CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 15 marzo 2010, n.6236 AZIONI DI RISOLUZIONE CONTRATTUALE: DIVERSE SIA PER ‘CAUSA PETENDI’, SIA PER ‘PETITUM’

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., 1453 e 1454 c.c., 4 co. 4 L. 10/77, con connessi, per insufficienza, contraddittorietà della motivazione e travisamento dei fatti di causa.

Si censura per ultrapetizione il rilievo di ufficio, da parte di giudici di appello, delle assunte inadempienze relative al certificato di abitabilità e di ultimazione dei lavori, che non avevano formato oggetto di eccezione, in senso tecnico, e relativa prova incombente sulla parte convenuta, in un contesto nel quale il contrasto tra le parti era essenzialmente incentrato sulla misura degli acconti e del saldo, nonché dei pretesi difetti dell’immobile. Né poteva ritenersi che tali adempimenti costituissero, come argomentato dalla corte territoriale, elementi costitutivi della pretesa dedotta in giudizio dall’attrice, che sarebbero stati solo l’esistenza dell’obbligazione contrattuale inadempiuta, l’avvenuta intimazione di un termine per adempiere non inferiore a quello legale e l’inutile scadenza di quest’ultimo, elementi tutti provati, mentre la mancanza del certificato di abitabilità, di cui non si erano lamentati i convenuti, era irrilevante, dovendo lo stesso e ben potendo eventualmente essere prodotto in occasione della stipulazione dell’atto definitivo, richiesta che l’attrice non aveva tuttavia formulato, avendo chiesto la risoluzione.

Il motivo non merita accoglimento.

Dall’incontestata narrativa delle sentenza impugnata (pag. 6 u.p.) si rileva che la mancanza del certificato di abitabilità (o di atti equipollenti) fu espressamente dedotto nell’atto di appello. Tanto premesso, poco o punto rileva se tale doglianza costituisse la formalizzazione di un addebito già sostanzialmente ascritto alla controparte in primo grado, eccependosi che la consegna dell’immobile non era avvenuta “a fini abitativi (come si sostiene in controricorso), oppure la deduzione del difetto di una condizione dell’azione proposta dalla promittente venditrice, rilevabile anche di ufficio, come ha motivato la corte di merito.

È agevole e sufficiente al riguardo rilevare che, vertendosi in causa iniziata nel 1992, dunque prima dell’entrata in vigore dell’art. 345 c.p.c. nel nuovo testo riformulato dalla L. 353/90 (che avrebbe iniziato ad applicarsi dal 30.4.95), l’eccezione, anche se tale in “senso tecnico”, ben avrebbe potuto essere proposta per la prima volta anche in grado di appello (salvo eventuale rilevanza ex art. 92 c.p.c.), come previsto dal secondo comma del citato articolo del codice di rito, nel testo previgente ancora applicabile ratione temporis.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., insufficienza e contraddittorietà di motivazione, per aver la corte di merito indebitamente valutato, al fine di escludere l’importanza dell’inadempimento dei convenuti, il pagamento delle rate di mutuo, costituente un adempimento tardivo delle obbligazioni contrattuali sugli stessi incombenti, senza tener conto che dal momento in cui era stata proposta la domanda di risoluzione tali pagamenti non avrebbero potuto essere eseguiti e che il comportamento delle parti da valutare, le cui reciproche posizioni erano rimaste “cristallizzate” dalla proposizione della domanda risolutoria, sarebbe stato soltanto quello relativo alle prestazioni già scadute.

Il motivo è fondato.

L’attrice aveva proposto una domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione ex art. 1454 c.c. del contratto, per ingiustificata inottemperanza alla diffida ad adempiere intimata ai promissari acquirenti, i quali avevano opposto la legittimità, ex art. 1460 c.c., del loro rifiuto in quanto giustificato dall’inadempienza, a loro volta ascritta alla promittente venditrice, nondimeno instando, in via riconvenzionale, per l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare. Tali essendo le contrapposte domande ed eccezioni delle parti, tra cui non figurava alcuna richiesta di una pronunzia risolutoria ex art. 1453 del contratto, il primo nodo da sciogliere sarebbe stato quello relativo alla legittimità della diffida ad adempiere che, avuto riguardo alla natura dichiarativa della richiesta pronunzia, non avrebbe potuto che tener conto della situazione sussistente alla data della relativa intimazione e non anche, come sarebbe stato possibile nella diversa ipotesi di ordinaria domanda risolutoria di carattere costitutivo, del successivo comportamento delle parti. Pertanto i giudici avrebbero dovuto limitarsi, al fine di stabilire quale delle due reciproche inadempienze da una parte quella relativa al mancato pagamento di una parte degli acconti, dall’altra quella di non aver procurato il certificato di abitabilità pur avendo consegnato l’immobile, né dotato lo stesso di adeguati impianti tecnologici a tal fine (questione rimasta in ombra nella sentenza di merito), fosse preminente rispetto all’altra, onde stabilire se la risoluzione di diritto fosse stata legittimamente richiesta dalla diffidante, oppure ritenerla ingiustificata, con conseguente accoglibilità della domanda ex art. 2932 c.c., previa riduzione del residuo prezzo dovuto.

Ma la valutazione comparativa della corte di merito, confondendo l’accertamento dichiarativo ex art. 1454 c.c., con quello costitutivo dell’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., ha indebitamente preso in considerazione anche il comportamento delle parti successivo alla scadenza del termine per adempiere e, addirittura, quello di parte convenuta posteriore all’instaurazione del giudizio, per poi concludere che, nel contesto complessivo della vicenda negoziale, l’intimazione sarebbe stata ingiustificata, sia perché era la promittente a doversi ritenere inadempiente, non avendo procurato il certificato di abitabilità, sia perché il mancato pagamento di acconti per lire 30.000.000 (che avrebbero dovuto comunque essere versati prima dell’ottenimento del suddetto certificato e della stipula del definitivo) sarebbe stato, a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, di non grave rilevanza, sia in considerazione dei successivi esborsi di rate del mutuo, versate direttamente e d’iniziativa dei promissari acquirenti, detentori dell’immobile, alla banca creditrice nel corso del processo.

Ritenendosi tale ultimo elemento palesemente estraneo alla tematica della proposta e non rinunziata azione dichiarativa ex art. 1454 c.c., implicante un giudizio comparativo limitato all’accertamento delle condotte contrattuali delle parti fino all’epoca della diffida, risultando altresì l’apprezzamento minimizzante il mancato pagamento degli acconti non meglio motivato, se non alla stregua di una valutazione complessiva e dinamica dei comportamenti delle parti, indebitamente comprensiva di quelli successivi all’epoca suddetta e persino all’instaurazione del giudizio, il ricorso deve essere accolto in parte de qua.

Rimane conseguentemente assorbito, per pregiudizialità logico – giuridica delle questioni che dovranno formare oggetto del giudizio di rinvio, tra cui quella dell’eventuale accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c., il restante terzo motivo, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo sopra citato, dell’art. 4, co. 4 L. 10/77 e della L. 47/85, nonché motivazione contraddittoria, per avere la corte territoriale pronunziato la sentenza costitutiva, tenente luogo del contratto definitivo traslativo, nonostante avesse in precedenza essa stessa rilevato che la relativa stipula non avrebbe potuto avvenire per mancanza del certificato di abitabilità e di ultimazione lavori, e non tenendo conto dell’ostacolo derivante, dalla suddetta norma speciale, al trasferimento, in mancanza della concessione edilizia.

La sentenza impugnata va, conclusivamente, cassata in relazione all’accolta censura, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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