Cass. pen., sez. I 28-05-2008 (21-05-2008), n. 21374 Provvedimento con cui il Tribunale decide su istanza di revoca di misura di prevenzione – Impugnazione esperibile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
D.M.A. proponeva appello ex L. n. 1423 del 1956, art. 4 avverso il Decreto del 22 maggio 2007, con il quale il Presidente della sezione autonoma delle misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta di revoca della confisca di un immobile, disposta con decreto del Tribunale di Milano del 30 aprile 2004 (divenuto definitivo in data 11 luglio 2006) nei confronti di M.A., susseguente ad un procedimento di prevenzione, al quale aveva partecipato la stessa D. M..
Conclusosi con l’applicazione di misura di prevenzione personale e di quella patrimoniale in esame.
Il predetto Presidente nel decreto indicato dava atto della possibilità di richiedere la revoca del provvedimento di confisca deliberato ai sensi della L. n. 575 del 1975, art. 2 ter, comma 3, con efficacia ex tunc a norma della L. n. 1453 del 1956, art. 7, comma 2, con cadenze proprie del procedimento di revisione, secondo quanto affermato da recente pronuncia delle sezioni unite (Cass. sez. un, 8 gennaio 2007 n. 57 rv. 234955 e 234956), ma affermava che, in virtù del richiamo effettuato dalla citata L. n. 1453 del 1956, art. 7, all’attuale art. 666 c.p.p., era possibile dichiarare l’inammissibilità "de plano" senza instaurare il contraddittorio, sicchè, rilevate l’assenza di prove nuove, l’irrilevanza di altre e la carente dimostrazione di non aver potuto produrre incolpevolmente nel giudizio di primo grado le stesse, dichiarava inammissibile l’istanza.
La D.M. appellava ex L. n. 1453 del 1956, artt. 4 e 7 alla Corte di merito, ma questa qualificava ex art. 568 c.p.p., comma 5, l’appello come ricorso per Cassazione, poichè, in applicazione dell’art. 666 c.p.p., qualora la richiesta sia dichiarata inammissibile, perchè manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, il mezzo di impugnazione era il ricorso. Osserva il collegio che la sentenza delle sezioni unite su richiamata ha ritenuto ammissibile la revoca con effetto "ex tunc" in virtù della L. n. 1453 del 1956, art. 7, sicchè, al fine di qualificare l’impugnazione esperibile e di risolvere, in via preliminare, detta questione, occorre considerare la disciplina prevista dalla norma richiamata e dal sottosistema delle misure di prevenzione e conseguentemente, sulla base delle conclusioni prese, individuare il mezzo impugnatorio esperibile. Orbene, secondo quanto esattamente ritenuto dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, la giurisprudenza consolidata e prevalente di questa Corte (Cass. sez. 1, 10 marzo 2004 n. 11408 rv. 227551 cui adde di recente Cass. sez. 1^, 22 gennaio 2007 n. 1817 rv. 236025) ha affermato l’appellabilità del provvedimento con il quale il Tribunale, ai sensi della L. n. 1453 del 1956, art. 7, comma 2, abbia disposto la revoca o la modifica della misura di prevenzione, mentre solo un orientamento largamente minoritario e risalente nel tempo segue le argomentazioni svolte dal Presidente del Tribunale di Milano nel decreto del 22 maggio 2007 (cfr. Cass. sez. 1^, 31 maggio 1997 n. 591 rv. 207687 cui adde "rara avis" Cass. sez. 6^, 5 aprile 2000 n. 8 rv. 215855), sostenendo che unico mezzo di impugnazione sarebbe il ricorso per Cassazione in base all’art. 666 c.p.p., poichè la revoca va inquadrata nell’ambito del sistema dell’esecuzione e la citata legge, art. 7 bis, in ipotesi sempre di revoca, prevede espressamente il ricorso per Cassazione per violazione di legge. Tuttavia un simile assunto contrasta con il principio secondo cui dall’inquadrabilità di un istituto nella fase esecutiva non discende automaticamente l’applicazione delle norme che regolano il procedimento di esecuzione in base al codice di rito, giacchè bisogna accertare se esistano disposizioni, che siano proprie del sottosistema cui si riferisce la norma richiamata. Orbene, pacifica la configurazione del procedimento di prevenzione in un sottosistema autonomo (cfr. Cass. sez. un. 10 dicembre 1997, Prisco citata nella requisitoria), tanto da non consentire l’applicazione dell’istituto della revisione ex art. 629 c.p.p. e segg., proprio per l’espressa previsione della revoca e della modificazione in virtù della citata legge, art. 7, comma 2, la norma specifica è da rinvenire nella citata legge, art. 4, che detta le disposizioni da seguire in tema di impugnazione, tanto più che la revoca di cui alla citata legge, art. 7, si connota per la caratteristica propria dell’adozione delle misure di prevenzione "rebus sic stantibus".
Inoltre, non si può sottacere che, nei casi in cui la L. n. 1453 del 1956 rinvia espressamente a norme del codice di rito, detto rinvio è limitato dall’inciso "in quanto applicabili", mentre il termine per proporre impugnazione è inferiore a quello stabilito dal codice di rito (solo dieci giorni). Peraltro, anche sotto il vigore del precedente codice di procedura penale, esistendo la differenza tra ordinanza che decideva l’incidente di esecuzione (art. 631 c.p.p., comma 2, 1930) e la revoca disposta dalla citata legge, art. 7, era ritenuto ammissibile avverso quest’ultima l’appello, che connota, pure, un’esigenza garantista in considerazione della natura eminentemente fattuale dell’accertamento della pericolosità sociale e della sua cessazione, cui è connesso l’istituto in esame.
Infine il riferimento alla L. n. 1453 del 1956, art. 7 bis, relativo ai permessi per accertamenti sanitari, ammessi per chi è sottoposto all’obbligo di soggiorno, per i quali è previsto quale mezzo di impugnazione il solo ricorso per Cassazione non assume rilievo, poichè il procedimento delineato da detta norma è alquanto snello e risponde alle finalità ed alle caratteristiche di questi permessi, in cui non viene in considerazione la pericolosità sociale, sicchè esiste una netta differenza con le ipotesi di revoca disciplinate dal precedente art. 7 in esame.
Pertanto, poichè erroneamente il Presidente del Tribunale di Milano ha applicato l’art. 666 c.p.p. ed ha emesso il provvedimento "de plano", detto decreto deve essere annullato senza rinvio, poichè occorreva la rituale costituzione del contraddirlo con la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore all’udienza camerale innanzi al Tribunale, sicchè l’omessa adozione di questa procedura partecipata ha comportato una nullità assoluta ed insanabile accertabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
L’erronea qualificazione dell’appello come ricorso operato dalla Corte di merito, che non ha rilevato la su indicata nullità assoluta, determina pure l’annullamento senza rinvio di detta ordinanza e la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il decreto del Presidente del Tribunale di Milano del 22.5.2007 e l’ordinanza della Corte di appello di Milano emessa in data 8.10.2007 ed dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano per il corso ulteriore.

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