CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 30 novembre 2010, n.24266 DANNO DA ATTIVITÀ LEGITTIMA DELLA P.A.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. – I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

2. – I primi due motivi del ricorso della società Autostrade ed il ricorso del comune di San Mauro Pascoli possono essere congiuntamente esaminati per la connessione, e talora identità, delle questioni che pongono.

La sentenza è censurata per violazione e falsa applicazione art. 46 della legge 25.6.1865, n. 2359, e per vizi della motivazione su punti decisivi per aver ritenuto, per un verso, che la realizzazione dell’opera pubblica (modifica del sottopasso conseguente all’allargamento dell’autostrada) avesse reso particolarmente difficoltoso l’accesso dei privati alla loro proprietà dalla strada comunale (e viceversa) e, per altro verso, che tanto integrasse una perdita derivante dalla lesione di un diritto soggettivo, come tale indennizzabile ai sensi della norma citata. Negano, in particolare, che possa essere riguardato come un diritto il comodo accesso da un immobile privato ad una strada pubblica.

In relazione, poi, alla lettera della disposizione di cui si assume la violazione (“È dovuta un’indennità ai proprietari dei fondi i quali, dall’esecuzione dell’opera di pubblica utilità, vengano gravati di servitù o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o diminuzione di un diritto”) ed alla posizione dei proprietari che non usufruivano di un diretto accesso alla strada comunale, negano che la realizzazione dell’opera pubblica avesse comportato l’imposizione o la costituzione di servitù di sorta; e contestano la decisione sia nella parte in cui la corte territoriale aveva ritenuto che essi si sarebbero trovati nella necessità di domandare in futuro la costituzione di una servitù di passaggio su fondo altrui, sia nella parte in cui aveva impropriamente determinato le spese che avrebbero dovuto conseguentemente affrontare. Tanto più che il proprietario dell’ipotetico fondo servente aveva mostrato, per anni, spontanea disponibilità a consentire il passaggio su parte del proprio terreno, essendosi a tanto anzi impegnato, sicché era anche prefigurabile la possibilità che la servitù di passaggio potesse costituirsi per usucapione.

2.1. – La proprietà si concreta nell’esercizio di una serie di facoltà, tra le quali si annovera quella di utilizzare l’oggetto del diritto reale secondo le modalità intrinseche alla sua particolare natura, configurazione e posizione (Cass., 4561/96). Anche il meno agevole accesso da un fondo ad una strada pubblica, in conseguenza della realizzazione di un’opera di pubblica utilità, è suscettibile di essere considerato come una diminuzione del diritto del proprietario sull’immobile e di ingenerare dunque l’obbligazione della pubblica amministrazione (o del concessionario, come nella specie) di corrispondergli una indennità in base all’art. 46 della legge n. 2356 del 1865, (Cass., n. 12146/90). Il parametro di valutazione è costituito dalla diminuzione di valore (cui ha dato puntuale rilievo, ad es. Cass., n. 778/93), che costituisce l’oggettivo discrimine fra pretese indennitarie fondate e pretese infondate. Non rileva tanto, dunque, che il pregiudizio arrecato dalla realizzazione dell’opera tocchi il nucleo essenziale del diritto di proprietà – peraltro indefinibile se si ha riguardo alle facoltà che competono al proprietario ed alle possibili modalità di godimento di un bene – oppure aspetti qualificabili come marginali delle citate facoltà e modalità; quanto invece che, a seguito della realizzazione dell’opera pubblica, la possibilità di godimento sia diminuita e che il valore di mercato del bene abbia, per tale ragione, subito un decremento oggettivo, economicamente apprezzabile e non irrisorio.

La diversità fra le soluzioni date ai singoli casi portati all’attenzione di questa corte di legittimità e il talora apparente contrasto tra le massime che dalle sentenze sono state tratte si spiega in tale chiave di lettura. Lo stesso pregiudizio è stato talora ritenuto indennizzabile e talaltra no in relazione alla soglia che di volta in volta veniva attinta. A seconda, cioè, che il bene avesse o non avesse subito un’apprezzabile diminuzione di valore, posto che il fondamento del diritto all’indennizzo previsto dall’art. 46 della legge n. 2359 del 1865, poggia pur sempre sul principio pubblicistico di giustizia distributiva, per cui non è consentito soddisfare l’interesse generale attraverso il sacrificio del singolo, senza che quest’ultimo sia indennizzato (così la citata Cass., n. 4561/96).

Va anche detto che, in tale ottica, non è improprio aver riguardo al possibile aumento di valore che al fondo privato, in ragione della sua ubicazione o delle sue specifiche caratteristiche, sia derivato dalla realizzazione dell’opera pubblica, sicché la perdita di talune facoltà di godimento non sarà indennizzabile quante volte il valore di mercato del bene non sia comunque diminuito.

2.2. – L’ultimo rilievo certamente non si attaglia al caso in esame, connotato dall’allungamento, dall’allargamento e dall’innalzamento (voluto dai vigili del fuoco, per consentire il passaggio dei mezzi di soccorso) di un sottopasso già esistente.

La corte d’appello, con adeguatamente motivato apprezzamento del fatto, ha ritenuto che la diminuzione del valore del fondo di proprietà di Francesca G. (che prima della realizzazione dell’opera poteva direttamente accedere alla pubblica via e che, dopo, “si è vista la sua proprietà parzialmente interclusa dalla maggiore lunghezza del muro di contenimento”), ascendesse a L. 30.000.000, secondo la valutazione di cui al secondo elaborato del consulente tecnico d’ufficio.

Ha poi considerato che il pregiudizio subito dagli altri appellanti non potesse definirsi in termini di mero disagio, in ragione della loro esigenza di costituire una servitù di passaggio su una striscia di terreno larga m. 1,80 sul terreno del vicino Lombardi (estraneo alla causa) al fine di poter disporre, in aggiunta a quella di m. 1,50 disponibile, “di una strada larga m. 3,30 (m 1,50 + m. 1,80), indispensabile per il passaggio di veicoli di maggiori dimensioni”. Ed ha determinato in L. 24.699.180 l’indennità che avrebbero dovuto pagare, secondo il calcolo, ritenuto corretto, del consulente tecnico di parte degli attori.

Ha così motivatamente superato la diversa opinione del c.t.u., secondo il quale i terreni diversi da quelli di Francesca G. non avevano subito svalutazioni in quanto l’opera aveva determinato un semplice allungamento di m. 15 dello strabello laterale al sottovia che essi dovevano comunque percorrere. La corte d’appello ha invece, pur se implicitamente, ritenuto che il decremento di valore di ogni immobile fosse pari alla spesa che sarebbe stato necessario affrontare per porre rimedio alla situazione determinata dalla realizzazione dell’opera pubblica.

Infondatamente i ricorrenti Autostrade e Comune si dolgono che quel calcolo fosse inadeguato (nei rispettivi ricorsi non è, invero, indicato quale sarebbe stato quello esatto) e che non era affatto certo che il terzo (Lombardi) non avrebbe lasciato a disposizione dei vicini la necessaria striscia di terreno, come nei confronti del comune s’era impegnato a fare, magari fino a consentire l’usucapione. La circostanza che tanto potesse accadere non vale ad inficiare la scelta della corte d’appello di considerare i costi necessari per rendere conforme a diritto una situazione di agevole passaggio, resa intanto possibile solo dalla mera tolleranza di un terzo.

I primi due motivi del ricorso di Autostrade ed il ricorso dei comune sono dunque infondati.

2.3. – Col terzo motivo di ricorso la società Autostrade – deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 46 della legge n. 2359 del 1965, ed ogni tipo di vizio della motivazione – si duole della propria condanna benché essa avesse svolto il “ruolo di mera esecutrice materiale dell’opera sottoviaria”, che era stata “costretta a dare esecuzione al progetto, modificato ed integrato dalle varianti in corso d’opera” su richiesta del comune, che aveva “di fatto imposto di eseguire l’opera con le modifiche richieste, assumendosi nel contempo ogni responsabilità derivante dall’esercizio del sottovia, nonché la gestione di tutte le problematiche inerenti gli accessi di strade laterali e passi pedonali” (così il ricorso, a pagina 14).

Col quarto la sentenza è censurata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la corte territoriale pronunciata sulla domanda di manleva subordinatamente avanzata per le ragioni appena esposte.

2.4. – Anche questi motivi, a loro volta suscettibili di congiunto scrutinio, sono infondati.

Che il comune abbia chiesto e la società Autostrade eseguito quanto l’ente territoriale aveva domandato in ordine alle modificazioni del sottovia ulteriori rispetto a quelle rese strettamente necessarie dall’allargamento della soprastante autostrada, non è contestato tra le parti.

Ma tanto evidentemente non basta a qualificare il comune come committente e ad esonerare la società Autostrade, concessionaria e non mera esecutrice materiale dell’opera, dall’obbligo del pagamento dell’indennità per il pregiudizio arrecato a terzi, a mente della disposizione sopra citata (è stato infatti chiarito che, in tema di opere pubbliche, la concessione c.d. traslativa, comporta il trasferimento al concessionario dell’esercizio delle funzioni oggettivamente pubbliche proprie del concedente, con la conseguenza che questi, acquistando poteri e facoltà trasferitigli dall’amministrazione concedente, si sostituisce alla stessa nello svolgimento dell’attività organizzativa e direttiva necessaria per realizzare l’opera pubblica e diviene, in veste di soggetto attivo del rapporto attuativo della concessione, l’unico titolare di tutte le obbligazioni che ad esso si ricollegano: cfr., ex multis, Cass., n. 26261.07).

Per un verso, invero, la qualifica di committente, trattandosi di pubblica amministrazione, avrebbe presupposto atti formali, da adottarsi in esito ad un procedimento amministrativo del quale non v’è neppure menzione in ricorso; per altro verso, non è chiarito in quale senso, sotto quali profili, in base a quali norme, la società Autostrade sia stata “costretta” a fare quanto il comune gli aveva richiesto. Il problema era se vi fosse tenuta. Ed il ricorso non offre chiarimenti sul punto.

Neppure è detto che il comune si fosse obbligato, sul piano contrattuale, a tenere indenne la società delle somme che essa potesse essere tenuta a versare a terzi ai sensi dell’art. 46 citato. Il riferimento alla convenzione intercorsa tra le parti (espressamente menzionata solo in memoria e comunque non riprodotta nel suo specifico contenuto, come sarebbe stato necessario in relazione al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) è infatti generico nel richiamo dell’assunzione da parte del comune della “responsabilità derivante dall’esercizio del sottovia, nonché (del)la gestione di tutte le problematiche inerenti gli accessi di strade laterali e passi pedonali”; posto che la causa non concerne aspetti connessi all’esercizio del sottovia né alla gestione di problematiche concernenti gli accessi, ma un’obbligazione indennitaria.

3. – Infondato è anche il ricorso incidentale, giacché il rigetto della domanda di manleva della società Autostrade è implicito nelle qualificazioni attribuite dalla corte d’appello ai due soggetti. Che tali qualificazioni fossero erronee, come sopra s’è osservato, è irrilevante, giacché di tanto avrebbe potuto se mai giovarsi il comune, che peraltro non se ne duole col proprio ricorso.

La motivazione va dunque bensì corretta nella parte in cui il comune è stato qualificato come committente dell’opera, ma la soluzione è corretta in diritto laddove la domanda di manleva della società Autostrade nei suoi confronti è stata implicitamente respinta.

4. – Privo di fondamento è anche il ricorso incidentale.

4.1. – Il primo motivo – col quale sono dedotti violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. e 112 c.p.c., nonché difetto di motivazione su punto decisivo per non essersi la corte d’appello pronunciata sulla domanda di ripristino dello stato dei luoghi e di risarcimento che i ricorrenti avevano proposto ex art. 2043 – è infondato poiché gli stessi ricorrenti (correttamente) riconoscono che la domanda è stata “implicitamente disattesa dalla corte d’appello” (pagina 15, dodicesima riga del ricorso), sicché palesemente non sussiste vizio di infrapetizione; mentre la doglianza sostanziale si infrange contro la corretta esecuzione dell’opera, motivatamente ravvisata da parte del giudice del fatto.

4.2. – Il secondo motivo – col quale sono denunciati violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e per ogni possibile tipo di vizio della motivazione in ordine alla più grave entità dei pregiudizi da loro subiti – poiché è in realtà censurato un apprezzamento di fatto, compiuto dalla corte d’appello sulla scorta della consulenza tecnica di parte, prodotta da coloro stessi che in questa sede della valutazione si dolgono.

5. – Conclusivamente, i ricorsi sono tutti respinti.

Le spese del giudizio di cassazione vengono compensate in relazione alla reciproca, totale soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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