Cass. pen., sez. I 28-05-2008 (14-05-2008), n. 21369 Presupposti di operatività.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. Il 29 luglio 2007 la Corte d’appello di Palermo, sezione quinta penale e per le misure di prevenzione, rigettava il "ricorso per incidente di esecuzione" proposto il 12 giugno 2006 da P. S., volto ad ottenere la revoca del decreto di confisca emesso dalla Corte d’appello di Palermo il 28 febbraio 1994, che aveva disposto la confisca di due immobili, posti in via e in cortile (OMISSIS) o, in subordine, l’accertamento in sede civile della proprietà dei predetti immobili o, in via ulteriormente subordinata, la revoca della confisca dell’immobile di cortile (OMISSIS).
I giudici osservavano, in via preliminare, che, avendo P. S. partecipato regolarmente al procedimento in esito al quale erano stati confiscati i due cespiti immobiliari, la sua domanda era da qualificare come istanza di revoca ex tunc della disposta confisca per insussistenza delle originarie condizioni legittimanti il provvedimento ablatorio. Nel merito rilevavano che, pur alla luce della documentazione relativa all’attività lavorativa svolta in Germania prodotta da P., non erano stati acquisiti elementi nuovi e sopravvenuti idonei a ribaltare la precedente decisione anche sotto il profilo concernente l’effettiva disponibilità del bene da parte del medesimo.
2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore di fiducia, P., il quale lamenta violazione della L. n. 1423 del 1956, art. 7, comma 2, e L. n. 575 del 1965, art. 2 ter e carenza della motivazione con riferimento alla capacità economica di P.S. e alla ritenuta disponibilità dei beni in capo al fratello B..
OSSERVA IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1. In ordine ai limiti soggettivi di esperibilità della revoca del decreto applicativo di una misura di prevenzione reale, il Collegio osserva che legittimati a proporla sono quanti abbiano partecipato al procedimento di prevenzione o siano stati messi in grado di parteciparvi. Una simile richiesta non è, pertanto, proponibile da chi, pur dovendo intervenire perchè formalmente titolare dei beni sequestrati, non sia stato chiamato a partecipare al procedimento e, comunque, non vi abbia partecipato, secondo quanto invece prescritto dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 5.
In questo caso, l’esistenza delle condizioni per la dichiarazione dell’inefficacia del provvedimento (esecutivo anche nei confronti del terzo non intervenuto) può e deve farsi valere, secondo pacifica giurisprudenza, mediante il ricorso ad incidente di esecuzione (cfr., da ultima, Cass. sez. 6^, 29 settembre 2005, n. 41195, Cristaldi e altri) nel quale il terzo formalmente titolare, senza preclusioni derivanti dal procedimento di prevenzione cui non ha partecipato, potrà svolgere le sue deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile. Rispetto ai terzi di cui non risultava l’appartenenza dei beni, durante il procedimento di prevenzione, il provvedimento di confisca è irrevocabile e prevale su eventuali acquisti in buona fede o sulla titolarità di diritti reali di garanzia, per i quali e se del caso residua una tutela risarcitoria in sede civile (Cass. sez. 6, 4 giugno 2003, n. 38294, Carotenuto).
Alla luce di questi principi correttamente la Corte d’appello di Palermo ha qualificato come istanza di revoca il "ricorso per incidente di esecuzione" proposto da P.S., tenuto conto del fatto che egli aveva regolarmente partecipato al procedimento. Sotto questo profilo, pertanto, non può essere accolta la richiesta di trasmissione degli atti per competenza alla Corte d’appello di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, formulata dal Procuratore generale di questa Corte.
2. Con riferimento alle censure difensive il Collegio osserva che il provvedimento di confisca deliberato ai sensi della L. 31 maggio 1975, n. 575, art. 2 ter, comma 3, (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca ex tunc, a norma della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, comma 2, (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorchè sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita (Cass., Sez. Un. 19 dicembre 2006, n. 57, Auddino, rv. 234955).
La richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui all’art. 630 c.p.p. e segg. e postula, dunque, l’acquisizione di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento (per tali dovendosi intendere anche quelle non valutate nemmeno implicitamente: Cass., Sez. Un., 26 settembre 2001, Pisano), ovvero l’inconciliabilità di diversi provvedimenti giudiziali, oppure che il procedimento di prevenzione sia fondato su atti falsi o su un altro reato.
In questo contesto gli elementi dedotti devono essere diretti a dimostrare l’insussistenza di uno o più dei presupposti del provvedimento reale e pertanto, in primo luogo, la pericolosità del proposto, ma anche, unitamente o separatamente, la disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il valore sproporzionato della cosa al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di profitti illeciti.
Il provvedimento impugnato appare conforme ai principi giuridici in precedenza illustrati, avendo, con puntuale richiamo alle circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, evidenziato, con un corretto iter logico-argomentativo, la riferibilità a P.B. e alle attività illecite mafiose dal medesimo gestite, delle somme utilizzate per l’acquisto dei due immobili e, quindi, l’effettiva disponibilità da parte dello stesso dei predetti beni, e hanno spiegato, con ampiezza di richiami alle emergenze acquisite le ragioni per le quali la documentazione relativa al lavoro manuale svolto dal ricorrente in Germania e ai redditi così acquisiti non era comunque tale da inficiare tali conclusioni, tenuto conto del periodo di detenzione (dal 1966 al 1969) subito da P.S., delle spese legali connesse ai procedimenti in corso, del costo dell’acquisto della quota sociale della s.r.l. "Medisud" e di un appezzamento di terreno in contrada (OMISSIS).
La Corte d’appello di Palermo, con motivazione ampia e rigorosa, ha illustrato le ragioni di fatto – correlate alla disamina delle vicende relative all’acquisito dei due immobili e delle condizioni economiche del nucleo familiare della famiglia P. – che avallano concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale della intestazione dei due beni a P.S., funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del fratello B., latitante, disponibilità la cui sussistenza, caratterizzata da un comportamento uti dominus del medesimo proposto, in contrasto con l’apparente titolarità del terzo, è stata accertata con indagine intensa ed approfondita, avendo il giudice spiegato le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell’assunto (Cass., Sez. 1, 15 ottobre 2003, n. 43046, rv.
226610).
Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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