CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 22 giugno 2010, n.15108 VERBALE DI ACCERTAMENTO PER GUIDA PERICOLOSA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denuncia in rubrica “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” e nello svolgimento si riferisce all’art. 2700 c.c.; il ricorrente sostiene che il verbale formato dai vigili urbani avrebbe efficacia probatoria privilegiata, anche nel caso di specie, perché i fatti rilevati dagli agenti accertatori sarebbero “oggettivi e privi di qualsiasi apprezzamento personale”, perché i verbalizzanti avrebbero attestato il transito dell’automobilista ad una velocità non commisurata alle condizioni oggettive della strada, la quale presentava varie intersezioni, passi carrai e traffico.

A fronte di tale verbalizzazione, il trasgressore avrebbe dovuto proporre querela di falso per togliere valore di prova all’atto amministrativo.

Con il secondo motivo, che lamenta vizi di motivazione, il ricorso deduce l’irrilevanza della circostanza che non si siano verificati sinistri stradali e l’illogicità della tesi secondo cui la valutazione dei vigili sarebbe stata meramente discrezionale.

Il ricorso è manifestamente infondato. A mente dell’art. 2700 c.c. “L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”. La norma fa dunque riferimento ai fatti verificatisi in presenza del pubblico ufficiale. Le Sezioni Unite di questa Corte di recente (SU 17355/09) hanno affermato che nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale. Ricadono in tale disciplina accadimenti e circostanze (da descrivere con indicazione delle particolari condizioni soggettive ed oggettive dell’accertamento, ricordano le Sezioni Unite) avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale, quali il passaggio di un’autovettura con semaforo rosso o l’uso della cintura di sicurezza o il puntamento di apparecchiatura elettronica per il calcolo della velocità di un veicolo, indipendentemente dalla condizione dinamica o di stasi dell’autore del fatto e del mezzo usato. Nel caso di specie, il giudice di merito non ha violato tali principi. Ciò che è avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale e che poteva essere attestato con fede privilegiata è solo il transito del veicolo in movimento in quella strada. Secondo l’art. 141 CdS la pericolosità della condotta di guida deve essere desunta dalle caratteristiche e dalle condizioni della strada e del traffico e da ogni altra circostanza di qualsiasi natura. Essa di per sé non costituisce, come bene ha colto il giudicante, un fatto storico, che possa essere attestato, ma è il portato di un giudizio, di una valutazione sintetica, che è desunta dagli elementi indicati dal legislatore. Il giudizio di pericolosità implica un’attività di elaborazione da parte dell’agente accertatore, il quale deve rilevare i fatti che stanno avvenendo (condizione del veicolo, della strada, del traffico) e sottoporli a critica, per desumerne la valutazione di congruità ai criteri di buona condotta di guida o, appunto, di pericolosità.

Ne consegue che detta valutazione è priva di efficacia probatoria privilegiata e che il giudice di pace ha correttamente interpretato l’art. 2700 c.c.

Del tutto priva di fondamento è poi la censura alla motivazione addotta dal giudice di primo grado, il quale ha rilevato non solo che la pericolosità di guida non era risultata, come solitamente avviene quando non si sia in presenza di un eccesso di velocità, dal verificarsi di un sinistro, ma anche che il verbale era sguarnito di elementi utili a supportare la valutazione data dagli agenti. La sentenza riferisce che dal verbale non emergeva “nessun elemento specifico e obbiettivo risultante dagli accertamenti” e aggiunge esemplificativamente, con indubbia efficacia espositiva, che tali elementi potevano consistere in tracce di frenata o dichiarazioni testimoniali. Conclude ineccepibilmente che non sussiste la prova del fatto addebitato all’opponente. Trattasi di motivazione priva di vizi logici e pronunciata nel rispetto dei canoni di concisione di cui all’art. 132, offrendo tuttavia chiara nozione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso, cui non segue la pronuncia sulla refusione delle spese di lite in mancanza di attività difensiva dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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