CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 22 febbraio 2010, n.4248 CONTRATTO DI COMPRAVENDITA E TUTELA DELL’ACQUIRENTE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1486 e 1489 c.. e degli artt. 183-184 c.c. nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 353 del 1990, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che, intervenuta la suddetta transazione tra il Condominio attore ed i convenuti Rulfi-Ghiselli, e venuta meno quindi per tale fatto l’esigenza di coltivare l’originaria domanda di risoluzione del contratto, la riduzione del “petitum” alla sola richiesta di rimborso dell’importo corrisposto al Condominio per evitare la demolizione del fabbricato costituiva una ammissibile modifica della domanda, contenuta nello stesso ambito risarcitorio, in relazione all’inadempimento della società venditrice.

Le ricorrenti assumono in proposito che in realtà la domanda proposta nei propri confronti dal Rulfi e dalla Ghiselli era ontologicamente diversa rispetto alla originaria domanda di risoluzione ex art. 1489 c.c. (evizione limitativa), essendo volta a far valere la responsabilità limitata del venditore di cui all’art. 1486 c.c. che attribuisce a quest’ultimo la facoltà (e non l’obbligo) di liberarsi dalle conseguenze della garanzia con il rimborso di quanto pagato dal compratore per evitare l’evizione; è quindi il venditore che può avvalersi di tale responsabilità limitata ovvero di far liquidare nelle forme ordinarie il risarcimento del danno, i rimborsi e le restituzioni che sarebbero spettati al compratore ove l’evizione non fosse stata da lui evitata; pertanto la domanda del Rulfi e della Ghiselli avente ad oggetto il rimborso in loro favore dell’importo corrisposto al Condominio per evitare la demolizione del fabbricato integrava una “mutatio” e non una semplice “emendatio libelli”, inammissibile in quanto formulata tardivamente in sede di precisazione delle conclusioni senza l’accettazione del contraddittorio da parte degli esponenti.

La censura è fondata.

Il giudice di appello, al fine di spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto che nella specie ricorreva una ipotesi di “emendatio libelli”, ha affermato che la domanda di risarcimento danni formulata in sede di precisazioni dal Rulfi e dalla Ghiselli si fondava sulla stessa “causa petendi” dedotta a fondamento della richiesta di risoluzione contrattuale e di risarcimento danni originariamente proposta, presentando soltanto un “petitum” più limitato; in entrambi i casi, infatti, il fatto generatore della pretesa fatta valere con la domanda di risarcimento dei danni rimaneva pur sempre la garanzia in favore dell’acquirente del bene gravato da oneri o da diritti reali o personali non apparenti, mentre era irrilevante il mutamento della voce di danno richiesta, rappresentato dal rimborso dell’importo corrisposto al Condominio per evitare la demolizione dell’immobile, anziché dalle spese sostenute per la costruzione del fabbricato e per la sua demolizione, danni questi ultimi che, con l’avvenuta transazione, erano divenuti privi di attualità.

Tale convincimento non può essere condiviso.

Premesso sulla base di quanto esposto che il Rulfi e la Ghiselli, a seguito della transazione stipulata in corso di causa con il Condominio attore, in sede di precisazione delle conclusioni avevano rinunciato alla domanda di risoluzione contrattuale e di risarcimento danni originariamente proposta nei confronti della società Immobiliare Siri Armanda ed avevano invece chiesto il rimborso di quanto corrisposto al suddetto Condominio per evitare la eventualità di una condanna alla demolizione del fabbricato costruito sull’area acquistata, occorre sotto un primo profilo evidenziare la netta diversità di due azioni delle quali la prima diretta alla eliminazione del contratto e la seconda alla conservazione di esso; proprio sulla base di tale rilievo questa Corte ha ritenuto che l’azione di risoluzione del contratto e l’azione di riduzione del prezzo spettanti a norma dell’art 1489 c.c. al compratore di una cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, sono nettamente distinte tra loro, con la conseguenza della inammissibilità ai sensi dell’art. 345 c.p.c. della domanda di riduzione del prezzo proposta per la prima volta in appello nel giudizio di risoluzione del contratto di compravendita ex art. 1489 c.c. in quanto domanda nuova e diversa rispetto a quella principale (Cass. 8-3-1974 n. 620).

Inoltre giova osservare che la sopra richiamata domanda di rimborso è chiaramente riconducibile all’art. 1486 c.c. (espressamente richiamato dagli appellanti insieme all’art. 1489 c.c. a fondamento della loro richiesta di rimborso, vedi pag. 9 della sentenza impugnata), come ritenuto dalla stessa Corte territoriale sia pure con il contestuale riferimento all’art. 1489 c.c. (vedi pag. 15 della sentenza impugnata); infatti l’art. 1486 c.c. prevede che, se il compratore ha evitato l’evizione della cosa mediante il pagamento di una somma di danaro, il venditore può liberarsi da tutte le conseguenze della garanzia col rimborso della somma pagata, degli interessi e di tutte le spese.

In proposito si è ritenuto che il venditore ha una facoltà in tal senso (Cass. 14-7-1950 n. 1921; Cass. 26-2-1976 n. 622) che esclude, quindi, che il compratore possa vantare un corrispondente diritto; quest’ultimo, pagando una determinata somma ad un terzo per evitare l’evizione della cosa acquistata, agisce a suo rischio, rimanendo esposto all’eventualità che il venditore gli eccepisca che in realtà esistessero sufficienti ragioni per resistere alla domanda del terzo, o che egli avesse accettato un esborso sproporzionato al valore della cosa; erroneamente ed anche contraddittoriamente quindi la sentenza impugnata ha ritenuto che la domanda proposta dal Rulfi e dalla Ghiselli in sede di precisazione delle conclusione del giudizio di primo grado fosse pur sempre rimasta nell’alveo dell’art. 1489 c.c.

Da tali considerazioni consegue che nella specie l’abbandono da parte del Rulfi e della Ghiselli dalla domanda di risoluzione ex art. 1489 c.c. per far valere ai sensi dell’art 1486 c.c. una pretesa al rimborso nei confronti della venditrice della somma corrisposta al Condominio attore per evitare una condanna alla demolizione del fabbricato eretto sul terreno acquistato dalla Immobiliare Siri Armanda ha comportato l’introduzione nel processo di un nuovo fatto costitutivo del diritto azionato e di un tema di indagine del tutto nuovo, in modo da determinare uno spostamento dei termini della contestazione, dando così luogo ad una “mutatio libelli” non consentita dall’art. 184 c.p.c. nel testo anteriore alla novella di cui alla legge n. 353 del 1990, applicabile alla fattispecie “ratione temporis”.

Con il secondo motivo le ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto operante la garanzia prevista dall’articolo da ultimo citato muovendo dall’argomentazione che le limitazioni alla edificabilità – imposte sia dal Regolamento di Condominio regolarmente trascritto sia dal Piano Regolatore del Comune di Frabosa Sottana – non erano state dichiarate nel contratto e non erano conosciute né conoscibili dall’acquirente, trattandosi di limitazioni non apparenti.

Con il terzo motivo le ricorrenti assumono che la Corte territoriale con motivazione insufficiente e contraddittoria ha ravvisato la responsabilità degli esponenti ex art. 1489 c.c. ritenendo che l’inedificabilità dell’area non poteva essere in alcun modo prevista dagli acquirenti.

Con il quarto motivo le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1225 c.c. nonché vizio di motivazione, sostengono che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto giustificato l’importo di lire 150.000.000 erogato in via transattiva dal Rulfi e dalla Ghiselli al Condominio attore in rapporto al danno che sarebbe loro derivato dalla demolizione del fabbricato eretto sul terreno dalla Immobiliare Siri Armanda.

Con il quinto motivo le ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che il notaio Maccagno aveva eseguito quanto necessario per la buona riuscita dell’atto pubblico del 1-4-1993 di trasferimento dell’immobile per cui è causa con la dovuta diligenza, visionando le iscrizioni ipotecarie e compulsando il certificato urbanistico.

Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti all’esito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.

In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio in relazione al motivo accolto.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla natura controversa della questione esaminata, per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di appello e del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti tutti gli altri motivi, cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di appello e quelle del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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