CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 17 dicembre 2009, n.26514 RISARCIMENTO DEL DANNO PER LESIONI DA PUBBLICITÀ “INGANNEVOLE”

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

l.Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei prìncipi della responsabilità civile, avendo la sentenza impugnata condannato la Bat Italia, pur in mancanza dell’accertamento di una condotta illecita, dolosa o colposa, alla medesima imputabile. Assume la ricorrente che sia il provvedimento dell’autorità garante che la direttiva comunitaria vietavano la dicitura Lights solo dal 2003, mentre, quanto al periodo precedente,unico rilevante nella fattispecie, non poteva configurarsi nessuna ipotesi di inganno. 2.1. Il motivo è infondato.

E’ vero che a norma dell’art. 7 della direttiva 2001/37/CE, cui è stata data attuazione tramite il D.Lgs. n. 184 del 2003, solo dal 30 settembre 2003 sono vietate le diciture, denominazioni, marchi, immagini o altri elementi, che suggeriscono che un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri. Sennonché la circostanza che solo dal 30/9/2003 la dicitura "lights" non possa essere apposta sulla confezione di sigarette non esclude che tale parola non possa costituire il fatto integrante la responsabilità aquiliana, antecedentemente a tale data.

Anzitutto nella struttura della responsabilità aquiliana non si richiede che il "fatto" sia "illecito", ma solo che il "danno" sia "ingiusto". L’ art. 2043 ce. fa infatti riferimento al « fatto doloso o colposo" ed al "danno ingiusto", ma non al "fatto illecito".

Per cui ciò che rileva è che il fatto dell’agente abbia prodotto la lesione di una posizione giuridica altrui, ritenuta meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, lesione non altrimenti giustificata.

Nella stessa linea di pensiero nessun rilievo ha la norma di cui all’ art. 10 del D.Lgs. n. 184 del 2003, nella parte in cui dispone che "le sigarette non conformi alle disposizioni del presente decreto possono ancora essere commercializzate fino al 30 settembre 2003". Ciò significa solo che, anche per la particolare fattispecie indicata da tale norma, transitoriamente le sigarette prodotte potevano essere vendute, senza che ciò costituisse illecito amministrativo, ma non che il produttore di sigarette fosse autorizzato a "produrre danno ingiusto" alla persona, così come non poteva produrlo per il periodo antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 184/2003.

2.2.In ogni caso nella fattispecie la parte attrice ha fatto valere il diritto al risarcimento del danno da messaggio ingannevole (lights) apposto sul pacchetto di sigarette, indipendentemente dall’esplicito divieto all’utilizzo di tale dicitura.

L’ordinamento già con il D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 (abrogato dal D.Lgs. 6 settembre 2005, art. 146,) sanzionava la pubblicità ingannevole statuendo ali’art. 2, lett. B) che per "pubblicità ingannevole", dovesse intendersi qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente.

3. Con il secondo articolato motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi ispiratori della responsabilità civile, avendo la sentenza impugnata affermato la sua responsabilità pur in mancanza di una condotta illecita, dolosa o colposa,non avendo essa svolto alcuna attività per ingenerare nel consumatore il convincimento della minore nocività delle sigarette lights.

La ricorrente censura la sentenza per essere incorsa, altresì, in violazione e falsa applicazione dei principi informatori della responsabilità civile, con particolare riguardo al rapporto di causalità e per omessa valutazione della condotta del fumatore come fattore che interrompe il nesso causale, nonché il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza.

Lamenta la ricorrente che non risulta provato che il danno lamentato derivasse dalla condotta di essa ricorrente; che essa ricorrente non era tenuta ad apporre sui pacchetti di sigarette, che già contenevano le diciture (previste dalla legge) relative ai danni del fumo, ulteriori dichiarazioni aggiuntive per le sigarette lights, poiché il consumatore-fumatore era già avvertito di tali danni dalle diciture esistenti ed aveva consapevolmente accettato il rischio del fumo.

Inoltre la ricorrente assume che il giudice di merito abbia violato o falsamente applicato i principi in tema di individuazione del danno risarcibile, ex artt. 1223 e 2043 ce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cp.c. ed abbia contraddittoriamente motivato tale punto decisivo a norma dell’art. 360 n. 4 cp.c, poiché non risulta provato l’assunto peggioramento delle condizioni di salute (e quindi il danno lamentato) per avere l’attore fumato sigarette ligts, in luogo di quelle normali. Infine la ricorrente lamenta, nell’ipotesi che fosse stata affermata dal giudice la sua responsabilità sotto il profilo contrattuale, la violazione dei principi in materia di responsabilità contrattuale ex art. 1321 ce.

4.1.11 motivo è parzialmente fondato e va accolto solo nei termini che seguono.

Anzitutto il giudice di pace ha accolto la domanda risarcitoria del danno, quale causato da pubblicità ingannevole, ed ha ritenuto sussistente non solo la responsabilità extracontrattuale della convenuta, ma anche quella contrattuale per il solo fatto di essere la produttrice delle sigarette in questione.

Tale assunto viola i principi informatori in tema di responsabilità contrattuale, che ha come necessario presupposto che tra le parti vi sia un contratto o, più in generale, che una parte possa far valere nei confronti dell’altra un diritto derivante da un contratto.

E’ infatti giurisprudenza costante di questa Corte che nelle cosiddette vendite a catena spettano all’ acquirente due azioni ; delle quali quella contrattuale sorge solo nei confronti del diretto venditore, in quanto l’autonomia di ciascuna vendita non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori, restando salva l’azione di rivalsa del rivenditore nei confronti del venditore intermedio, mentre la diversa azione extracontrattuale è esperibile dal compratore contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa, anche quando tale danno si sia verificato dopo il passaggio della cosa nella altrui sfera giuridica (Cass. civ., Sez. II, 15/04/2002, n.5428; Cass. civ. , Sez. II, 06/09/2000, n.11756)

5.1. Passando ad esaminare le censure avverso la statuizione di responsabilità aquiliana, va osservato che l’art. 2043 c.c.. fissa i principi informatori della responsabilità civile, ai quali anche il giudice di pace nel giudizio di equità deve attenersi, quanto alla struttura del fatto dannoso (costituito da una condotta, almeno colposa, da un evento lesivo e da un nesso causale che unisca etiologicamente la prima al secondo) ed al danno risarcibile, inteso come danno conseguenziale all’evento lesivo.

L’art. 2059 ce. fissa, invece, i principi informatori della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale,per cui tale danno è risarcibile (oltre alle ipotesi tipicamente previste dalla legge) solo allorché l’evento dannoso incida su valori della persona umana costituzionalmente garantiti (Cass. S.U. 11.11.2008, n. 26972).

5.2.Come rilevato da S.U. n. 794 del 15/01/2009, in ricorso avverso sentenza similare del giudice di pace di Napoli, la sentenza manca di qualsiasi motivazione in ordine alla natura ingannevole della pubblicità, sussistendo, in proposito, la mera citazione del provvedimento dell’Autorità Garante (del quale non sono riportate neppure le ragioni) ed il riferimento alle affermazioni dello stesso attore; manca, poi, la motivazione in ordine all’esistenza del nesso di causalità tra la propagazione del messaggio ingannevole ed il danno ingiusto lamentato. Manca, altresì, qualsiasi argomentazione in ordine all’atteggiamento psicologico della società convenuta, pur avendo la parte attrice e quella intervenuta proposto domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. (e non ex art. 2050 c.c.) . Sul punto bisogna dire che la ricorrente ha, per un verso, ragione quando sostiene che tale elemento della fattispecie risarcitoria debba essere adeguatamente provato e motivato; tuttavia essa sbaglia, per altro verso, quando ritiene che sia necessaria la dimostrazione di avere essa mirato a presentare le sigarette in questione come meno dannose per la salute. Così argomentando la società finisce con il pretendere la dimostrazione del dolo, ossia della volontà del comportamento diretto ad ingannare; laddove, invece, è sufficiente presupposto risarcitorio la dimostrazione della colposa diffusione di un messaggio prevedibilmente idoneo ad insinuare nel consumatore il falso convincimento intorno alle caratteristiche ed agli effetti del prodotto.

5.3. Il motivo è invece, infondato nella parte in cui lamenta che il giudice non avrebbe tenuto conto del comportamento del fumatore, che, nonostante i "caveafc" o * health warnings", sui danni da fumo, aveva continuato a fumare con una scelta autonoma che comportava l’interruzione del nesso causale tra il produttore delle sigarette ed il danno da fumo e l’esclusiva responsabilità del fumatore a norma dell’art. 1227, c. 1, c.c.

Nella fattispecie, infatti, non è prospettabile la questione della volontaria assunzione (freedom of choice) di rischio da parte del danneggiato, poiché non si fa questione del danno da fumo subito dal fumatore, che ne era avvertito, ma del danno da pubblicità ingannevole e cioè di quello subito da parte di un soggetto fumatore, che riteneva di ridurre il rischio di danno, proprio fumando tali sigarette lights.

6.1. Fondate sono le censure di violazione e falsa applicazione dei principi ispiratori in tema di individuazione del danno risarcibile.

Nella fattispecie il giudice di pace ha ritenuto che la parte attrice, passando a fumare sigarette lights in luogo di quelle normali (che già fumava), sulla base dell’errata convinzione (a cui era stato indotto dalla dicitura "lights") di ridurre i danni da fumo, proprio perchè tale risultato non era stato conseguito, avesse subito un danno esistenziale da peggioramento della qualità della vita e da paura di contrarre malattie. 6.2.Osserva questa Corte che, anche in tema di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana (sia esso patrimoniale che non patrimoniale) occorre che sia provata l’esistenza di questo danno di cui si chiede il risarcimento, non potendo ritenersi che il danno sia in re ipsa, cioè coincida con l’evento, poiché il danno risarcibile è pur sempre un danno conseguenza anche nella responsabilità aquiliana, giusti i principi di cui agli artt. 2056 e 1223 ce. e non coincide con l’evento, che è invece un elemento del fatto, produttivo del danno.

Invero il danno risarcibile, nella struttura della responsabilità aquiliana, non si pone in termini di automatismo, con il fatto dannoso.

La linea logica che sostenesse il contrario ed a cui pare ispirarsi la sentenza impugnata, si fonderebbe essenzialmente sul presupposto che, una volta verificatosi il fatto dannoso, la dimostrazione del danno ingiusto risarcibile sarebbe "in re ipsa", per cui non ricadrebbe sull’attore originario l’onere della dimostrazione delle singole situazioni di pregiudizio subite e risarcibili.

Questa impostazione non è accettabile.

Ed invero sostenere ciò significa affermare la sussistenza di una presunzione in base alla quale, una volta verificatosi il fatto, appartiene alla regolarità causale la realizzazione del danno ingiusto oggetto della domanda risarcitoria, per cui la mancata conseguenza di tale pregiudizio debba ritenersi come eccezionale. Così operando si pone a carico del convenuto danneggiante l’onere della prova contraria all’esistenza del danno in questione, senza che esso sia stato provato dall’attore.

6.3.Occorre, quindi, che 1’attore-danneggiato fornisca la specifica prova del danno lamentato.

Quanto al danno alla salute, esso deve essere provato attraverso l’accertamento medico-legale (art. 138 e 139 d. lgs. N. 209/2005; Cass. S.U. 26972/2008) e non attraverso la prova testimoniale. Ciò vale tanto più nella fattispecie in esame in cui l’attrice, essendo già una fumatrice e come tale già esposta coscientemente ai rischi e danni da fumo, lamenta che il passaggio alle sigarette più "leggere", che secondo il messaggio subliminalmente "ingannevole" nel predetto descrittivo avrebbe dovuto comportarle una riduzione del rischio e del danno da fumo, in effetti non le ha dato il risultato sperato, essendo danno e rischio da fumo rimasti inalterati.

Sennonché la statuizione risarcitoria dell’ impugnata sentenza non ha ad oggetto questo danno per così dire "differenziale" tra la situazione precedente e quella seguente l’induzione all’uso delle sigarette lights, ma un generico danno da peggioramento della qualità della vita, non altrimenti precisato né provato, ma ritenuto in re ipsa.

6.4.Egualmente è fondato il motivo di ricorso nella parte in cui censura il risarcimento per un generico danno non patrimoniale di natura esistenziale, conseguente a tale pubblicità ingannevole. Come sopra detto, a seguito dello specifico arresto delle S.U. n. 26972/2008, il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 ce, è risarcìbile, oltre che nei casi specificamente previsti dalla legge, solo nel caso di danno conseguente a lesione di valori della persona umana, costituzionalmente garantiti.

Le S.U. – inoltre – hanno escluso che possa sussistere una generica categoria di danno esistenziale.

Nella fattispecie il danno da pubblicità ingannevole (salvo che non si risolva in un danno alla salute da accertarsi nei termini suddetti) ha come referente costituzionale più prossimo solo 1’art. 41 Cost., il quale garantisce la libertà dell’iniziativa economica privata e l’autodeterminazione delle scelte in materia. Tale norma tuttavia appartiene alla sfera dei rapporti economici e non dei diritti inviolabili della persona, con la conseguenza che l’evento lesivo, che attinge la posizione tutelata dall’art. 41 Cost., non può dar luogo, in assenza di una specifica norma, a danno non patrimoniale.

Quanto al diritto all’autodeterminazione, esso può essere tratto dal Codice del consumo che, ali’art. 2, riconosce come fondamentali i diritti del consumatore ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, nonché all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà.

6.5.Quanto alla paura di ammalarsi, in dottrina è stato fatto riferimento al danno da pericolo già elaborato dalle Sezioni Unite, quando, a proposito del disastro di Seveso, è stato ritenuto risarcibile il danno morale soggettivo lamentato da coloro che avevano subito un turbamento psichico (non tradottosi in malattia) a causa dell1 esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita (Cass. sez. un. 21 febbraio 2002, n. 2515). Tuttavia, non si può omettere di considerare che siffatta soluzione è stata accolta in un caso in cui il danno lamentato era posto in collegamento causale con un fatto costituente il reato di disastro colposo e, dunque, in riferimento all’art. 185 c.p. 7. Pertanto va rigettato il primo motivo di ricorso; va accolto , nei termini suddetti, il secondo motivo.

Va cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice di pace di Napoli, che si uniformerà ai seguenti principi di diritto: 1)"L’apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo "LIGHT" sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall’esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l’espressione impiegata".

2) "Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ex art. 2043 ce. , per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicita e danno, nonché (non avendo egli agito ex art 2050 ce.) almeno la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose."

Esistono giusti motivi (segnatamente la novità – in relazione alla data di presentazione del ricorso – di alcune questioni trattate) per compensare tra tutte le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie, nei termini di cui in motivazione, il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altro giudice di pace di Napoli. Compensa tra tutte le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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