Cass. pen., sez. VI 30-05-2008 (26-05-2008), n. 22105 Mandato di arresto europeo – Consegna per l’estero – Mandato di arresto esecutivo – Cittadino italiano – Richiesta dell’esecuzione della pena nello Stato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Milano ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per dare esecuzione al mandato di arresto europeo emesso il 14 dicembre 2007, nei confronti di T.G., dalla competente autorità giudiziaria della Repubblica federale di Germania per l’esecuzione della pena di tre anni e tre mesi di reclusione per i reati di ricettazione di auto, favoreggiamento e falso inflitta dalla Tribunale di Colonia con sentenza 7 marzo 2007 e ne ha disposto la consegna allo Stato emittente.
La Corte d’appello premette che lo Stato di emissione ha trasmesso la documentazione richiesta dalla quale risulta la sussistenza dei requisiti richiesti dalla L. n. 69 del 2005, art. 1, comma 5, e art. 6, comma 1.
In particolare, è stata inviata la sentenza 7 marzo 2007, passata in giudicato, con la quale è stata inflitta la pena di tre anni e tre mesi di reclusione dal Tribunale di Colonia.
I fatti per i quali è chiesta la consegna, afferma la Corte d’appello, costituiscono reato per la legge italiana e non ricorrono ragioni ostative previste dalla L. n. 69 del 2005, art. 18.
Tuttavia, la consegna L. n. 251 del 2005, ex art. 24 va differita poichè T.G. è attualmente detenuto in Italia per scontare la pena di un anno e otto mesi di reclusione che gli è stata inflitta dal Tribunale di Milano con sentenza 23 gennaio 2002, divenuta definitiva dopo la conferma della Corte d’appello con sentenza 3 luglio 2003.
La Corte d’appello dispone che la consegna di T.G. allo Stato richiedente sia, dunque, eseguita dopo l’espiazione della pena in Italia.
2. Ricorre la difesa di T.G. e deduce:
il difetto di motivazione poichè non è stata resa alcuna risposta alla richiesta della difesa in ordine all’applicazione della L. n. 251 del 2005, art. 18, lett. r) che prevede il divieto di consegna nel caso in cui il mandato d’arresto sia stato emesso per l’esecuzione di una pena inflitta a cittadino italiano "sempre che la Corte d’appello disponga che la pena inflitta sia eseguita in Italia";
Violazione di legge e in particolare della L. n. 251 del 2005, art. 17, in quanto la pronuncia di condanna è stata disposta dopo il decorso del termine di sessanta giorno dall’arresto e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata;
Il ricorrente rileva infine che dalla pena di tre anni e tre mesi di reclusioni vanno detratti novantasette giorni per custodia cautelare e, pertanto, la pena da scontare è inferiore a tre anni e ciò comporta che la consegna non è obbligatoria.
3. Tale è la sintesi ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, delle questioni poste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La violazione del termine di sessanta giorni comporta soltanto, a norma della L. n. 251 del 2005, art. 21, la perdita di efficacia della misura cautelare disposta per dare esecuzione alla consegna e non anche del mandato d’arresto europeo.
In tal senso, questa Corte si è già espressa, affermando il termine di sessanta giorni entro il quale, a norma della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 17, comma 2, deve essere emessa la decisione sulla consegna, ha natura perentoria solo ai fini della durata delle misure restrittive della libertà personale; ne consegue pertanto che la sua inosservanza non determina la perenzione della domanda di consegna (Sez. 6, 15 gennaio 2008, dep. 16 gennaio 2008, n. 2450).
2. Il primo motivo è invece fondato.
Il ricorrente ha espressamente sollecitato la Corte di appello a disporre che la pena irrogata fosse eseguita in Italia. Ricorrendo il requisito della cittadinanza italiana in capo alla persona da consegnare, la domanda doveva essere esaminata, trattandosi di ipotesi espressamente prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r). La disposizione de qua, che si conforma alla previsione dell’art. 4 n. 6 della decisione-quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, introduce una deroga alla disciplina generale per la quale l’esecuzione nello Stato di una sentenza straniera passa attraverso la procedura del "riconoscimento" prevista dall’art. 731 c.p.p., che presuppone sia l’iniziativa del Ministro della giustizia sia l’esistenza di un accordo internazionale.
Nell’ambito della procedura di consegna in esecuzione del mandato d’arresto europeo, però, il riconoscimento della sentenza non risulta condizionato dall’esistenza di un particolare "accordo internazionale", che non sia quello, ove possa in tal modo essere qualificato, costituito dalla stessa decisione-quadro; infine, la sentenza estera non deve essere formalmente "riconosciuta", discendendo la sua esecutività direttamente dalla legge interna di conformazione alla decisione-quadro. Resta da stabilire se e quali siano eventualmente i poteri valutativi della corte di appello ai fini della messa in esecuzione in Italia della sentenza dell’autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione.
Come già rilevato da questa Corte, in prima approssimazione potrebbe affermarsi che la norma attribuisca alla Corte di appello un potere valutativo discrezionalmente esercitabile, come rivelerebbe l’inciso "sempre che la corte di appello disponga…", cui è subordinato il rifiuto della consegna. Tale conclusione appare, però, dissonante con la previsione della L. n. 69 del 2005, art. 19, comma 1, lett. c), secondo cui, in caso di MAE "processuale" emesso a carico di un cittadino italiano (o di un residente in Italia) "la consegna è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione". Dunque, se il cittadino italiano consegnato in forza di un MAE "processuale", dopo essere stato processato e condannato all’estero, deve essere inderogabilmente rinviato in Italia per ivi scontare la pena, appare conseguente ritenere che il cittadino raggiunto da un MAE "esecutivo" non possa essere consegnato allo Stato membro emittente, dovendo anch’esso scontare la pena in Italia. Tuttavia, sia nell’una che nell’altra ipotesi, appare che l’esecuzione della pena in Italia, anzichè nello Stato membro di emissione, è influenzata dall’opzione dello stesso soggetto interessato, non essendovi ragioni di ordine pubblico interno per ritenere che nel contesto dell’Unione europea la pena inflitta dall’autorità giudiziaria dello Stato membro debba essere inderogabilmente eseguita in Italia, allorchè il condannato cittadino italiano non lo richieda (Sez. 6, 10 dicembre 2007, dep. 17 dicembre 2007, n. 46845).
Nel caso in esame, T. ha richiesto di scontare la pena in Italia e, per la mancata pronuncia sul punto, ha proposto specifico motivo di ricorso.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata affinchè la Corte d’appello proceda al riconoscimento della sentenza posta a fondamento del mandato d’arresto.
Ai fini della formazione di un valido titolo esecutivo, inoltre, la Corte territoriale non solo dovrà determinare esattamente la pena da porre in esecuzione, operate le detrazione della custodia cautelare complessivamente sofferta, ma anche qualificarne il titolo giuridico, in conformità, come previsto dalla norma sopra richiamata, al diritto interno.
3. In conclusione, va riaffermato il principio di diritto secondo cui ai fini della valutazione spettante alla Corte di appello in ordine alla domanda di consegna del cittadino italiano ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), l’esecuzione della sentenza estera riceve una regolamentazione del tutto peculiare, in quanto la stessa non deve essere formalmente riconosciuta, discendendo la sua esecutività direttamente dalla legge interna di conformazione alla Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’U.E. del 13 giugno 2002. Ne consegue che, ai fini della formazione di un valido titolo esecutivo, la Corte di appello deve non solo tenere conto dell’opzione esercitata dall’interessato circa il luogo di esecuzione della pena, ma anche ricorrere in via analogica all’applicazione dei criteri fissati dalle regole del diritto interno richiamate dalla disposizione di cui all’art. 18, comma 1, lett. r), della L. sopra citata.
Una volta riconosciuta la sentenza di condanna dello Stato emittente, la esecuzione della pena non può che avvenire in applicazione dei principi generali della "Convenzione sul trasferimento delle persone condannate" 21 marzo 1983, ratificata con L. 25 luglio 1988, n. 334, nella parte in cui sono regolati gli effetti della esecuzione nel territorio dello Stato di origine del condannato.
Con dichiarazione resa all’atto della ratifica a norma dell’art. 3, p. 3, della Convenzione, l’Italia ha espresso l’opzione per la procedura di "continuazione" prevista dall’art. 9, p. 1.
Pertanto, le competenti Autorità italiane devono "… continuare l’esecuzione della condanna… sulla base di una decisione giudiziaria… alle condizioni previste dall’art. 10 della Convenzione" secondo cui "in caso di continuazione dell’esecuzione, lo Stato di esecuzione è vincolato alla natura giuridica e alla durata della sanzione così come stabilite dallo stato di condanna".
L’art. 9, p. 3, della Convenzione stabilisce poi che "l’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello stato di esecuzione e questo stato è l’unico competente a prendere ogni decisione al riguardo".
La sentenza impugnata va pertanto annullata su tale punto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che si atterrà ai principi sopra precisati, tenendo altresì conto che attualmente T. è detenuto in Italia per scontare una pena per altro reato in esecuzione della sentenza 23 gennaio 2002 del Tribunale di Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano perchè provveda alla richiesta di esecuzione della pena in Italia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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