Cassazione civile Sezioni Unite 20773/2010 Procedimenti disciplinari: non si applica la normativa sulle incompatibilità!

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, con delibera del 21 maggio 2008, inflisse all’avv. C.E. la sanzione disciplinare della censura. Detto consiglio reputò infatti che l’avv. C., nell’assistere un proprio cliente, il sig. Q.L., in un una vertenza riguardante la cessazione del rapporto di lavoro tra quest’ultimo e la Banca d’Italia, avesse mancato di diligenza e competenza professionale promuovendo la relativa causa dinanzi ad un giudice ordinario, anzichè dinanzi al competente giudice amministrativo, ed insistendo in tale iniziativa pur dopo L’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla controparte, con il risultato di esporre il cliente anche ai pagamento delle spese processuali. All’avv. C. fu altresì addebitato di aver preteso dal medesimo cliente la corresponsione di un compenso forfettario manifestamente accestivo, in relazione all’attività svolta ed ai risultati conseguiti, e di aver poi proposto un ricorso per decreto ingiuntivo per il pagamento del proprio onorario così gravando il sig. Q. anche dell’ulteriore costo di tale iniziativa.

Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione emessa il 30 dicembre 2009, rigettò il ricorso dell’avv. C. avverso la suindicata delibera. Fu ritenuta priva di fondamento L’eccezione della ricorrente relativa alla mancata partecipazione del pubblico ministero all’udienza dibattimentale tenuta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, essendo quello un procedimento di natura amministrativa e dovendosi considerare la partecipazione del pubblico ministero soltanto facoltativa. Fu del pari disattesa, sempre in considerazione della natura del suddetto procedimento, l’eccezione concernente la mancata distinzione tra organo istruttorie ed organo decidente, così come quei la inerente alla ricusazione dei componenti del Consiglio dell’Ordine: sia perchè inammissibilmente l’incolpata aveva inteso ricusare non singoli componenti bensì l’intero collegio giudicante, sia perchè dalla presentazione di tale istanza non era comunque derivato alcun obbligo di sospendere il procedimento, sia perchè su di essa correttamente lo stesso Consiglio dell’Ordine si era pronunciato dichiarandola manifestamente infondata. Quanto al merito, il Consiglio Nazionale stimò che, pur se in concreto concordata col cliente, la scelta di adire un giudice risultato poi privo di giurisdizione fosse indice di carenza professionale dell’avvocatè, come tale suscettibile di sanzione sul piano disciplinare, e che altrettanto censurabile fosse la successiva reiterazione di azioni giudiziarie per il pagamento della parcella, dirette ad aggravare la posizione dello stesso cliente.

L’avv. C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo vizi di competenza, violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna non ha svolto difese.

Motivi della decisione
1. La ricorrente, per prima cosa, si duole del fatto che il Consiglio Nazionale Forense non abbia rilevato il difetto di competenza del Consiglio dell’Ordine bolognese, che ebbe ad irrogare la contestata sanzione. Difetto di competenza che, a parere della stessa ricorrente, deriverebbe dall’essersi sulla medesima vicenda già in precedenza pronunciato il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, il quale aveva archiviato la relativa denuncia disciplinare. Non solo la Costituzione italiana, ma anche la Carta di Nizza precluderebbe la possibilità che un professionista sia sottoposto due volte a procedimento disciplinare per lo stesso fatto; e qualora a tal proposito sussistessero dubbi, la ricorrente chiede che ne sia investita la Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

1.1. La doglianza non è fondata.

1.1.1. Per il modo in cui la questione è sollevata, essa parrebbe non implicare propriamente un problema di competenza, non essendo contestati i criteri di collegamento territoriale in base ai quali il Consiglio dell’Ordine Bolognese (cui gli atti erano stati trasmessi dopo una precedente ricusazione da parte dell’incolpata dell’intero Consiglio del’Ordine degli Avvocati di Firenze, nel cui albo ella è iscritta), ha proceduto nei confronti dell’avv. C.. Ciò di cui la ricorrente si duole è che un esposto analogo a quello da cui è scaturito detto procedimento disciplinare era stato inoltrato anche ai Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, che però lo aveva archiviato.

Se con tale rilievo s’intende sostenere che la competenza a provvedere sarebbe spettata al consiglio palermitano, e non a quello bolognese, in forza del criterio della prevenzione stabilito dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38, comma 2, dovrebbe obiettarsi non solo che, dalla narrativa dello stesso ricorso e tenuto conto della data in cui si afferma essere stato emesso il summenzionato provvedimento di archiviazione non si ricava con chiarezza la priorità temporale del procedimento palermitano, e che, comunque, l’indicato criterio di prevenzione opera in quanto uno dei due consigli, astrattamente entrambi competenti, abbia dato effettivamente inizio al procedimento, a norma del citato R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 47, comma 1, mentre nel caso in esame non risulta che il consiglio palermitano abbia assunto una siffatta iniziativa, avendo invece optato per l’archiviazione dell’esposto; ma anche – e soprattutto – che i due procedimenti dei quali si parla hanno riguardato, come dalla narrativa della decisione qui impugnata si desume, due avvocati diversi, giacchè il provvedimento di archiviazione adottato dal Consiglio dell’Ordine di Palermo si riferisce non all’avv. C., come ella sostiene, bensì soltanto al suo collega di studio avv. R. (del foro di Palermo).

1.1.2. La censura prospettata nel ricorso, piuttosto che una questiono di competenza, sembra però voler mettere in discussione la possibilità per il Consiglio dell’Ordine bolognese di provvedere, in presenza di altro provvedimento già emesso per il medesimo fatto da un diverso consiglio, in violazione del principio del ne bis in idem.

E’ però evidente che la già rilevata diversità dei due procedimenti, l’uno riguardante l’avv. R. e l’altro l’avv. C., impedisce a priori di postulare una qualsiasi eventuale preclusione che dalla definizione di uno di quei procedimenti possa essere derivata per l’altro. Donde l’irrilevanza, nel presente giudizio, dei dubbi d’illegittimità costituzionale e di contrasto con fonti normative intenzionali sovraordinate sollevati dalla ricorrente.

2. E’ appena il caso di aggiungere che nessuna preclusione può essere derivata, nella fattispecie in esame, nemmeno dalla condanna penale che, a detta della ricorrente, è stata irrogata nei confronti del suo cliente per averla diffamata con la denuncia disciplinare inoltrata al Consiglio dell’Ordine, attesa l’evidente differenza di oggetto tra tale procedimento penale e quello disciplinare e la conseguente impossibilità d’individuare un qualsiasi rapporto di pregiudizialità (non meramente logica, bensì) tecnico – giuridica tra i due procedimenti.

Anche il secondo rilievo critico mosso dalla ricorrente all’impugnata decisione, censurata per eccesso di potere per non aver tenuto conto della surriferita pronuncia del giudice penale, risulta perciò destituito di fondamento.

3. Infondata appare altresì la censura con la quale la ricorrente individua una violazione di legge nella decisione del Consiglio Nazionale Forense nel punto in cui esso ha rigettato l’eccezione di nullità del procedimento disciplinare per la mancata partecipazione del pubblico ministero al dibattimento.

E’ principio già altre volte affermato dalle sezioni unite di questa Corte quello secondo cui, nel procedimento disciplinare d carico degli avvocati, trovano applicazione, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, quelle del codice di procedura civile; le norme del codice di procedura penale si applicano invece soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale faccia espresso rinvio ad esse, a ovvero allorchè sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale (cfr., in tal senso, da ultimo, Sez. un. n..0692 del 2010). Ed allora, non ravvisandosi nella normativa speciale alcuna espressa indicazione di segno diverso, è da ritenere che anche la partecipazione del pubblico ministero al procedimento disciplinare in questione sia retto dai principi che regolano l’intervento di detto organo pubblico nel giudizio civile: principi in base ai quali la regolarità del procedimento è assicurata dal mero fatto che il Pubblico Ministero sia stato posto in condizione di partecipare al processo, anche se poi abbia scelto in concreto di rimanere assente, come nel presente caso è accaduto.

4. La ricorrente lamenta una violazione di legge anche per il fatto che la decisione disciplinare sia stata adottata da un organo collegiale i cui componenti avevano già partecipato alla fase istruttoria.

Nemmeno tale doglianza appare però fondata, dovendosi dare continuità al consolidato orientamento di queste sezioni unite secondo cui nel procedimento disciplinare che si svolge dinanzi al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, non è ravvisabile alcuna incompatibilità tra lo svolgimento di attività da parte dei consiglieri nella fase preliminare e la loro partecipazione alla fase decisionale: in quanto la natura amministrativa del procedimento non consente l’applicazione delle disposizioni in materia d’incompatibilità proprie dei giudizi che si svolgono dinanzi agli organi della giustizia ordinaria o amministrativa, nè può profilarsi una qualche violazione dei principi costituzionali invocati dalla ricorrente, attesa la non pertinenza dei parametri indicati, riferibili alla sola attività giurisdizionale (cfr., tra le altre, Sez. un. n. 138 del 2006, n. 9097 del 2005, n. 6406 del 2004 e n. 1229 del 2004).

5. Ancora un eccesso di potere, o comunque un vizio del procedimento destinato ad inficiare la validità della sanzione Irrogata, viene ravvisato dalla ricorrente nella decisione con cui il Consiglio Nazionale Forense ha disatteso la censura formulata dalla stessa ricorrente per essersi il Consiglio dell’Ordine di Bologna pronunciato sull’incolpazione disciplinare nonostante l’istanza di ricusazione presentata dal l’incolpata.

La doglianza appare però inammissibile, nella parte in cui si riferisce al tema della tardività della riferita istanza di ricusazione, perchè la decisione impugnata ha ben chiarito che solo ad abundantiam il Consiglio dell’Ordine aveva accennato a tale profilo, avendo in via principale deciso di non tener conto dell’istanza di ricusazione a causa della sua manifesta "infondatezza. Sotto questo profilo, la censura formulata nel ricorso difetta quindi di decisività.

Quanto poi al merito della proposta ricusazione, la ricorrente, senza contestare il rilievo dell’impugnata decisione secondo cui il Consiglio dell’Ordine non era comunque Tenuto a sospendere il procedimento disciplinare in corso dinanzi a sè, insiste nel sostenere che, tuttavia, vi sarebbe stato un obbligo di astensione dei componenti del suddetto organo, ai quali singolarmente l’istanza di ricusazione era riferita, avendo essi concorso allo svolgimento anche della precedente fase istruttoria.

Anche tale rilievo appare però del tutto privo di fondamento, giacchè, per le ragioni già sopra indicate, non sussiste alcuna ragione d’incompatibilità che impedisca ai componenti del Consiglio dell’Ordine di partecipare tanto alla fase istruttoria quanto a quella decisoria del procedimento (vedasi anche, in argomento, Sez. un. n. 2509 del 2006).

6. Non può trovare accoglimento neppure l’ultimo motivo del ricorso, che, pur facendo riferimento agli artt. 112 e 115 c.p.c., in realtà si risolve in un’inammissibile pretesa di riesame nel merito dell’incolpazione; esame al quale il giudice di legittimità non può procedere, non foss’altro per.’impossibilità di prendere diretta conoscenza dei fatti di causa di causa.

Nè d’altronde, come già ripetutamente affermato da queste sezioni unite, spetta alla corte di cassazione, nell’esercizio del controllo di legittimità demandatole, sindacare l’apprezzamento della rilevanza disciplinare dei fatti assunti nei capi d’incolpazione, essendo questo di competenza esclusiva degli organi disciplinari forensi (cfr., tra le altre, Sez. un. N. 6215 del 2005 e n. 21633 del 2004).

7. Sulla base di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo il Consiglio dell’ordine intimato svolto difesa alcuna in questa sede.

P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *