CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO – SENTENZA 17 settembre 2010, n.19785 DEMANSIONAMENTO E RISARCIMENTO DANNO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo la ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 414 c.p.c., 2103 e 1967 c.c., censura la sentenza impugnata per l’omessa declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo, carente – a dire della ricorrente – degli indispensabili requisiti di cui all’art. 414 c.p.c., riferiti alla mancata enunciazione delle mansioni in precedenza svolte dai lavoratori presso l’unità produttiva di provenienza, impeditiva, per la società, di ogni possibilità di apprestare una adeguata linea difensiva con riguardo all’asserita violazione dell’art. 2103 c.c..

Il motivo è privo di fondamento.

Ed invero, come motivatamente puntualizzato nella impugnata decisione, dall’esposizione in fatto contenuta nel ricorso, i lavoratori, originari ricorrenti, tutti inquadrati quali operai specializzati di V livello CCNL di settore, avevano riferito di avere eseguito, con continuità ed esclusività, “mansioni e compiti di operatore specializzato addetto ai reparti di carrozzeria, meccanica, verniciatura e/o di manutentore”, mansioni del tutto corrispondenti alle declaratorie contrattuali delle qualifiche previste per il livello di inquadramento posseduto (V liv.) ed al trattamento economico e normativo da essi pure goduto.

Tale descrizione è stata correttamente ritenuta dal Giudice a quo conforme ai parametri imposti dalla norma richiamata, stante l’indicazione dei periodi in contestazione, del livello di inquadramento contrattuale posseduto, dei compiti svolti, idonei a consentirne la riconducibilità ad una delle declaratorie contrattuali di riferimento.

Così argomentando, il Giudice di merito ha mostrato di adeguarsi al consolidato orientamento di questa Corte alla cui stregua, nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono il fondamento, non è sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente indicato, ma è necessario che ne sia impossibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto e della documentazione allegata. Il relativo accertamento è rimesso al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione (Cass. 25.7.2001 n. 10154).

Nella specie, il Giudice di merito – come risulta nella sentenza impugnata – non ha avuto difficoltà a rinvenire sia il petitum che la causa petendi, del tutto sufficienti ad identificare compiutamente la pretesa degli attori e, dunque, a consentire il pieno esercizio della difesa da parte della società convenuta, mentre le carenze censurate con il ricorso in esame attengono piuttosto alla fondatezza, in fatto o in diritto, della medesima pretesa.

Ed in tale prospettiva coerentemente e correttamente il Giudice di appello ha negato fondamento anche alla censura, reiterata in questa sede con il secondo motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione), relativa ad una asserita violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, avuto riguardo alla inesattezza di quanto affermato in merito alla mancanza, nel ricorso, di ogni doglianza espressa dai ricorrenti sulla non riconducibilità delle mansioni di cablatore loro attribuite dal giugno 1993 al livello di inquadramento di appartenenza, “essendo un tale rilievo rinvenibile al punto 6 del testo dell’atto introduttivo, laddove appare artificiosa la interpretazione di quest’ultimo nel senso della limitazione della domanda alla richiesta di risarcimento danni connessi soltanto al depauperamento del proprio patrimonio di conoscenze tecnico professionali ed alla mortificazione di ogni possibilità di sviluppo di carriera per la sostanziale diversità del contenuto mansionario dell’attività svolta prima e dopo il provvedimento del datore di loro assegnazione all’UPA 4 di Casalnuovo”.

In proposito la Corte di merito ha tenuto ulteriormente a precisare che, anche dal punto di vista logico giuridico, non sarebbe del tutto razionale la scelta di limitare l’ambito del contraddittorio alla sola indagine sull’osservanza del criterio dell’equivalenza sostanziale delle mansioni, laddove il comportamento della società era censurabile anche rispetto alla corrispondenza delle nuove mansioni al livello formale di inquadramento contrattuale inferiore a quello posseduto. Trattandosi di interpretazione della domanda, riservata al Giudice di merito, adeguatamente argomentata, deve, pertanto, disattendersi – come accennato – siffatto motivo di gravame, fondato sul preteso ingiustificato ampliamento, da parte del primo giudice, del thema decidendum.

Anche il terzo motivo, con cui si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nonché violazione dell’art. 2697 c.c., non può trovare accoglimento, riguardando questioni di merito collegate alla valutazione del materiale probatorio acquisito.

Sul punto il Giudice di appello, investito da analoga censura relativa alla sentenza di primo grado, con riferimento al rilievo basato sulla mancanza di ogni prova relativa alla subita dequalificazione, ha osservato che la stessa prospettazione della lesione subita – da intendersi riferita anche alla attribuzione di compiti rientranti in una qualifica inferiore rispetto alla V categoria posseduta da tutti i ricorrenti – rendeva evidente che il trasferimento degli stessi, nessuno escluso, presso diversa unità produttiva ove pacificamente i dipendenti svolgevano compiti di diverso contenuto “rispetto a quelli esplicati presso l’UPA” (in cui l’attività – secondo la stessa tesi di parte appellante – era cessata) aveva reso necessaria l’adibizione di tutti all’attività propria del reparto di destinazione, consistente nei cablaggi degli impianti elettrici delle autovetture; cosicché le testimonianze rese dai testi escussi – analiticamente esaminate – risultavano idonee a provare la posizione lavorativa assunta da tutti gli appellati a partire dal giugno 1993.

Devesi, in proposito, rammentare, costituendo specifico motivo di gravame, unitamente a quello ricondotto al vizio di violazione di legge, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c.) non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. S.U. n. 13045/97) – dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

Fondato è invece il quarto motivo con cui la ricorrente società, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2087 e 2103 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta la erroneità della impugnata decisione con riferimento alla prova ed alla quantificazione del danno da dequalificazione.

Deve premettersi che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Va ancora aggiunto che, mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove (Cass. 24 marzo 2006 n. 6572).

Ciò che, dunque, va rimarcato è che la giurisprudenza è ormai consolidata nel senso di ritenere che il prestatore di lavoro, che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 cod. civ.

Nella specie, la Corte di merito, con riguardo alla prova del danno conseguente alla dequalificazione ha osservato come il pregiudizio invocato fosse stato collegato alla serie di risultati negativi rappresentati dalla lesione della professionalità e della dignità umana, dal danno all’immagine e dal discredito nell’ambiente di lavoro, dal danno alla carriera, dalla perdita di chances di avanzamento di carriera, da difficoltà di ricollocare all’esterno la propria professionalità.

Ma, così limitandosi ad argomentare, ha mostrato di adeguarsi solo apparentemente alla riportata giurisprudenza, fornendo indicazioni generiche, scollegate dalla posizione dei singoli lavoratori. Ne discende che il diritto al risarcimento riconosciuto dal Giudice di appello, finisce col basarsi su un semplice automatismo, piuttosto che su una indagine concreta volta ad acclarare l’effettiva sussistenza di un danno.

Infondato è, infine, il ricorso incidentale con cui si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 302, 303, 305, 306, 307 e 331, nonché omessa e/o contraddittoria motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

Sostiene la parte resistente con il proposto ricorso incidentale che, a seguito del decesso di alcuni degli originari ricorrenti, nella fase di appello, che ne ha determinato l’interruzione, la riassunzione parziale della causa solo nei confronti degli altri lavoratori avrebbe dovuto indurre il Collegio a pronunciare una sentenza di estinzione dell’intero giudizio in quanto sarebbe stata necessaria la riassunzione nei confronti di tutti le parti, e quindi anche nei confronti degli eredi dei deceduti. Si tratterebbe di litisconsozio c.d. processuale in cui la presenza di più parti nel giudizio di primo grado deve necessariamente persistere in grado di appello.

Osserva il Collegio che, come già osservato dal giudice d’appello, la omessa integrazione del contraddittorio non potrebbe produrre riflessi con riguardo alla posizione degli altri soggetti processuali, nei cui confronti si configura una situazione di litisconsorzio facoltativo di carattere processuale, in rapporto al quale, per ragioni di opportunità processuale si realizza simultaneus processus, costituente “un mero espediente processuale, mirato a fini di economia dei giudizi” (Corte cost. 05.02.1999, n. 1; Corte cost. n. 295/95), che consente alle parti di far trattare e decidere, nello stesso processo più cause tra loro diverse, seppure legate da rapporti di connessione; cause che, però, sono suscettibili di essere autonomamente decise a prescindere dalla loro trattazione in simultaneus processus.

Nella vicenda in esame, giova ribadire, si verifica un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo improprio, in quanto, pur nell’identità delle questioni, permane autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole causae petendi, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualità, in relazione ai rispettivi legittimi contraddittori e con l’ulteriore conseguenza che la sentenza che le definisce – sebbene formalmente unica – consta, in realtà, di tante pronunzie quante sono le cause riunite, le quali conservano la loro autonomia anche in sede di impugnazione.

Restando, quindi, immutata la posizione processuale della parte rispetto alle singole cause, la cui autonomia permane nonostante la simultaneità del processo, le eventuali nullità attinenti ad una di tali cause non possono ripercuotersi sulle decisioni delle altre (cfr. ex plurimis Cass. 5 maggio 1990 n. 3740).

Ne discende l’ammissibilità di una riassunzione parziale del processo nel caso di litisconsorzio facoltativo, essendo consentito alle parti di ciascuna delle liti di riassumere solo il giudizio riguardante la causa alla quale siano interessate, delimitando alla medesima la riattivazione del processo e lasciando operare l’estinzione di questo in relazione alle altre vertenze (cfr. ex plurimis Cass. 14.10.1993 n. 10167).

Correttamente, dunque la Corte d’Appello ha escluso che l’omessa notifica a taluno degli eredi comportasse l’estinzione dell’intero processo.

Per quanto precede il ricorso incidentale va rigettato, mentre va accolto il quarto motivo del ricorso principale. Ne consegue l’annullamento della impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, per il riesame alla stregua del principio di diritto sopra esposto.

La stessa designata Corte di Appello provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il quarto motivo del ricorso principale e rigetta gli altri ed il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *