Cass. pen., sez. I 23-04-2008 (08-04-2008), n. 16789 Contravvenzione agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale di p.s. – Prescrizione di non associarsi abitualmente a persone non pregiudicate

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 7 dicembre 2006 il GIP del Tribunale di Nocera Inferiore, a seguito di rito abbreviato, ha assolto perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato l’imputato D.M. dal delitto di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2, perchè, essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Nocera Inferiore, contravveniva agli obblighi della misura venendo sorpreso abitualmente, in varie date dall'(OMISSIS), in compagnia di pregiudicati.
Il GIP ha riportato in una apposita tabella, inserita nella sentenza, 28 circostanze in occasione delle quali il D., durante il periodo in cui era sottoposto alla misura di prevenzione, era stato colto, a seguito di specifiche operazioni di osservazione, controllo e pedinamento eseguite dalla polizia giudiziaria, in compagnia di pregiudicati in auto, in moto, al bar, tanto che in alcune circostanze si era dato alla fuga alla vista dei Carabinieri, ma ha ritenuto che tale frequentazione di pregiudicati, pur se abituale, non integrasse il reato contestato poichè la prescrizione prevista dalla L. n. 1423 del 1956, art. 5, contemplava l’obbligo di "non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza" e cioè l’obbligo di non frequentare persone che fossero contemporaneamente pregiudicate e sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, come si desumeva dal tenore letterale della norma incriminatrice, interpretata anche secondo il principio di legalità di cui all’art. 25 Cost., mentre invece le persone frequentate dall’imputato erano soltanto pregiudicate, almeno secondo la contestazione. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Salerno per violazione della L. n. 1423 del 1956, artt. 5 e 9, deducendo che l’uso della congiunzione e da parte dell’art. 5, comma 3, non doveva intendersi nel senso che tutte le qualità dovesse coesistere nello stesso soggetto considerato, avendo il legislatore inteso soltanto tipizzare le categorie di persone la cui frequentazione era interdetta al sorvegliato speciale e che comunque la associazione con pregiudicati costituiva anche una violazione della prescrizione di non dare ragione di sospetti, ugualmente prevista dall’art. 5, comma 3, e contenuta pure nello specifico decreto di sottoposizione agli obblighi relativo all’imputato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
La interpretazione consolidata di questa Corte è nel senso che le prescrizioni accessorie al provvedimento impositivo della sorveglianza speciale, indicate alla L. n. 1423 del 1956, art. 5, comma 3, e soggette, in caso di inosservanza, alla sanzione di cui al successivo art. 9, sono costituite dal generico obbligo "di non dare ragioni di sospetti" e dallo specifico divieto di "associarsi abitualmente a persone che hanno subito condanne" (v. per tutte Cass. n. 13886 del 1999, rv. 215786; Cass. n. 6767 del 19996, rv. 305177; Cass. n. 6515 del 1997, rv. 208055; Cass. n. 11572 del 1997, rv. 209139; Cass. n. 14606 del 1999, rv. 216106; Cass. n. 5987 del 2000, rv. 216015).
In tale ambito appare evidente che il legislatore, indipendentemente dalla scelta della congiunzione (posto che la congiunzione "o", pur se principalmente disgiuntiva, può peraltro lasciare posto alla indifferenza sul piano del significato o addirittura concretarsi in equivalenza su quello del lessico, come risulta dai vocabolari della lingua italiana) ha voluto in realtà riferirsi alla nozione di pericolosità sociale che qualifica la materia delle misure di prevenzione e quindi tipizzare le categorie di persone cui è interdetta la frequentazione ai soggetti sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, che possono essere i pregiudicati, le persone sottoposte a misure di prevenzione e le persone sottoposte a misure di sicurezza e cioè le categorie che, sia pure in base a diversi presupposti, sono connotate nel nostro ordinamento giuridico dal comune denominatore della pericolosità sociale.
D’altronde, anche con riguardo alla espressione "associarsi abitualmente" contenuta nell’art. 5, comma 3, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha escluso che debba essere intesa nel senso letterale che normalmente ha nella legislazione penale, con il richiamo a profili di comunanza di vita e di interessi, ritenendo invece che debba essere riferita esclusivamente alla nozione di pericolosità sociale che qualifica la materia delle misure di prevenzione, cosicchè non è richiesta la assidua e costante relazione personale, essendo invece sufficiente la frequentazione, anche in caso di due soli intrattenimenti, onde essere assunta a sintomo di abitualità di tale comportamento (v. Cass. n. 5987 del 2000, rv. 216015; Cass. n. 11572 del 1997, rv. 209139).
Ne discende che, ai fini della violazione della specifica prescrizione "di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza" non è richiesto che si tratti di frequentazione di persone che sono contemporaneamente pregiudicate e sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, come ha ritenuto la sentenza impugnata, essendo invece sufficiente che si tratti di persone che appartengono alle categorie di soggetti pericolosi previste dalla legge penale.
In ogni caso, come esattamente rilevato dal Procuratore Generale ricorrente, poichè fra le prescrizioni impartite in concreto all’imputato, così come previsto in via astratta dall’art. 5, della legge citata, vi era anche quella di non dare ragione di sospetti, si deve ritenere che la violazione contestata nel capo di imputazione rientrasse anche nell’ambito di tale prescrizione poichè era stato contestato al D. di essere stato colto ben 28 volte in compagnia di pregiudicati, in circostanze non occasionali e di non essersi anzi alcune volte dato addirittura alla fuga non appena aveva notato la presenza dei Carabinieri, così dando adito, appunto, a ragionevoli sospetti. Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata per violazione di legge. La sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità, con sentenza n. 320 del 10 luglio 2007, depositata il 20 luglio 2007, anche della L. n. 45 del 2006, art. 2, nella parte in cui, modificando l’art. 443 c.p.p., comma 1, esclude che il Pubblico Ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse a seguito di rito abbreviato, giustifica ora la applicazione dell’art. 569 c.p.p., n. 4, e la conseguente trasmissione degli atti al giudice competente per l’appello. Si tratta infatti di ricorso proposto dal Pubblico Ministero per violazione di legge con le forme e per i motivi di cui all’art. 569 c.p.p., comma 1, pur se nel periodo in cui, vigendo la L. n. 46, art. 1, che ha previsto la inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, al Pubblico Ministero non era data possibilità di proporre appello.
Il giudice del rinvio dovrà attenersi ai principi di diritto sopra indicati.
P.Q.M.
LA CORTE PRIMA SEZIONE PENALE Annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio di secondo grado alla Corte di Appello di Salerno.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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