CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – SENTENZA 1 marzo 2010, n.4863 PRELIMINARE AD EFFETTI ANTICIPATI: ANCORA UNA VOLTA LA DETENZIONE PREVALE SUL POSSESSO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo, di contenuto variegato, le società ricorrenti deducono la violazione degli articoli 130 e 136 della legge fallimentare e dell’art. 1356 cod. civile.

La censura è articolata sotto più profili che occorre esaminare partitamente.

Viene in considerazione, in via preliminare di rito, la questione dell’ammissibilità della produzione del decreto con cui il giudice delegato avrebbe autorizzato il trasferimento degli immobili, nelle more del giudizio, e del conseguente atto pubblico 18 dicembre 2002 che vi avrebbe dato attuazione.

Sul punto, deve accogliersi l’eccezione d’irricevibilità sollevata nel controricorso.

I documenti in questione non valgono, infatti, a dimostrare l’ammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 372, primo comma, cod. proc. civile. Questa è, infatti, del tutto incontroversa sotto il profilo della legittimazione ad impugnare, che deriva dalla qualità di parte processuale già assunta nei gradi di merito da tutte le società ricorrenti. In realtà, ciò che s’intende provare mediante la documentazione allegata è, piuttosto, la titolarità del diritto di proprietà degli immobili, che sarebbe ormai stata acquisita dalle società con l’atto pubblico offerto in esibizione: e cioè, una circostanza di fatto attinente alla questione di merito posta a fondamento della sentenza di rigetto della domanda, sia in primo che in secondo grado. È vero che la legittimazione attiva – rectius: la titolarità del diritto vantato dalle attrici – è condizione dell’azione (Cass., sez. 3, 30 maggio 2008, n. 14468), verificabile, quindi, fino al momento della decisione; senza che a quest’ultima debba assegnarsi il significato restrittivo, prospettato dai resistenti, di decisione di primo grado. Tuttavia, cosa diversa dall’astratta rilevanza della condizione sopravvenuta è il regime di prova del fatto costitutivo che la sostanzia, soggetto alle regole preclusive proprie di ciascun grado di giudizio. A tale stregua, resta inammissibile, nella fase di legittimità, qualsiasi attività istruttoria, sia pure documentale; ed il fatto sopravvenuto può trovare ingresso nel thema decidendum solo se oggetto di esplicita ammissione della controparte che lo renda pacifico.

Nella specie, peraltro, i signori R. non hanno affatto confermato l’altrui acquisto del diritto, contestando, anzi, la natura incondizionata ed efficace del decreto del giudice delegato, a loro dire meramente autorizzativo della vendita. Ne consegue che la circostanza integrativa della condizione dell’azione resta controversa e non può trovare dimostrazione aliunde, per via documentale (art. 372 cod. proc. civ.)

Viene ora all’esame la tesi subordinata dell’acquisto della proprietà degli immobili per effetto della stessa sentenza omologativa del concordato fallimentare, con cui si disponeva l’alienazione dei beni della S.C.G. s.p.a. agli assuntori.

Al riguardo, dev’essere ribadito il costante orientamento che a tale pronuncia riconosce natura di titolo diretto ed immediato del trasferimento dei beni del fallito nel patrimonio dell’assuntore, di cui segna, di conseguenza, il dies a quo (Cass., sez. 3, 13 aprile 2007, n. 8832; Cass., sez. 2, 8 novembre 2002, n. 15.716). Essa attua, infatti, come corrispettivo dell’accollo dei debiti del fallito, il trasferimento dei suoi beni, che fino a quel momento erano assoggettati al vincolo di indisponibilità in favore dei creditori dalla data di apertura del concorso (Cass., sez. 1, 27 maggio 1987, n. 4715). Ne consegue che eventuali provvedimenti integrativi o attuativi assunti dal giudice delegato ex art. 136, terzo comma, l. fall., in epoca successiva, una volta accertato il completo adempimento del concordato, nell’esercizio di un’attività di sorveglianza e controllo priva di contenuto decisorio – ivi comprese la descrizione specifica dei beni alienati necessaria per la trascrizione e la cancellazione delle ipoteche, con lo svincolo delle cauzioni – si pongono in funzione meramente esecutiva (Cass., sez. 1, 23 dicembre 1992, n. 13.626); mentre, la sentenza di omologazione ha effetti costitutivi del trasferimento della proprietà, allo stesso modo di un contratto di compravendita o della sentenza di esecuzione in forma specifica pronunziata ex art. 2932 cod. civile.

Tuttavia, nella specie, l’acquisto da parte delle società Alfa, Beta e Gamma non era efficace all’atto stesso della sentenza, bensì sottoposto alla condizione sospensiva del regolare adempimento degli obblighi concordatari assunti.

Ne discende che, nelle more – ed ancora, alla data dell’edictio actionis – esse non erano proprietarie degli immobili pretesi, ma solo titolari di un’aspettativa qualificata, suscettibile di mera tutela cautelare, conservativa, in pendenza della condizione (art. 1356 cod. civ.).

Alla luce di questa ricostruzione in fatto e diritto, eccedeva dunque i limiti di legittimazione la domanda di merito svolta dalle s.r.l. Alfa, Beta e Gamma, volta ad ottenere il rilascio dell’appartamento e del negozio occupati dalla signora D.M., previo accertamento del proprio diritto pieno, poziore rispetto a quello vantato da quest’ultima.

Anche la censura relativa al diniego di legittimazione della curatela e della S.G.C. s.p.a., tornata in bonis, non può trovare accoglimento.

Sotto il primo profilo è esatto che, una volta omologato il concordato, la curatela perde ogni potere d’impulso processuale che valichi i limiti della vigilanza sull’esatto adempimento delle obbligazioni concordatarie.

In ordine, invece, alla società, la doglianza è inammissibile, volta com’è ad un riesame, nel merito, del contenuto della domanda da essa svolta: interpretata dalla corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici, come mero intervento ad adiuvandum delle società Alfa, Beta e Gamma (salva l’azione in proprio nell’ipotesi subordinata, non ricorrente nella specie, di risoluzione del concordato fallimentare).

Con il secondo motivo le società ricorrenti censurano la violazione degli articoli 1158 e seguenti, 1166, 2941 e 2942 cod. civ. e la carenza di motivazione in ordine all’accertamento dell’acquisto per usucapione.

Il motivo è fondato nei limiti di cui appresso.

Al riguardo, viene all’esame, in via preliminare, il problema della legittimazione attiva all’impugnazione delle società Alfa, Beta e Gamma, di cui si è testé negato l’acquisto della proprietà in epoca anteriore all’edictio actionis e nelle more del processo, entro il termine preclusivo della relativa prova.

Dalla suddetta statuizione non discende peraltro la carenza del potere di contraddire in ordine all’altrui domanda di accertamento dell’usucapione.

E ciò, sotto un duplice profilo.

Da un lato, le predette società sono legittimate ad impugnare la sentenza quali parti convenute, in riconvenzione, dalla stessa D.M., che le aveva individuate come legittime controinteressate alla dichiarazione di acquisto a titolo originario della proprietà degli immobili. Si tratta di una veste processuale stabile, non legata all’esito della domanda principale da esse svolta, cui è correlata la perpetuatio del potere di resistere alla domanda riconvenzionale e di impugnarne la sentenza di accoglimento, nella perdurante presenza dell’interesse a contraddire (art. 100 cod. proc. civ.).

Dall’altro, non può del pari disconoscersi una, sia pur limitata, tutela sostanziale al titolare di un’aspettativa (quale va, appunto, qualificato l’acquirente di un diritto subordinato a condizione sospensiva), tesa ad impedire eventi – materiali o, come nella specie, giuridici – suscettibili di pregiudicarla irreversibilmente.

Dalla disciplina della condizione deriva, infatti, la tipizzazione di una gamma di facoltà che eleva l’aspettativa al rango di situazione di diritto: incluso, perfino, il potere di disporre del diritto condizionato, significativo, per antonomasia, di una signoria sulla cosa (art. 1357 cod. civ.).

Al riguardo, anche se sia da ritenere impropria, in sede concettuale, la definizione di “doppia titolarità” del medesimo diritto di proprietà – in capo, rispettivamente, all’acquirente e all’alienante sub condizione – resta che la situazione soggettiva del primo non è un mero interesse di fatto: al punto da essere specificamente tutelata tramite la legittimazione a compiere atti conservativi (art. 1356 cod. civ.). Con quest’ultima locuzione, non infrequente nel codice (artt. 460, secondo comma, e 1130, primo comma, n. 4, cod. civ.), non si intendono, innanzitutto, solo i ricorsi cautelari, ma anche quelli possessori (Cass., sez. 2, 14 maggio 1990, n. 4117), che pure hanno efficacia interruttiva dell’altrui possesso ad usucapendum (articoli 1165, 2943 cod. civ.: Cass., sez. 2, 19 giugno 2003, n. 9845; Cass., sez. 2, 15 maggio 1992 n. 5801).

Inoltre, la nozione di atto conservativo ex art. 1356 cod. civile, se trova il suo naturale ambito di riferimento nei provvedimenti cautelari o possessori, tesi a contrastare eventuali abusi del venditore – che è pur sempre titolare attuale del diritto, poziore rispetto all’aspettativa dell’acquirente – può invece espandersi fino a ricomprendere altresì l’azione e la resistenza in un giudizio di cognizione nei confronti del terzo detentore, al fine di impedirne l’acquisto a titolo originario della proprietà, preclusivo financo della retroattività reale dell’effetto dell’avveramento della condizione (art. 1360 cod. civile). In tale contesto deve riconoscersi legittimazione all’acquirente sub condicione a resistere alla pretesa di un quisque de populo, privo, allo stato, di alcun titolo giustificativo del godimento della cosa.

Per completezza di analisi, si può soggiungere, in sede sistematica, che analoga potestà viene riconosciuta anche al chiamato all’eredità, nella fattispecie di cui all’art. 460 cod. civ.: con l’unica conseguenza che l’esercizio della domanda di cognizione, travalicante i confini dell’atto conservativo in senso stretto, cautelare o possessorio, menzionato nella norma, produrrà l’effetto di un’accettazione tacita dell’eredità (Cass., sez. 3, 1 luglio 2005, n. 14081; Cass., sez. 2, 27 giugno 2005, n. 13738).

Sotto il profilo in esame, resta invece limitata ad un ruolo adesivo la compresenza nel ricorso della S.G.C., in bonis; nonché della curatela del fallimento S.G.C., del resto perfino espressamente connotato in tal senso con la formula “per quanto occorrer possa” contenuta nell’epigrafe del ricorso.

Ciò premesso in ordine alla legittimazione al ricorso in parte qua, si osserva che la contestazione mossa dalle società Alfa, Beta e Gamma al possesso goduto dalla signora D.M., e poi dai suoi aventi causa a titolo ereditario, se è inammissibile nella parte in cui tende a proporre un riesame nel merito della situazione di fatto dell’immobile a partire dal 1970 accertata nei due gradi pregressi, appare invece fondata laddove denunzia, in punto di diritto, l’insussistenza del possesso utile all’acquisto per usucapione, non identificabile con la detenzione degli immobili attribuita con il contratto stipulato in data 6 giugno 1966, qualificato concordemente dei giudici di merito come preliminare di compravendita.

Nella promessa di vendita, infatti, quando venga convenuta la consegna del bene prima del perfezionamento del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità in tal modo conseguita dal promissario acquirente ha mera natura di detenzione, sia pur qualificata, collegata ad un contratto con effetti obbligatori, costitutivo di reciproci diritti di credito ad un fare (prestazione del successivo consenso); e non di possesso utile ad usucapionem: salva la dimostrazione di una sopraggiunta interversio possessionis nei modi di cui all’art. 1141, secondo comma, cod. civile (Cass., sez. unite, 27 marzo 2008, n. 7930).

Solo il possessore, infatti, e non anche il detentore, può usucapire il bene (e godere delle azioni di manutenzione e di nunciazione: artt. 1170 e 1171 cod. civ.); mentre, al promissario acquirente va riconosciuta una detenzione qualificata, esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine; in assenza dell’animus possidendi, escluso dalla consapevolezza che l’effetto traslativo non si è ancora prodotto.

In conclusione, anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati – che pure ha certo portata ben più pregnante del paradigmatico pactum de contraendo – è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l’effetto traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era propria del diritto romano ed è tuttora vigente in taluni ordinamenti moderni, come quello tedesco.

Entro questa cornice concettuale, la consegna della cosa e l’anticipato pagamento del prezzo non sono incompatibili, in ultima analisi, con la figura del preliminare, né indice della natura definitiva della compravendita; quale che ne sia la giustificazione causale: se per clausola atipica, introduttiva di un’obbligazione aggiuntiva, o per collegamento negoziale (preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito: in questo senso, Cass. sez. un. 7930/2008, cit.).

In applicazione dei predetti principi, appare dunque erronea la decisione della Corte d’appello di L’Aquila nella parte in cui ha dichiarato l’acquisto per usucapione in forza della prolungata detenzione da parte della signora D.M. e dei suoi eredi.

È invece inammissibile il ricorso incidentale condizionato dei signori R., perché volto ad una diversa ricostruzione ermeneutica del contratto avente natura di merito che non può trovare ingresso in questa sede, in quanto volta ad attribuirgli natura definitiva, e non preliminare, sulla base di un riesame degli elementi connotativi (art. 1362 e segg. cod. civ.).

La sentenza dev’esser quindi cassata nei limiti sopra precisati, con rinvio alla medesima corte territoriale, in diversa composizione, per l’applicazione del principio di diritto enunciato, salvo l’accertamento di un’eventuale interversio possessionis, ed anche per la liquidazione delle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo del ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa dinanzi alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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