CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE – SENTENZA 20 luglio 2010, n.28141 RISPONDE DI ESTORSIONE IL FIGLIO CHE MINACCIA LA MAMMA PER OTTENERE 50 EURO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto

§1. Con sentenza del 1/07/2008, il Tribunale di Macerata assolveva S. Mauro dal delitto di estorsione ai danni della madre B. Adriana perché non punibile ex art. 649 c.p..

§2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il PROCURATORE GENERALE presso la Corte di Appello di Ancona deducendo VIOLAZIONE DI LEGGE sotto il seguente profilo «Recenti decisioni giurisprudenziali attendibilmente interpretano il concetto di “violenza alle persone”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 649, u.c., c.p., come idoneo a ricomprendere anche la violenza cosiddetta morale, ossia quel contegno che, intimidendo il soggetto passivo, gli imponga di fare, tollerare od omettere qualche cosa, pur senza costringimento fisico, ma comunque in stato di coazione, per essere eliminata o gravemente ridotta la sua capacità di determinarsi liberamente (cfr. S.C., Sez. 2, n. 19651/2007, Rv. 236780, e S.C., Sez. 6, n. 35528/2008). E, d’altra parte, nel caso concreto per cui è processo, il Collegio giudicante avrebbe dovuto considerare che la minaccia si era manifestata non soltanto a livello verbale, con la pronuncia della frase intimidatoria riportata nel capo d’accusa, ma anche sul piano della fisica gestualità, con l’atto di brandire il coltello in atteggiamento di potenziale offesa imminente. Pare dunque da escludere che potesse operare la previsione di non punibilità».

Diritto

§3. S. Mauro fu rinviato a giudizio con il seguente capo d’imputazione: «del reato p. e p. dall’art. 629, 2° c., c.p., perché, mediante minaccia consistita nel prendere un coltello da cucina in mano ed accostarselo alla gamba tenendolo basso e nel proferire le parole “mi sa che oggi va a finì male”, costringendo la madre B. Adriana, che si era rifiutata fino a quel momento di dargli del denaro, a prendere la propria borsa e a dargli il denaro, si procurava un ingiusto profitto con altrui danno. In Civitanova Marche 16 Febbraio 2005».

Il Tribunale, dopo avere accertato, in punto di fatto, che la B., dopo la minaccia rivoltole dal figlio, «gli diede la somma di cinquanta euro ed il figlio se ne andò»: è, dunque, pacifico che il reato di estorsione fu consumato e che la condotta materiale si estrinsecò in un comportamento minaccioso.

Il Tribunale, pur partendo da questi due presupposti di fatto, ha tratto la conseguenza, in punto di diritto, che, poiché lo S. aveva tenuto un comportamento meramente minaccioso e non violento, il reato perpetrato non era punibile a norma dell’ultimo comma dell’art. 649 c.p. ed ha richiamato, a sostegno della suddetta decisione, la sentenza n. 20110/2002 riv 221854 di questa Corte di legittimità.

Sennonché, la decisione è palesemente erronea essendo frutto di una non attenta lettura della sentenza invocata.

Infatti, nessuno (né in giurisprudenza né in dottrina) ha mai messo in discussione che, nelle ipotesi di delitto consumato di cui agli artt. 628 – 629 – 630 c.p., la causa di non punibilità non opera sempre e comunque sia che il reato sia stato commesso con violenza o con minaccia, proprio perché la testuale locuzione limitatrice “commesso con violenza alle persone” si riferisce unicamente ad “ogni altro delitto contro il patrimonio”: id est ad ogni delitto contro il patrimonio ulteriore e diverso rispetto a quelli espressamente e nominativamente indicati (artt. 628, 629, 630 c.p.), dei quali dunque, pur se commessi in danno di prossimi congiunti, permane punibilità e perseguibilità d’ufficio ancorché connotati dal ricorso alla minaccia e non anche dalla violenza alle persone: in terminis Cass. 22628/2001 Riv 219421.

Invero, la problematica alla quale si riferisce il Tribunale riguarda tutt’altra questione e cioè se la causa di non punibilità concerna o meno anche le ipotesi tentate degli indicati delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona e se nel concetto di violenza debba farsi rientrare anche la violenza psichica o la minaccia: su di che vi è contrasto all’interno di questa stessa Corte di legittimità.

Ma, la suddetta questione, resta estranea alla problematica del presente processo in relazione al quale è sufficiente ribadire il seguente principio di diritto al quale il giudice di rinvio (da individuarsi nella Corte di Appello di Ancona) dovrà attenersi: «nelle ipotesi in cui i reati di cui agli artt. 628 – 629 – 630 c.p. siano stati consumati (e non solamente tentati) in danno dei prossimi congiunti indicati nell’art. 649/1 c.p., la causa di non punibilità resta sempre e comunque esclusa essendo irrilevante che i suddetti delitti siano stati perpetrati con violenza o minaccia».

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata quanto al capo a) e rinvia alla Corte di Appello di Ancona.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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