CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – SENTENZA 22 marzo 2010, n.6861 DIRITTO DI ABITARE NELLA CASA CONIUGALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Va accolta preliminarmente l’eccezione di inammissibilità, per tardività del controricorso. Il ricorso è stato notificato dal F. in data 3/4/2006; il controricorso doveva essere notificato ai sensi del combinato disposto degli artt. 369-370 c.p.c. entro venti giorni dal termine stabilito per il deposito del ricorso stesso (giorni venti dalla notificazione).

Il controricorso è stato notificato in data 28/7/2006, e dunque ben oltre il termine prescritto.

Va dichiarato inammissibile per tardività il controricorso, del cui contenuto non si potrà tenere conto.

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge (artt. 155, 156 c.c.; 115, 116 c.p.c.; 2734 e 2735 c.c.; 229 c.p.c.) ed omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in punto assegnazione della casa coniugale all’A., ritenuta ingiusta e gravatoria, in quanto questa, fin da tempo anteriore alla separazione non l’aveva mai abitata.

Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Con motivazione adeguata e non illogica, il giudice a quo chiarisce che dalle informative richieste alla Guardia di Finanza emerge che l’A. abita con la figlia M. nell’abitazione sita in omissis, e cioè nella casa ex coniugale. Pur essendo il F. proprietario esclusivo dell’abitazione, per giurisprudenza costante (tra le altre Cass. n. 6774/90; n. 2574/94), è legittima l’assegnazione della casa coniugale alla moglie che la abita insieme ai figli (sulla posizione di M. non vi sono contestazioni) maggiorenni, ma non autosufficienti economicamente.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 155, 156 c.c.; 115, 116 c.p.c.; 2734 e 2735 c.c.; 229 c.p.c., in punto condanna a corrispondere assegno all’A. per sé e per il figlio D..

Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Il giudice a quo esamina specificamente la posizione reddituale delle parti, valutando assai più solida quella del F., precisando che l’A. non svolge più alcuna attività lavorativa, tra quelle in precedenza saltuariamente espletate.

Quanto alla posizione del figlio D., maggiorenne, la prova dell’autosufficienza economica e della non convivenza con la madre, che escluderebbe la legittimazione di questa a ricevere jure proprio l’assegno per il figlio, a titolo di rimborso (così Cass. n. 11320/05), doveva essere fornita dall’obbligato (al riguardo Cass. n. 565/98).

Precisa la sentenza impugnata che non è stata fornita prova di un’attività lavorativa stabile, e tale da garantire a D. un sufficiente reddito proprio, anche se questi “sembrerebbe non vivere più ad omissis”. È evidente che il dubbio espresso dal giudice a quo è strettamente collegato alla condizione di non autosufficienza economica del soggetto.

Come precisa questa Corte (Cass. n. 11320/05, già indicata), la presenza del figlio, soltanto saltuaria, per la necessità di assentarsi per motivi di studio e lavoro, anche per non brevi periodi, non può far venir meno di per sé il requisito dell’abitare, sussistendo pur sempre un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, ove il figlio ritorni ogni volta che gli impegni glielo consentano.

Il trasferimento ad altro Comune, risultante dai registri anagrafici, potrebbe essere collegato – come emerge, seppur per implicito, dal contesto motivazionale – ad una ricerca di lavoro, magari provvisoria. Sarebbe ipotizzabile una scissione tra domicilio, luogo in cui il soggetto ha stabilito (o conservato) la sede principale dei suoi affari ed interessi (personali e patrimoniali) e residenza, luogo di dimora abituale (provvisoriamente differente), come indicato dall’art. 43 c.c..

Va conclusivamente rigettato il ricorso.

Nulla sulle spese, essendo stato dichiarato inammissibile il controricorso e non avendo il resistente svolto difese orali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Il mezzo preso in leasing è stato rubato, ma il locatario si salva dal pagamento dei canoni residui. A patto che provi che il veicolo fosse custodito in modo adeguato. Spetta invece al locatore dimostrare che le misure di tutela del bene assunte dalla controparte non fossero adeguate a causa della scarsa sicurezza intrinseca del luogo di custodia. È quanto emerge dall’ordinanza 6414/10, emessa dalla terza sezione civile della Cassazione (e qui leggibile come documento correlato).

Fattispecie eterogenee. È legittima, nella specie, la risoluzione del contratto di leasing per sopravvenuta impossibilità della prestazione dopo il furto del mezzo: confermata la revoca del decreto ingiuntivo ottenuto dal concedente nei confronti dell’utilizzatore per ottenere il versamento dei canoni. È vero: la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il custode del bene non è esente da responsabilità quando il furto non è stato perpetrato con violenza o minacce alle persone. Ma si tratta di un principio che vale se il reato, furto o rapina, si consuma alla presenza di qualcuno, magari dello stesso custode, come per l’autotreno (o il carico) rubato alla presenza del camionista (Cassazione 7533/09, arretrato 4 aprile 2009). Nel nostro caso si tratta invece di un’escavatrice trafugata da uno spiazzo chiuso e recintato (Tribunale di Bari 667/09, arretrato 22 maggio 2009).

Onere della prova. Non risulta censurabile la decisione di merito: la macchina rubata era custodita in un luogo chiuso a chiave e, dunque, l’utilizzatore del mezzo ha fornito la prova di avere adottato una custodia adeguata. Doveva essere il danneggiato a dimostrare l’insufficienza delle misure adottate alla luce delle peculiarità del caso. Qualche esempio? La particolare natura del luogo di custodia del mezzo, isolato o malfamato, oppure la circostanza che in zona si fossero verificati altri furti o rapine (sul caso del fallimento dell’utilizzatore: 4862/10, arretrato 11 marzo 2010). (d.f.)

Cassazione – Sezione terza – ordinanza 21 gennaio – 17 marzo 2010, n. 6414

Presidente Preden – Relatore Lanzillo

Premesso in fatto

Il giorno 4 dicembre 2009 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“1. – La s.r.l. Attisani ha notificato ad Antonio Forgione decreto ingiuntivo del Tribunale di Roma, recante condanna a pagare L. 31.060.000 per i canoni relativi ad un escavatore meccanico, concesso in leasing.

L’ingiunto ha proposto opposizione, deducendo che la macchina era stata rubata e chiedendo la risoluzione del contratto di leasing per impossibilità sopravvenuta della prestazione.

La Attisani ha resistito, proponendo domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per la perdita dell’escavatore, a suo avviso imputabile a colpa dell’utilizzatore.

Il Tribunale ha dichiarato inammissibile l’opposizione ed ha respinto le altre domande.

La Corte di appello di Roma, in riforma, ha revocato il decreto ingiuntivo; ha compensato per il 30% le spese processuali ed ha posto a carico della Attisani il rimanente 70%.

Quest’ultima propone due motivi di ricorso per cassazione.

Resiste il Forgione con controricorso.

2. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di appello accolto la domanda del Forgione di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, senza accertare – alla luce dei documenti prodotti – se la macchina escavatrice rubata fosse la stessa che costituiva oggetto del leasing, prova che avrebbe dovuto essere fornita dal danneggiato e che questi non ha dato; così come non ha dato la prova della sua assenza di colpa in ordine al furto, per avere correttamente adempiuto al dovere di custodia.

Il Forgione, inoltre, non avrebbe dato notizia ad essa ricorrente del furto, per oltre due anni, inducendola ad affrontare ulteriori spese (pagamento della tassa di possesso, ecc.), in violazione del dovere di buona fede. Anche di tale circostanza la Corte di appello non avrebbe tenuto alcun conto.

3. – Con il secondo motivo denuncia violazione degli art. 1218 e 1588 cod. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di appello ravvisato nel furto una causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione sebbene il Forgione non avesse fornito la prova, a lui incombente, che la perdita non era imputabile a sua colpa, per omessa custodia. Assume che, ove il furto non avvenga con violenza o minaccia alle persone, la Corte di cassazione esclude che esso costituisca caso fortuito o circostanza non imputabile.

4. – I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, non sono fondati.

La censura attinente alla non coincidenza fra la macchina rubata e quella oggetto del leasing è inammissibile, perché non proposta in sede di merito e tale da richiedere ulteriori accertamenti in fatto, non consentiti in questa sede.

Parimenti, il ricorrente lamenta l’omesso esame ad opera della sentenza impugnata della sua domanda di accertamento della responsabilità dell’utilizzatore per omessa o tardiva informazione circa il furto, senza avere previamente indicato in quale sede e tramite quali atti egli ebbe a sottoporre alla Corte di appello la relativa domanda; sicché il ricorso appare sul punto inammissibile perché non autosufficiente. Gli ulteriori rilievi prospettano, sotto l’apparenza della violazione di legge, doglianze che attengono alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti ad opera della Corte di merito.

La ricorrente non mette in evidenza vizi interni alla motivazione della sentenza impugnata, tali da dimostrarne l’insufficienza o l’illogicità, i quali soltanto costituiscono valido motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.; ma solo dissente dalle soluzioni di merito alla quale la Corte di appello è pervenuta.

La sentenza impugnata ha congruamente motivato la sua decisione, rilevando che la macchina escavatrice è stata rubata mentre si trovava su di un autocarro, ricoverato all’interno di uno spiazzo chiuso e recintato.

I rilievi della ricorrente, secondo cui lo stato dei luoghi rendeva insufficiente la custodia, trattandosi di località isolata, avrebbero dovuto essere sorretti da adeguata prova delle relative circostanze di fatto.

Ove infatti il custode fornisca la prova di avere adottato determinate misure, normalmente adeguate a provvedere alla custodia del bene, è onere della controparte dedurre e dimostrare che il peculiare contesto in cui il furto si è verificato avrebbe richiesto altri e più severi accorgimenti.

Né appare in termini il principio richiamato dalla ricorrente, secondo cui il custode non può essere assolto da responsabilità, ove il furto non si verifichi tramite violenza o minaccia alle persone.

Trattasi di principio affermato con riferimento a furti (o rapine), verificatisi in presenza di persone e magari dello stesso custode (in particolare, furto dell’autotreno o del carico, in presenza del conducente), ove si pongono problemi diversi ed eterogenei rispetto a quello in esame.

5.- Propongo che il ricorso sia respinto, con procedimento in Camera di consiglio”.

La decisione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti.

Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.

La ricorrente ha depositato memoria.

Ritenuto in diritto

1. – Il Collegio, all’esito dell’esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti esposti nella relazione, che i rilievi contenuti nella memoria della ricorrente non valgono a disattendere.

La Corte di appello ha accertato, con valutazione in fatto non suscettibile di riesame in questa sede, che la macchina rubata si trovava all’interno di un luogo chiuso a chiave e recintato e per questa ragione ha ritenuto – nel suo discrezionale potere di valutazione delle prove – che il conduttore avesse fornito adeguata prova di avere adempiuto al dovere di custodia: valutazione in astratto condivisibile e non confliggente con la logica e con i principi di comune esperienza.

L’eventuale dimostrazione che l’adozione di quelle misure non era sufficiente, a causa di eventuali peculiarità del caso di specie – in ipotesi la natura isolata del luogo, il suo carattere malfamato, la circostanza che in precedenza ivi si fossero verificati altri episodi di furto o rapina, ecc. – sarebbe stata a carico della parte danneggiata.

La ricorrente avrebbe potuto lamentare i vizi di motivazione solo se, avendo essa dimostrato quanto sopra, il giudice non ne avesse tenuto conto. Ma ciò non è stato dedotto né dimostrato e le censure manifestano solo il dissenso dalle valutazioni di merito della Corte di appello.

2. – Il ricorso deve essere rigettato.

3. – Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della parte costituita, spese liquidate complessivamente in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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