CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 2 febbraio 2010, n.2354 INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA: DIES A QUO DEI “NOVANTA GIORNI” E CONSENSO INFORMATO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. – Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.

1.1 – Va quindi dichiarata l’inammissibilità del controricorso dell’Istituto omissis con sede legale in omisssis poiché il ricorso principale è stato proposto e notificato all’ente ecclesiastico omissis nel domicilio eletto presso il difensore, ai sensi dell’art. 330, primo comma, cod. proc. civ. sì che, pur se manca la specificazione “ospedale omissis”, tale ente è lo stesso che è stato in giudizio in primo e secondo grado e perciò nessun rilievo, in suo nome e per conto, può esser effettuato dal diverso soggetto Istituto omissis con sede legale in omissis, né va disposta alcuna rinnovazione della notifica del ricorso, perfettamente valida.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti principali deducono: “Violazione di legge. Artt. 1 e 4 legge 194/1978 nonché insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 primo comma, 3 e 5 c.p.c.”.

I giudici di appello non avevano considerato, come richiesto dagli appellanti, al fine di valutare la possibilità per la gestante di richiedere l’interruzione volontaria della gravidanza, che in ambito medico – legale la data dell’inizio del concepimento decorre dall’ovulazione perché è soltanto dal concepimento che occorre calcolare il tempo per l’interruzione della gravidanza, mente la data dell’ultima mestruazione rileva per stabilire la data presunta del parto, la scadenza degli esami ecografici, i monitoraggi del feto, etc. Infatti l’aborto criminoso è la violenta interruzione del processo fisiologico di maturazione del feto dal suo concepimento (Cass. Pen. 28 giugno 1961); la tutela delle lavoratrici madri – art. 12 D.P.R. 568/1953 – precisa che per aborto si intende la interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza che si verifichi prima del 180ottantesimo giorno dall’inizio della gestazione; ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 803/1975 del regolamento di polizia mortuaria la valutazione delle settimane di presunta età gestionale dei prodotti abortivi al fine di procedere alla sepoltura è fatta con riferimento all’età uterina e perciò non all’ultima mestruazione, ma al concepimento o addirittura annidamento dell’ovulo nell’utero. Anche il TAR del Lazio in relazione alla pillola del giorno dopo ha accolto tale interpretazione e la legge 194/1978 tutela la vita umana dal suo inizio e gli artt. 1, 4, 6 e 19 della legge 194/1978 disciplinano l’interruzione della gravidanza, e la tutela costituzionale della vita, della salute della donna e della maternità non può esser anteriore alla data in cui si forma la vita, mentre per l’impianto della blastocisti nel corpo della madre il termine è spostato di due giorni più avanti. Invece i giudici di appello, contraddittoriamente ed illogicamente, per confermare che al momento della scoperta del CMV la N. era al 91esimo giorno utilizza il calcolo a ritroso basato sulla nascita della bambina a termine alla 39esima settimana e cioè dall’ultima mestruazione, metodo confutato dagli appellanti. Quindi, stante l’errore su tale punto decisivo della controversia, sussiste il vizio logico – giuridico sulla ritenuta mancanza di nesso di causalità tra l’omessa informazione dei rischi dell’infezione contratta e la privazione della facoltà di scelta della N. di interrompere la gravidanza.

1.3 – Il motivo è infondato.

L’art. 4 della legge 194/1978, nel disciplinare i casi di interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, non prescrive come accertare quando tale stato è iniziato. Pertanto allorché la gestante si rivolge al consultorio pubblico assumendo la ricorrenza delle circostanze di serio pericolo per la sua salute indicate da detta norma per abortire, necessariamente il dato di riferimento per calcolare l’inizio della gravidanza è la dichiarazione della medesima sul primo giorno dell’ultima mestruazione essendo questo elemento empirico, oggettivo e soggettivamente certo di immediata individuazione, a differenza della c.d. epoca concezionale biologica, coincidente con la data di fecondazione dell’ovulo, dato soggettivamente molto variabile, non certamente individuabile dalla gestante né di immediata accertabilità, come invece richiede il procedimento disciplinato dagli artt. 4 e 5 della suddetta legge la cui finalità è quella di permettere l’interruzione della gravidanza non oltre un tempo massimo dal suo inizio.

Ne consegue che correttamente la Corte di merito ha escluso la possibilità della N. di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza a norma dell’art. 4 della legge 194/1978 alla data del omissis, allorché il M. ebbe la certezza dell’ infezione da CMV contratta da costei, poiché erano già decorsi, dalla data di inizio dell’ultima mestruazione – omissis -i novanta giorni previsti da detta norma, né i ricorrenti prospettano l’omesso esame di altri elementi in contrasto con tale calcolo, come ad esempio le misurazioni del feto risultanti dalle ecografie biometriche e morfologiche effettuate nel omissis e nel omissis.

2. – Il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente perché connessi.

2.1 – Con il secondo motivo i ricorrenti F. deducono: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1-4-6-14 legge 194/1978, dell’art. 33, c. 1 e 5 legge 833/1978, degli artt. 1218 e 1176 c.c. e 328 c.p. (con riguardo all’elemento oggettivo del reato); insufficienza e contraddittorietà della motivazione rispetto al contenuto dell’obbligo di informazione gravante sul sanitario ex art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.”.

Il diritto all’informazione va ricostruito attraverso l’art. 2 della legge 833/1978, gli artt. 1-4-6 della legge 194/1978, gli artt. 1176 e 1218 c.c. nonché l’art. 328 c.p. i quali vanno interpretati alla luce dei principi costituzionali contenuti negli artt. 13 e 32 della Carta. Il codice di deontologia medica del 16 giugno 1995, pur non vincolante per il giudice, deve permeare il giudizio di diligenza dell’adempimento essendo metro di valutazione del contratto. L’art. 29 impone al sanitario di fornire al paziente ogni notizia, tenendo conto del suo livello di cultura, di emotività e delle sue capacità di discernimento e quindi anche nel caso di prognosi infausta l’informazione deve esser completa. I giudici di appello hanno disatteso tali principi nel rapporto medico – paziente e i principi costituzionali – art. 13 e 32 della Costit. – in relazione ai quali il paziente è titolare del diritto di autodeterminazione in relazione al proprio corpo per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari, anche in relazione al diritto alla salute, alla luce dei quali devono esser interpretati gli artt. 4 e 6 della legge 194/1978. Perciò il paziente ha diritto all’informazione dei rischi e complicanze anche meno frequenti che incidano gravemente sulle sue condizioni fisiche o sulla vita e l’urgenza dell’informazione va rapportata alla circostanza che alla data del omissis non era scaduto il termine per l’interruzione della gravidanza ai sensi dell’art. 4 legge 194/1978. Questa norma consente il sacrificio dell’embrione nel bilanciamento degli interessi con la salute della madre, qualora possa esser compromessa, ed il cui pericolo può sussistere anche al momento del parto per le anomalie del concepito anche se soltanto temute, essendo poi compito del consultorio consigliare le appropriate indagini. Pertanto la difficoltà di accertare un’anomalia fetale non è di impedimento alla I.V.G. e perciò il M. doveva informare la N. che l’infezione poteva esser primaria o secondaria, e che vi erano esami, ancorché con rischi abortivi, per accertare se l’infezione si era trasmessa al feto, con conseguente rischio di malformazioni dal 7,60% all’11, 75%. Ed infatti l’art. 1 della legge 194/1978 evoca il diritto alla procreazione cosciente e responsabile. E poiché stavano per scadere i termini per l’interruzione della gravidanza, non vi era discrezionalità del medico nell’informazione completa, doverosa anche per prepararsi al parto, se il termine fosse perento. La C.T.U. ha affermato che l’amniocentesi avrebbe consentito di accertare la trasmissione del virus al feto, mentre la funicolocentesi poteva esser effettuata già dopo le prime due determinazioni virologiche positive del omissis per accertare il contagio del feto. La Corte di merito ha omesso qualsiasi motivazione al riguardo.

2.2 – Con il quarto motivo i medesimi deducono: “ Violazione dell’art. 6 della legge 194/1978 e vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.”.

L’accertamento delle malformazioni non vi è stato perché il medico non ha informato la paziente della possibilità di sottoporsi ad amniocentesi e funicolocentesi per verificare se il virus si era trasmesso al feto, avendo la N. provato, mediante le testimonianze assunte, che avrebbe abortito se informata delle malformazioni. La circostanza che la funicolocentesi non fosse praticabile a omissis all’epoca è irrilevante, potendo la N. andare altrove. Per interrompere oltre il novantesimo giorno la gravidanza è sufficiente accertare, se non è possibile o difficile accertare le anomalie del feto, un processo patologico della madre produttivo di pericolo per la sua salute, anche non attuale, che può sussistere anche per la sola ipotizzabilità delle malformazioni.

2.3 – I motivi sono fondati nei limiti di cui in appresso.

Esclusa, per le ragioni suesposte, la lesione del diritto della N. ad interrompere la gravidanza, va conseguentemente confermata la decisione impugnata che ha escluso l’illiceità penale dell’incompleta informazione del M. – art. 328, primo comma, cod. pen. (come novellato dalla legge 86/1990): “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che… per ragioni di … sanità deve esser compiuto senza ritardo…” – sui rischi derivabili dall’infezione da CMV, perché per l’esistenza della fattispecie penale l’atto che il medico omette deve avere il requisito del non essere rinviabile per ragioni di sanità, mentre alla data del omissis era ormai decorso il termine, come innanzi specificato, per l’interruzione della gravidanza ai sensi dell’art. 4 legge 194/1978 e alla violazione di tale interesse protetto, si riferiscono i ricorrenti nel riproporre, anche in questa sede, la violazione dell’art. 328 cod. pen.

2.4 – Peraltro tale condotta del M. ha violato il diritto della N. ad essere informata che esistevano indagini prenatali più approfondite, pur se rischiose per la sopravvivenza del feto, che le consentivano di accertare sia se questi aveva contratto il virus di CMV, sia se era affetto da rilevanti anomalie o malformazioni. Peraltro, poiché la sentenza impugnata ha escluso che i genitori della bimba abbiano chiesto il risarcimento del danno loro derivato dal trauma della rivelazione che ella era nata con le malformazioni, i segni e i sintomi dell’ infezione contratta, ovvero per esser stati privati della possibilità di un graduale adattamento a tale evento, per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalla violazione del diritto della N. ad interrompere la gravidanza, costei doveva dimostrare che, accertate rilevanti anomalie o malformazioni del feto, in lei sarebbe insorto uno stato patologico tale da mettere in grave pericolo la sua salute fisica o psichica, sì da consentirle di interrompere la gravidanza prima che il nascituro pervenisse alla possibilità di vita autonoma (artt. 6 lett. b) e 7, prima parte, legge precitata).

È infatti da ribadire sia che l’obbligo di informare pienamente il paziente, prescritto dall’art. 29 del codice di deontologia medica approvato nel giugno 1995, pur con le dovute cautele, non è soggetto a nessuna valutazione discrezionale e perciò comprende tutti gli aspetti diagnostici e prognostici dello stato di salute del paziente e quindi anche i rischi meno probabili, purché non del tutto anomali, in modo da consentirgli di capire non solo il suo attuale stato, ma anche le eventuali malattie che possono svilupparsi, le percentuali di esito fausto ed infausto delle stesse, nonché il programma diagnostico per seguire l’evoluzione delle condizioni del paziente e l’indicazione delle strutture specializzate ove svolgerlo, ovvero di specialisti esperti per formularlo, pur se a tal fine il paziente si deve allontanare dal luogo ove è in cura (Cass. 14638/2004); sia che tale obbligo ha rilevanza giuridica perché integra il contenuto del contratto e qualifica la diligenza del professionista nell’esecuzione della prestazione; sia che la violazione di esso può determinare la violazione di diritti fondamentali ed inviolabili (quali il diritto ad esprimere la propria personalità, la libertà personale, la salute – art. 2, 13 e 32 Costit. – il diritto alla vita, al rispetto della vita privata e familiare, alla formazione della famiglia: artt. 2, 8 e 12 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo).

2.5 – Quindi, nella fattispecie, il M., appresa l’infezione “recente” da CMV contratta dalla N., anziché sottovalutare i rischi derivabili al feto ipotizzando che fosse difficilmente trasmissibile ad esso perché secondaria – benché non gli risultasse, secondo la narrativa della sentenza impugnata, che la N., già sua paziente per le precedenti gravidanze, fosse immune per CMV – ed in tal modo protrarre l’errore diagnostico per tutta la gravidanza – aveva l’obbligo di adempiere, con la diligenza, la perizia e la prudenza qualificate dalla professione svolta, al contratto intercorso con la N. e di rispettare, non sottraendole la libertà di decidere, i suoi diritti inviolabili all’autodeterminazione nel sottoporsi o meno ad indagini ed accertamenti citogenetici, ancorché invasivi e rischiosi per il feto – amniocentesi, villocentesi, funicolocentesi (eseguibili dalla diciottesima settimana) – onde affrontare una maternità cosciente e responsabile, e tutelare la sua salute fisica e psichica (art. 1 legge 405/1975 e 194/1978, artt. 2, 3, 13, 31 e 32 Costit.) se il feto avesse contratto l’infezione da CMV e se di conseguenza fosse affetto da rilevanti anomalie o malformazioni che le avessero cagionato un processo patologico gravemente pericoloso per la sua salute (art. 6 lett. b) legge 194/1978).

2.6 – Pertanto, per stabilire se i danni richiesti sono conseguenza dell’inadempimento all’obbligo della suddetta completa informazione da parte del M., è necessario che il giudice di merito accerti, ex ante, se la conoscibilità delle rilevanti anomalie e malformazioni del feto – secondo la diagnostica a disposizione all’epoca in relazione alla possibilità di riscontrarle – avrebbe determinato (con un giudizio di prognosi postuma) un grave pericolo della lesione del diritto alla salute della madre, avuto riguardo alle condizioni concrete fisiopsichiche patologiche della stessa e secondo la scienza medica di allora in base alla regola causale del “più probabile che non” (Cass. 10741/2009), così da determinare i presupposti per attuare la tutela di tale interesse – ritenuto dall’ordinamento prevalente su quello alla nascita del concepito gravemente malformato, purché non giunto ad uno stadio di formazione e maturità che ne rende possibile la sua vita autonoma (art. 7, terzo comma, legge 194/1978) – consentendo alla madre di interrompere la gravidanza, quale intervento terapeutico complementare (art. 6, lett. b), stessa legge). Dunque, soltanto nella concomitanza di tali condizioni (Cass. 12195/1998, 2793/1999, 6735/2002) possono esser risarciti i danni ingiusti che sono derivati, in termini di causalità adeguata (art. 1223 cod. civ.), dalla lesione degli interessi tutelati dalla legge sull’interruzione volontaria gravidanza, domandati dagli attori, secondo l’interpretazione delle domande loro effettuata dai giudici di merito.

Al padre poi, terzo del contratto intercorso tra la madre del figlio gravemente malformato ed il medico, ma obbligato alla pari di essa nei confronti del figlio (artt. 29 e 30 Cost., artt. 143, 147, 261 e 279 cod. civ.) sono poi direttamente risarcibili i danni provocatigli dall’inadempimento di costui all’obbligo di informare la madre dello stato di salute del feto e di individuare e suggerire tutti gli strumenti diagnostici idonei a tal fine, se a causa di detto inadempimento, funzionale a quello oggetto della prestazione principale del contratto, è stato impedito alla madre l’esercizio del diritto ad interrompere la gravidanza a norma dell’art. 6, lett. b) legge 194/1978 (Cass. 20320/2005, 10741/2009, S.U. 26972/2008).

3. – Con il terzo motivo gli stessi deducono: “Omessa e contraddittoria motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato p. e p. dall’art. 328 c.p. ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.”.

Contraddittoriamente la Corte di merito afferma, per escludere il dolo del reato, che il M. avesse la consapevolezza dell’infezione primaria della N. altrimenti non avrebbe disposto i controlli ecografici, mentre d’altro canto afferma che lo stesso sanitario l’aveva sottoposta a ripetuti controlli sierologici e quindi era consapevole della relativa incertezza, tant’è vero che egli stesso afferma di aver voluto attendere il secondo esame per conoscere se si trattava di una reinfezione. Quindi il dolo di cui all’art. 328 c.p. esiste per aver scelto di non informare completamente la paziente.

Il motivo è assorbito dalle considerazioni svolte nell’esaminare il motivo precedente in relazione all’inesistenza dell’elemento oggettivo del reato.

5 – Con il ricorso incidentale il M. lamenta l’omessa pronuncia in appello sulla sua domanda di restituzione della somma corrisposta (euro 110. 903,05) in esecuzione della sentenza di primo grado, totalmente riformata in appello con il rigetto delle domande attoree.

Il ricorso è assorbito dall’accoglimento del ricorso principale.

6. – Concludendo va accolto il ricorso principale in relazione al secondo e al quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per gli accertamenti di fatto e per nuovo esame alla luce dei principi esposti ai punti 2.3, 2.4, 2.5, 2.6 della motivazione e per provvedere sulle spese, anche del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso principale nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo ed il ricorso incidentale. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Brescia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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