e per sentir conseguentemente condannare il nominato T., o in via subordinata alternativa la N., a versare all’attrice stessa la metà dei canoni locativi maturati dal luglio 2003 fino alla scadenza del contratto.

Si costituiva il T. il quale resisteva alla domanda assumendo di ritenersi tenuto all’adempimento dell’unica obbligazione derivante a suo carico dal contratto di locazione nei confronti della stipulante N.A. e di non ritenersi passivamente legittimato in ordine alla rimessione in ipotesi dovuta dalla N. alla F. di una parte del canone da lui pagato, e ricordando di essere stato invitato dalla F. medesima, in data 18 luglio 2002, a pagare direttamente alla stessa la metà del canone locativo e di avere inutilmente comunicato alle parti la propria disponibilità ad addivenire alla stipulazione di un contratto con entrambe o a provvedere al versamento del canone su libretto bancario o postale a disposizione della N. e della F..

Costituendosi a sua volta la N. chiedeva il rigetto della domanda avversaria e in via riconvenzionale la condanna della F. al risarcimento dei danni subiti sia sotto il profilo patrimoniale che sotto quello morale.

Con sentenza del 2 aprile 2004 il Tribunale, in accoglimento della domanda della F., condannava il T. a corrisponderle il 50% dei canoni maturati tra il mese di agosto del 2002 e la cessazione della locazione, con gli interessi legali sui canoni scaduti, respingeva la domanda riconvenzionale della N. e compensava interamente tra le parti le spese di lite.

Proposti gravami, principale dal T. e incidentali dalla F. e dalla N., quest’ultimo condizionato, con sentenza del 18 dicembre 2004 la Corte d’appello di Genova, in accoglimento dell’impugnazione principale del T., respingeva le domanda proposte dalla F. in primo grado, rigettava l’appello incidentale della medesima e compensava interamente tra le parti le spese del doppio grado.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione F. C. sulla base di cinque motivi. Resistono con distinti controricorsi T.C. e N.A. che ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione
Con il secondo motivo di ricorso vengono in discussione le contrapposte soluzioni date dai giudici del merito alla fattispecie in esame, quella del giudice di prime cure, favorevole al T. C., e quella di segno opposto della Corte genovese con la qui gravata pronuncia.

Il primo giudice aveva fatto ricorso all’applicazione della disciplina del mandato e in particolare del disposto dell’art. 1705 c.c., comma 2, in virtù del quale nel mandato senza rappresentanza il mandante può agire contro il terzo (che dal contratto è vincolato solo nei riguardi del mandatario stipulante in nome proprio) per ottenere il soddisfacimento dei crediti sorti a favore del mandatario in relazione alle obbligazioni assunte dal terzo con la conclusione del contratto, per tal modo sostituendosi al mandatario e ponendo in essere una revoca tacita del mandato medesimo, così pervenendo ad affermare che "il comproprietario, nel caso in cui l’immobile sia stato locato dagli altri comproprietari, non perde il diritto di agire per far valere a proprio favore il diritto a percepire la propria quota di canone……in quanto il primo risulta esser tacito mandante degli altri comproprietari per la stipula della locazione, potendo così agire direttamente per il recupero dei propri crediti, con ciò determinando il venir meno del mandato".

Ha osservato in contrario la Corte ligure che la richiamata previsione normativa non era stata pertinentemente invocata nel caso di specie in cui, al di là dell’effetto tanto suggestivo quanto fuorviante della frequente affermazione che il comproprietario locatore si atteggia come mandatario tacito degli altri comproprietari, non ricorreva alcun mandato, ma, a ben vedere, una gestione nel presunto interesse comune (validamente ed efficacemente compiuta, se del caso, anche all’insaputa degli altri interessati), la quale, nei rapporti tra l’autore della gestione e i destinatari dell’utilità di essa, trovava la sua regolamentazione nella disciplina interna della comunione, rispetto alla quale il terzo, che abbia validamente conseguito la posizione giuridica di conduttore, versa in condizione di indifferenza, e dalla cui evoluzione (in ipotesi conflittuale) non può ricevere pregiudizio. E che non si versasse in tema di mandato, e che non potesse nemmeno trovare applicazione in via analogica la norma dettata in tema di mandato a cui aveva fatto riferimento il primo giudice, emergeva chiaramente dal rilievo che alla disciplina della comunione non avrebbe potuto efficacemente sovrapporsi l’iniziativa unilaterale di un comproprietario qualificata alla stregua di revoca del mandato ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 1705 c.c., comma 2.

Dovevasi quindi ritenere che, almeno fino a quando non venisse modificata la struttura soggettiva della parte locatrice con l’ingresso nella medesima del comproprietario originariamente non locatore, questi non potesse esigere, nemmeno limitatamente alla parte corrispondente alla propria quota di comproprietà, il pagamento del canone nei confronti del conduttore. Nel caso di specie non veniva poi in considerazione, in concreto, e nei riguardi del conduttore T., la limitazione reciproca connaturale alla coesistenza dei diritti di comproprietà spettanti alla F. e alla N., ma la compressione del di ritto, esterno alla dimensione comunitaria, scaturente dal contratto a favore dell’unica (allo stato) parte contraente N. verso il conduttore medesimo, il quale aspirava a puntualmente adempiere, nella sua intera dimensione e in favore dell’avente titolo, il suo correlativo obbligo.

Osserva il Collegio che le contrastanti soluzioni della vicenda processuale si fondano sul richiamo a diverse prospettazioni della giurisprudenza di legittimità in tema di locazione a terzi di immobile di proprietà comune.

Il giudice di primo grado, riportandosi alla disciplina del mandato, ha fatto riferimento alla giurisprudenza di legittimità (vedi le sentenze n. 4587/95 e 2029/93, nonchè, sostanzialmente nello stesso senso, Cass. n. 1306/69 e 3626/80) secondo cui il proprietario di un immobile locato ad un terzo da un suo mandatario senza rappresentanza può, nel revocare il mandato, e sostituendosi al mandatario, esercitare ex art. 1705 c.c., comma 2, ogni diritto di credito derivante dal rapporto obbligatorio posto in essere e quindi anche il diritto a ricevere il pagamento dei canoni direttamente da parte del conduttore (nel caso di specie la quota di canone a lui spettante nella misura del 50%) ed è legittimato ad agire nei confronti di costui per la realizzazione di tale diritto. Ciò, altresì, in virtù del principio secondo il quale il mandante, sappiano o non sappiano i terzi della esistenza del mandato, ha diritto, in via diretta e non in via surrogatoria, di far propri di fronte a costoro, i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l’esecuzione dell’affare, a condizione che egli con ciò non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso (Cass. n. 92/90).

Ed in proposito va fatto cenno ancora alla più recente giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale la disposizione di cui all’art. 1705 c.c., comma 2, prima parte, che consente al mandante di sostituirsi al mandatario nell’esercizio dei crediti derivanti dall’esecuzione del mandato introduce, per ragioni di tutela dell’interesse del mandante, un’eccezione al principio enunciato nel comma primo secondo cui il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato, la possibilità di sostituzione intendendosi però limitata all’esercizio dei crediti derivanti direttamente dalle obbligazioni contratte dal terzo verso il mandatario, non estendendosi essa ad altre azioni derivanti dal contratto stipulato fra mandatario e terzo, in particolare l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento e di risarcimento dei danni (vedi Cass. n. 1312/2005, n. 18512/2006 e, da ultima, Cass. S.U. n. 24772/2008).

Dal canto suo , nell’escludere ogni ipotesi di mandato, ravvisando invece, nella fattispecie sottoposta al suo esame, una gestione nel presunto interesse comune (validamente ed efficacemente compiuta se del caso, anche ad insaputa degli altri Interessati) la quale nei rapporti tra l’autore della gestione e i destinatari dell’utilità di essa, trova la sua regolamentazione nella disciplina interna della comunione, rispetto alla quale il terzo, che abbia validamente conseguito la posizione giuridica di conduttore, versa in condizione di indifferenza e dalla cui evoluzione (in ipotesi conflittuale) non può ricevere pregiudizio, il giudice di secondo grado si è riportato ad alcune pronunce di questo Supremo Collegio, ed in particolare a Cass. n. 6292/92, secondo le quali la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari sorge validamente e svolge i suoi effetti contrattuali anche se il locatore abbia violato i limiti dei poteri spettantigli ex art. 1105 c.c., e segg., senza che agli altri partecipanti che gli hanno lasciato la completa disponibilità dell’immobile, possa competere azione di rilascio e tantomeno di rivendica nei confronti del conduttore, salvo il diritto al risarcimento dei danni verso il comproprietario locatore, ove la sua attività risulti pregiudizievole agli interessi della comunione (nello stesso senso Cass. n. 5890/82 e, con riguardo ad affitto di fondo rustico per a durata minima di legge stipulato ancorchè verbalmente da parte di uno dei comproprietari che ne abbia la disponibilità, Cass. n. 483/2009).

Ricavandone quel giudice, con specifico riferimento alla fondamentale obbligazione del pagamento del canone, il principio secondo cui il conduttore adempie tale obbligazione con pieno effetto Liberatorio in proprio favore, mediante il pagamento dell’intera entità pecuniaria dovuta al comproprietario locatore, quali che siano i criteri in base ai quali, per legge o per convenzione, debbano essere ripartiti tra i comproprietari i frutti del bene locato.

Ebbene, le conclusioni cui è pervenuto il giudice d’appello, a parte la negazione del ricorso, operato dal primo giudice, alla applicabilità al caso di specie della disciplina del mandato ed in particolare del disposto di cui all’art. 1705 c.c., comma 2, sembrano discostarsi anche dalla costante giurisprudenza di legittimità secondo la quale sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari in virtù della presunzione che ognuno operi con il consenso degli altri, per cui ogni condomino è Legittimato a stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile in comunione ed è altresì legittimato ad agire per il rilascio dell’immobile comune, senza che sia necessaria la partecipazione degli altri condomini (vedi Cass. n. 2158/83, n. 3725/96, n. 7416/99, n. 12327/99, n. 537/2002, n. 10394/2002, n. 15057/2003, n. 19929/2008, n. 6427/2009).

Ne deriva, ad avviso di questo Collegio, che le rilevate diverse prospettazioni, soprattutto in tema di applicabilità o meno alla fattispecie in esame della disciplina del mandato e i comunque rilevati contrasti giurisprudenziali in punto gestione della locazione della cosa comune nell’ambito delle stesse prospettazioni assunte dal giudice di seconde cure, suggeriscono l’opportunità di rimettere gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione se del caso della presente causa alle Sezioni Unite, anche in considerazione del fatto che la questione sottesa al secondo motivo di ricorso appare di particolare importanza.

P.Q.M.
La Corte, rimette la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite sia per l’importanza della questione sottesa al secondo motivo di ricorso, sia per contrasti giurisprudenziali esistenti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *