Cass. pen., sez. II 18-04-2008 (02-04-2008), n. 16357

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1.1. Con sentenza in data 13-11-2007 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza in data 1-6-2007 con cui il G.I.P. del Tribunale di Milano aveva condannato C.G. ad anni sei e mesi quattro di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, oltre pene accessorie, ritenendolo responsabile, con il vincolo della continuazione, dei reati di rapina aggravata (capi 1 e 2 della rubrica, artt. 628 c.p., commi 1 e 3, n. 1 e L. n. 575 del 1965, art. 7), porto illecito di un taglierino (capi 1-a e 2-a, L. n. 110 del 1975, artt. 2 e 6) e lesioni personali aggravate (capo 2-b artt. 582 – 585 in relazione all’art. 576 c.p., n. 1 e L. n. 575 del 1965, art. 7).
In particolare all’imputato erano ascritte due rapine, commesse utilizzando un taglierino portato fuori dell’abitazione senza giustificato motivo (in data (OMISSIS) all’interno del Banco di Roma agenzia di (OMISSIS), con impossessamento di Euro 1.500,00/2000,00 circa e in data(OMISSIS) presso la B.N.L. agenzia di (OMISSIS) con impossessamento di Euro 3.320,00:
fatti aggravati dall’essere stati commessi con anni, da soggetto parzialmente travisato e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, recidivo specifico, reiterato e infraquinquennale), nonchè il connesso reato di lesioni personali, guarite in gg. 15, inferte con un taglierino a un dipendente della B.N.L., aggravate dell’aver commesso il fatto per eseguire la rapina del (OMISSIS).
In motivazione la Corte territoriale – premesso che i motivi di appello riguardavano l’attribuzione della responsabilità della rapina più remota e del porto di coltello in pari data, nonchè la determinazione del trattamento sanzionatorio – condivideva la valutazione del materiale probatorio effettuata dal primo Giudice, sulla scorta della rilevata corrispondenza della descrizione del rapinatore, quale operata dai testi oculari e dagli operatori di P.G. sulla base dei fotogrammi estrapolati dal sistema di sicurezza della banca, con le caratteristiche fisiche e somatiche dell’imputato e in considerazione degli ulteriori elementi convergenti, rappresentati dal rinvenimento all’interno della banca dei fogli usati dal rapinatore per coprirsi il viso (fogli inerenti ad una bolletta del gas intestata al proprietario dell’appartamento dove il C. abitava con la fidanzata) e dal ritrovamento nell’auto in uso al medesimo imputato di uno scontrino fiscale, attinente la consumazione di due pasti presso un esercizio commerciale poco distante dal luogo della rapina nel giorno dei fatti e in orario di poco successivo.
La Corte territoriale prendeva, quindi, in esame le censure dell’imputato, osservando con specifico riferimento all’accertamento di responsabilità:
– che tutti i testi sentiti avevano indicato una precisa somiglianza (seppure non in termini di certezza, in considerazione del travisamento del reo) del rapinatore con il C., mostrato in una fotografia, insieme ad altre undici foto relative a persone differenti;
– l’indizio costituito dal ritrovamento della fotocopia delle bollette del gas (che i testi riferivano essere proprio le carte con cui il rapinatore si copriva il viso, come emergeva anche dai fotogrammi) non poteva essere spiegato in altro modo; in particolare la tesi del C., il quale aveva ammesso di aver posseduto quelle carte e di averle perse proprio il giorno della rapina, postulava l’ipotesi remota, che quelle stesse carte fossero state rinvenute da un soggetto diverso da lui, ma molto somigliante in quel medesimo giorno per strada o in luogo frequentato dal medesimo imputato e che detto soggetto avesse deciso di utilizzarli immediatamente per travisare il suo viso nell’esecuzione della rapina alle 14,50 nella Banca di Roma per poi lasciarle nella stessa banca;
– lo scontrino fiscale, relativi al burrito e alla bevanda consumati nel"esercizio commerciale recava l’orario delle 15,22 che non era inconciliabile con quello della rapina (avvenuta alle 14,50); infatti lo scontrino era stato rinvenuto dai C.C. nell’auto Honda Jazz in uso all’imputato, il che dimostrava che quel giorno l’imputato aveva utilizzalo l’autovettura per spostarsi; il C., dunque, ben poteva avere percorso in pochi minuti la distanza tra banca e ristorante, dopo aver raggiunto a piedi l’auto parcheggiata poco distante oppure avere avuto appuntamento con altra persona che si trovava a bordo dell’autovettura con la quale aveva consumato il veloce spuntino; peraltro non necessariamente il conto doveva ritenersi saldato alla fine della consumazione, ben potendo essere stato pagato prima.
Infine la Corte territoriale rigettava le istanze subordinate di concessione delle attenuanti generiche e di riduzione del trattamento sanzionatorio.
1.2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione C. Giovanni, per mezzo del difensore, formulando i seguenti motivi.
– Ex art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione al comb. disp. dell’art. 192 c.p.p., art. 546 c.p.p., lett. e) in relazione ai capi n. 1 e n. 1-A della rubrica per illogicità e carenza della motivazione in ordine ai temi devoluti del riconoscimento e di equivocità degli indizi di reità avuto riguardo alla prova documentale che collocava l’imputalo in luogo diverso dallo scenario del delitto in contiguità temporale con i fatti contestati. – Con il primo motivo si deduce l’inadeguatezza della motivazione in ordine alle specifiche deduzioni svolte, segnatamente sul punto dell’inconciliabilità temporale tra la consumazione attestata dallo scontrino fiscale e la rapina e il connesso reato di detenzione di coltello in data (OMISSIS).
Secondo il ricorrente la Corte di appello avrebbe fornito una ricostruzione di addebito fondata su possibilità alternative e svincolate dai dati probatori acquisiti, quali il fatto che l’imputato potesse essere in compagnia di altra persona non partecipe alla rapina o che lo scontrino potesse essere stato saldato prima della consumazione, ovvero fondata su premesse apodittiche, quali il fatto che l’auto Honda fosse in uso all’imputato e che l’imputato avesse consumato un veloce spuntino. Si deduce, altresì, illogicità della motivazione sui punto del preteso riconoscimento fotografico.
– Ex art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione al comb. disp. degli artt. 62 bis e 133 c.p..
– Con il secondo motivo si deduce l’illogicità della motivazione nel punto in cui è stato escluso il riconoscimento delle generiche, negandosi rilevanza alla confessione spontanea della seconda rapina.
2.1. Il primo motivo di ricorso, implicherebbe una mera rilettura in fatto di taluni passaggi della sentenza impugnata, inammissibile in sede di legittimità. Invero il ricorrente – pur avendo formalmente denunciato il vizio di difetto di motivazione (fondandolo, da un lato, sull’insufficiente esame da parte dei giudici del merito di un elemento, quale io scontrino fiscale, a suo dire, temporalmente inconciliabile con il compimento della rapina stessa e, dall’altro, sulla rilevanza attribuita all’altro elemento, rappresentato dai riconoscimenti fotografico, che non ne avrebbe avuta alcuna) – ha, tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di merito con la finalità di ottenere una nuova valutazionc delle prove stesse; e ciò non è consentito in questa sede. La funzione del sindacato di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) è, infatti, quella di stabilire se il Giudice del merito abbia esaminato, in una prospettiva globale. tutti gli elementi a sua disposizione, se abbia dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell’interpretazione delle prove abbia esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in terna di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. SS.UU. 13 dicembre 1995, Clarke).
E’ il caso di rammentare che ai fini della correttezza e della logicità della motivazione, non occorre che il Giudice di merito abbia dato conto della valutazione di ogni elemento e di ogni possibile soluzioni diversa da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è sufficiente che lo stesso Giudice abbia indicato le fonti di prova di cui ha tenuto conto per la formazione del suo convincimento e, quindi, della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato. Di conseguenza non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori, e ciò in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una vai inazione globale permette di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati.
Inoltre l’illogicità deve essere "manifesta", nel senso che le fratture del discorso giustificativo e l’assenza dei necessari passaggi logici del ragionamento probatorio devono essere di evidenza tale da essere immediatamente percepibili, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza. La verifica in sede di legittimità deve, pertanto, essere limitata alla coerenza strutturale della sentenza, in sè e per sè considerata, alla stregua degli stessi parametri valutativi cui essa è "geneticamente" informata, ancorchè questi siano ipoteticamente rimpiazzagli con altri non meno validi e congruenti (Sez. Un., 31 maggio – 23 giugno 2000, n. 12, Jakani, rv. 216258).
Nel caso di specie la motivazione – come emerge dalla sintesi riportata sub 1.1. – fornisce la certezza processuale della responsabilità dell’imputato per la rapina e per il connesso reato di porto illegale di taglierino attraverso la concatenazione logica delle risultanze probatorie e segnatamente: la compatibilità, se non la identificazione, dell’immagine del C. con le caratteristiche somatiche e fisiche del rapinatore che i testi oculari sono riusciti a rilevare, nonostante il travisamento del volto con "le carte" poi rinvenute nell’agenzia della banca; la conciliabilità temporale del "veloce spuntino" consumato in un non lontano esercizio commerciale da parte del C. e, soprattutto, la sicura riferibilità al C. delle stesse "carte", identificate come lasciate cadere per terra dal rapinatore all’interno dell’agenzia.
Non a caso il ricorrente, per smontare il quadro probatorio così emergente tende a isolare e confondere i singoli elementi, che, invece, proprio dal loro reciproco riscontrarsi, traggono la loro valenza dimostrativa; nel contempo ignora il formidabile elemento di "saldatura", rappresentato dal rinvenimento delle "carte", che – come coerentemente esposto nella decisione impugnata – non lascia spazio per plausibili ricostruzioni alternative. Si rammenta che, con la previsione della regola di giudizio dell’"oltre ogni ragionevole dubbio", di cui alla L. n. 46 del 2006, art. 5 che ha modificato l’art. 533 cod. proc. pen., comma 1 il legislatore non ha introdotto un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice, ma ha semplicemente formalizzato un principio già acquisito dalla giurisprudenza, secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale della responsabilità dell’imputato (Cass. sez. 1, 11 maggio 2006, n. 20371).
Nè può sostenersi – come assume il ricorrente – che la ricostruzione dell’addebito sia fondata su possibilità alternative, svincolate dai dati probatori acquisiti, innanzitutto la censura si incentra sulla valutazione di un unico elemento, rappresentato dallo scontrino fiscale; va, poi, considerato che le ipotesi alternative, formulate al riguardo nella sentenza impugnata (possibilità che l’auto in cui venne trovato lo scontrino fosse stata parcheggiata nei pressi della banca dallo stesso C. ovvero che quest’ultimo avesse un appuntamento con altra persona) si incentrano su aspetti secondari e sono svolte all’evidente fine di saggiare la valenza (in tesi) favorevole all’imputato del dato probatorie); in ogni caso i punti salienti dell’argomentare dei Giudici di merito (utilizzo dell’autovettura da parte del C. per raggiungere l’esercizio commerciale, desunto dal rinvenimento dello stesso scontrino all’interno dell’auto; vicinanza tra la banca, in cui avvenne la rapina e il ridetto esercizio commerciale; la velocità dello spuntino e, cioè "il turrito e la bevanda") attengono ad elementi fattuali, come tali non verificabili in questa sede di legittimità, in cui ciò che rileva è che ogni elemento risulta esaminato in maniera analitica e non illogica (tantomeno manifestamente illogica).
Nel complesso la decisione impugnata trova sostegno in un solido apparato argomentativo, giuridicamente corretto e immune da palesi vizi logici. In particolare il vaglio attento, logico e puntuale, di tutte le evenienze processuali operato dai Giudici di appello non consente a questa Corte di legittimità di muovere critiche, nè tantomeno di operare diverse scelte di fatto.
2.2. Manifestamente attinente ad aspetti implicanti valutazioni in punto di fatto, e come tali inammissibili, appare il motivo relativo al trattamento sanzionatone La concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva, del reato e alla personalità del reo (Cass. sez. 1, 4/11/2004, Cass. 230591): il che è avvenuto, nel caso all’esame, in quanto i Giudici del merito hanno non solo rilevato l’assenza di elementi di resipiscenza, ma anche evidenziato la personalità negativa dell’imputato, quale emergente dai precedenti penali (per plurime rapine a mano annata, lesioni, evasione, violazione della sorveglianza speciale).
In definitiva i motivi di ricorso incorrono tutti nella sanzione di inammissibilità.
A mente dell’art. 616 c.p.p. alla declaratoria di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

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