Cass. pen., sez. I 30-05-2008 (07-05-2008), n. 21872 Miccia con carica esplosiva interna – Detenzione illegale – Reato configurabile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza in data 23.11.2007 la Corte d’appello di Trento integralmente confermava nei confronti di S.R. la decisione 04.04.2006 del Gup del Tribunale di Rovereto che l’aveva condannato alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 100,00 di multa per il reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 2, a lui concesse circostanze attenuanti generiche e la diminuente speciale di cui all’art. 5 cit. L.. L’anzidetto imputato era stato trovato in possesso illegale di una miccia detonante della lunghezza di circa 40 metri, classificata nella categoria seconda degli esplosivi.
2. Avverso tale sentenza, chiedendone l’annullamento, proponeva ricorso per cassazione il predetto S. che motivava il gravame formulando le seguenti deduzioni: a) violazione di legge e vizio di motivazione, dovendosi ritenere l’ipotesi meno grave di cui all’art. 679 c.p. in relazione alla minima potenzialità in sè della miccia specifico oggetto del contestato reato, profilo sul quale la sentenza impugnata non aveva sviluppato motivazione alcuna; b) violazione di legge e vizio di motivazione, per aver disatteso la Corte trentina l’evidente mancanza dell’elemento psicologico (esso imputato si era dimenticato di distruggere la miccia dopo avere svolto il suo lavoro di fuochino in una cava).
Con atto depositato il 24.04.08 la difesa chiedeva rinvio per studio processo (istanza respinta in via preliminare dal Presidente) e deduceva nullità della sentenza d’appello per non rispettato impedimento del difensore, giustificato (adesione all’agitazione della categoria) e tempestivamente comunicato.
3. Il ricorso, infondato in ogni sua prospettazione, deve essere rigettato con ogni conseguenza di legge.
Va dapprima respinta la deduzione di nullità della sentenza di secondo grado come avanzata nella sopra riportata memoria difensiva.
Ed invero i giudici dell’appello correttamente hanno respinto la richiesta di rinvio con motivazione (cfr. il relativo verbale) che recepisce perfettamente la giurisprudenza di legittimità sul punto.
Trattandosi infatti di giudizio d’appello camerale, instaurato su giudizio abbreviato in primo grado, l’impedimento del difensore non comportava rinvio dell’udienza. Sul punto, pacifico, si veda – ex pluribus – Cass. Pen. Sez. 4, n. 20576 in data 17.03.2005, Rv.
231360, Arenzani; Cass. Pen. Sez. 6, n. 34462 in data 20.02.2007, Rv.
237792, De Martino ed altri, la cui massima recita: "Nel giudizio d’appello, instaurato a seguito dell’impugnazione della sentenza emessa nel giudizio abbreviato, l’impedimento a comparire del difensore non può dar luogo a rinvio dell’udienza camerale". Poichè tale consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte di legittimità deve essere qui ribadito, nessuna contraria argomentazione in diritto essendo stata formulata sul punto dall’istante, consegue di necessità la reiezione della deduzione di nullità come sopra proposta dalla difesa del ricorrente.
Venendo ora ai motivi di censura formulati con l’atto di ricorso, ne va rilevata la certa infondatezza.
La prima questione proposta, che lamenta la mancata qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 679 c.p., in relazione alla dedotta scarsa potenzialità della miccia in questione, è infondata. Rileva invero la Corte come la potenzialità di una miccia, che abbia carica esplosiva interna, debba essere valutata nella sua interezza, perchè quel che rileva a questi fini è la quantità globale di esplosivo in tal modo illegalmente detenuto. Nel caso specifico la lunghezza di 40 metri induceva, in tal senso, potenzialità sicuramente non modesta.
Va poi ricordato, come rilevano i giudici del merito, che il concreto effetto esplodente fu verificato da un artificiere, opportunamente nominato ausiliare di p.g., su uno spezzone lungo un metro che già diede riscontro rilevante per la prodotta esplosione. In proposito deve allora essere ripresa la giurisprudenza di questa Corte che, anche se in data non recente – ma il principio è sempre valido non essendo mutata la normativa di riferimento -, afferma che il possesso illegale di miccia contenente carica esplodente deve essere qualificato ai sensi della L. n. 895 del 1967, art. 2 (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 3345 in data 20.01.1988, Rv. 177870, Toma). I giudici del merito, tenendo qui presente che le due motivazioni si integrano essendo conformi, hanno ben motivato sul punto, contrariamente all’assunto del ricorrente. Tale primo motivo di ricorso deve quindi essere quindi rigettato.
Infondato è anche il secondo motivo di ricorso che lamenta mancata valutazione dell’elemento psicologico, deducendosi fatto colposo (dimenticanza) come tale inidoneo a sostenere il delitto ritenuto. Va premesso che il possesso di una miccia detonante è legittimo (come, del resto, ricorda la sopra citata massima) solo nei limiti dell’autorizzazione di polizia che inevitabilmente la circoscrive ai termini, di tempo e di luogo, dell’attività lavorativa nella cava.
Ciò costituisce dunque un quotidiano habitus comportamentale di ogni fuochino che, anche per evidenti ragioni di sicurezza personale, non può essere pretermesso. Va poi rilevato – come osservano i giudici del merito – che nella fattispecie si trattava di ben 40 metri di miccia (due matasse), pesante ed ingombrante, sulla quale era ben impressa la dicitura "miccia esplodente", e quindi di un oggetto nel suo complesso impossibile, nel concreto, ad essere dimenticato.
Poichè l’obbligo era quello di distruggere la parte residua dopo l’uso (come ammette anche il ricorrente a f. 1 della sua impugnazione), il che per ovvie ragioni doveva avvenire nella cava, deve concludersi – come ritengono i giudici del merito con argomentazione logica che non può essere qui confutata – che la tesi della dimenticanza non è accoglibile, avendo l’imputato trasferito le due pesanti matasse fino al luogo ove poi furono debitamente sequestrate, ed in realtà maschera solo la consapevole violazione della normativa. La motivazione dell’impugnata sentenza è dunque immune dal denunciato vizio. Anche tale motivo di gravame deve essere pertanto disatteso.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Segue per legge, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente S.R. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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