Cass. pen., sez. I 23-04-2008 (08-04-2008), n. 16790 Nozione – Elementi costitutivi – Rilevanza del tempo intercorso tra il fatto ingiusto altrui e la reazione.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 18 ottobre 2007 la Corte di Assise di Appello di Palermo ha confermato la sentenza del GUP in sede del 17 maggio 2007 che aveva dichiarato D.S. colpevole dei delitti di omicidio volontario in danno di C.S. e di porto illegale della pistola utilizzata per commettere l’omicidio e, ritenuta la continuazione fra gli stessi, concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla recidiva reiterata infraquinquennale ed applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, lo aveva condannato alla pena di quindici anni di reclusione, oltre alle pene accessorie.
C.S., cittadino tunisino residente in (OMISSIS), in data (OMISSIS), mentre si trovava in prossimità della sua abitazione, era stato attinto da due colpi di pistola, uno all’orecchio sinistro ed un secondo al fianco sinistro con uscita dal gluteo destro che aveva tranciato l’arteria iliaca causando la morte per emorragia interna. In sede autoptica emergeva che la vittima presentava altresì due escoriazioni al volto, una all’angolo mandibolare sinistro ed altra sul sopracciglio sinistro, verosimilmente causate da un corpo contundente.
Era stato subito accertato che il C., poco prima di essere attinto dal colpo mortale, aveva avuto un violento alterco all’interno di una panineria sita nel vicino rione della (OMISSIS) con un italiano che era stato identificato, sulla base delle dichiarazioni di alcuni testimoni, in D.S.. Il litigio era iniziato all’interno del locale fra il C. ed altra persona che lo accompagnava nei confronti di un giovane pakistano a cui favore era intervenuto il D. ed era proseguito anche all’esterno del locale allorchè il C. aveva minacciato con un coltello il D. che si era in quel momento dato alla fuga.
Dopo il fatto il D. era spartito, ma si era successivamente presentato spontaneamente al Pubblico Ministero, qualche giorno dopo il fatto, per confessare l’omicidio, asserendo che, mentre si accingeva a rifugiarsi da alcuni parenti a seguito della manaccia con il coltello subita ad opera del C., si era imbattuto casualmente in quest’ultimo che abitava nella stessa strada ed aveva quindi sparato due colpi con la pistola che aveva con sè temendo di essere colpito con il coltello che il C. aveva precedentemente impugnato.
I giudici di merito hanno ritenuto il C. colpevole dei reati ascritti sulla base delle dichiarazioni dei testimoni dell’antefatto e delle ammissioni dell’imputato, ma hanno escluso sia la legittima difesa, considerato che fra l’altro sul luogo dell’omicidio non era stato rinvenuto il coltello che era stato precedentemente tolto al C. dagli altri avventori della panineria, sia la attenuante della provocazione stante il lasso temporale intercorso fra la lite ed il momento dell’omicidio, tale da fare ritenere ormai scemato l’eventuale stato d’ira determinato dalla precedente lite cui si era sostituito un sentimento di rancore e soprattutto un desiderio di vendetta per l’affronto precedentemente subito che lo aveva indotto a recarsi nella sua abitazione a prelevare l’arma – che non aveva nel corso del litigio iniziale, posto che non era stata esibita in quella fase, non era caduta durante la colluttazione e nessuno dei presenti ne aveva notato il rigonfiamento nella cintura, davanti, dove secondo il D. la avrebbe tenuta – e quindi a ricercare il C., quando aveva già riacquistato interamente i poteri di autocontrollo. La Corte di merito ha poi valorizzato anche la "consistentissima sproporzione" fra le minacce che il C. aveva formulato davanti alla panineria, mentre si trovava in stato di evidente ubriachezza e la successiva reazione del D. che era andato a prelevare la pistola ed aveva quindi cercato ed ucciso l’antagonista nell’ambito di uno stato d’animo che consentiva di escludere il nesso causale tra la risposta del reo ed il fatto ingiusto della vittima.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di ricorso la difesa dell’imputato ha lamentato violazione dell’art. 62 c.p., n. 2, difetto di motivazione della sentenza impugnata e travisamento della prova, limitatamente alla mancata concessione della attenuante della provocazione. Ha all’uopo rilevato che la distanza temporale fra il momento in cui il titolare della panineria aveva tolto il coltello dalle mani della vittima ed il momento in cui erano stati esplosi i due colpi di pistola era stata soltanto di dieci minuti – come aveva affermato il titolare della panineria, le cui dichiarazioni erano state pretermesse dalla Corte territoriale – e cioè una distanza temporale minima e compatibile con la reazione in stato d’ira da parte del D. che era stato aggredito e poi minacciato di morte dal C. con un coltello, così subendo una aggressione ingiusta. Ha poi sostenuto che vi non vi era neppure una macroscopica proporzione fra il fatto ingiusto e la reazione iraconda poichè il D., avendo incontrato nuovamente il C. senza sapere che era stato privato nel frattempo del coltello, aveva esploso i colpi di pistola sempre nell’ambito della reazione iraconda iniziale.
Il ricorso è fondato.
Ai fini della configurabilità della attenuante di cui si tratta, secondo la giurisprudenza ormai consolidata e da cui ha preso le mosse anche la sentenza impugnata, occorrono: a) lo "stato d’ira" costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il "fatto ingiusto altrui", costituto non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la ordinaria civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazioni di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati; c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse (v. per tutte Cass. n. 12558 del 2004, rv. 228020).
Nel caso in esame la sentenza impugnata non ha messo in discussione la sussistenza dell’iniziale fatto ingiusto della vittima, integrato dalla ingiustificata aggressione in danno di un giovane pakistano e dalla successiva minaccia con il coltello nei confronti del D. che si era limitato e prendere le difese dell’aggredito, così come ha ritenuto che esistesse l’iniziale stato d’ira dell’imputato che era stato costretto a darsi ad una fuga vergognosa, di fronte a tutta la "piazza" quando il C. era ricomparso con il coltello in mano, ma ha poi escluso la attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, sulla base del rilievo che il lasso temporale intercorrente fra il fatto ingiusto altrui e la reazione avrebbe consentito la trasformazione dello stato d’ira in altro diverso stato psicologico collegato alla freddezza d’animo ed al contemporaneo rilievo che non vi sarebbe stata adeguatezza fra il fatto ingiusto e la successiva reazione consistente nello sparo di due colpi di pistola contro la vittima.
Quanto al primo profilo, il ricorrente deduce in particolare travisamento della prova poichè fra la aggressione e la reazione erano trascorsi soltanto dieci minuti e cioè un tempo minimo, ben inferiore alla "crasi temporale" supposta dai giudici di merito; in realtà, però, la sentenza impugnata non indica con precisione il lasso temporale, per cui non può parlasi di travisamento della prova, mentre da rilievo al passaggio di un tempo, pur se minimo, peraltro sufficiente per la trasformazione dello stato d’ira iniziale in sentimento di odio, rancore e vendetta per il torto subito. In effetti la immediatezza della reazione rende più evidente la sussistenza dei presupposti della attenuante di cui si tratta, mentre il passaggio di un lasso di tempo considerevole assume talvolta rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio o il rancore a lungo covato (v. per tutte Cass. n. 29384 del 2006, rv. 235005), però il dato temprale deve essere interpretato con elasticità, non essendo necessaria la reazione istantanea, per cui il tempo di dieci minuti, che è occorso all’imputato per andare in tutta fretta ad armarsi, rappresenta una evidente contiguità temporale alla stregua di qualsiasi criterio logico e giuridico e, secondo un criterio di normalità ed adeguatezza, non necessariamente comporta la trasformazione dello stato d’ira in un diverso sentimento collegato alla freddezza d’animo. D’altronde non può escludersi che l’ira si accompagni ad altri sentimenti, come il desiderio di vendetta cui si associa normalmente fin dal primo momento successivo al torto subito, richiedendo soltanto la perdita di autocontrollo che si verifica anche quando il desiderio di vendetta o di rivalsa sia iracondo, incontenibile, immediato.
Sotto tale profilo la motivazione della sentenza impugnata si pone quindi in contrasto con la interpretazione giurisprudenziale della vicinanza temporale fra fatto provocatorio e reazione, in quanto ha ritenuto che un distacco temporale minimo (appena dieci minuti) potesse determinare la trasformazione dello stato d’ira in un diverso sentimento legato alla freddezza ed alla ragione, senza però spiegare come ciò fosse avvenuto e da quali elementi fosse stato desunto.
Ma anche con riguardo alla ritenuta sproporzione fra reazione ed offesa, occorre rilevare che in realtà per il riconoscimento della attenuante della provocazione non è richiesta la proporzione, mentre il criterio della adeguatezza è solo uno dei parametri utili alla valutazione dello stato d’animo del reo che, nel caso di evidente sproporzione, tradisce sentimenti e stati patologici diversi dall’ira (v. per tutte Cass. n. 24693 del 2004, rv. 228861 ); tuttavia la aggressione anche fisica subita dall’imputato ad opera della vittima, il ritorno della vittima armata di coltello ed il successivo inseguimento dell’imputato che era stato costretto a fuggire per non essere colpito, integra una offesa che non può ritenersi irrilevante, anche perchè posta in essere nell’ambiente in cui l’imputato viveva e metteva in discussione il suo prestigio, per cui anche sotto profilo la motivazione della sentenza impugnata appare inadeguata poichè richiede una sorta di proporzione che non è prevista dalla norma con criterio di assolutezza e che deve essere comunque valutata in relazione all’ambiente in cui è avvenuto il fatto ed ai mezzi reattivi di cui l’imputato poteva disporre e che ha ritenuto opportuno utilizzare onde non soccombere durante la sua reazione.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata, con riguardo alla esclusione della attenuante della provocazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo per nuovo giudizio sul punto, con libertà di giudizio, ma alla stregua dei principi di diritto sopra affermati.
P.Q.M.
LA CORTE PRIMA SEZIONE PENALE Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla attenuante della provocazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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