Cass. pen., sez. V 17-04-2008 (04-04-2008), n. 16262 Requisito della comunicazione con più persone – Presunzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RILEVATO IN FATTO
– che con l’impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado pronunciata dal tribunale di Bari il 18 maggio 2005, T. E. venne ritenuto responsabile di diffamazione in danno del geologo D.M.L. per avere, secondo l’accusa (quale riportata nella sentenza) "(OMISSIS), pubblicato sul sito web (OMISSIS)) un articolo giornalistico dal titolo (OMISSIS) nel quale si sosteneva, contrariamente al vero, che lo sprofondamento del parcheggio ed il crollo dell’immobile realizzato in (OMISSIS) erano riconducibili ad indagini geologiche sbagliate";
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, denunciando:
1) difetto di motivazione in ordine al mancato accoglimento del motivo d’appello nel quale si sosteneva l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato, avuto riguardo all’uso, nell’articolo incriminato, di espressioni indicative dell’intento dell’autore di presentare solo quella che poteva apparire la più probabile delle ipotesi circa le possibili cause del dissesto verificatosi nel terreno sul quale doveva essere realizzato il parcheggio;
2) difetto di motivazione, ancora, "in relazione alla consumazione del reato contestato", sull’assunto che non sarebbe stata affrontata la questione circa la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone in un caso in cui (come verificatosi nella specie) il messaggio asseritamente diffamatorio sia inserito in un sito "internet" al quale potrebbe anche non accedere alcuno;
– che, nelle more, è decorso il termine massimo di prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che va disposto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, per quanto concerne l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, atteso che il reato a lui ascritto è da ritenere estinto per intervenuta prescrizione, in assenza di cause di inammissibilità del proposto ricorso per cassazione;
– che, dovendosi però comunque esaminare il ricorso medesimo ai fini civilistici, secondo quanto previsto dall’art. 578 c.p.p. (essendovi stata condanna dell’imputato alla rifusione dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile), esso, ancorchè non inammissibile, non appare tuttavia meritevole di accoglimento, in quanto:
a) con riguardo al primo motivo, ritiene il collegio che sia da richiamare il principio già in altra occasione affermato secondo cui: "In tema di diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione di una notizia falsa ancorchè espressa informa dubitativa, può ledere l’altrui reputazione allorchè le espressioni utilizzate nel contesto dell’articolo siano ambigue, allusive, insinuanti ovvero suggestionanti, e perciò idonee ad ingenerare nella mente del lettore il convincimento della effettiva rispondenza a verità dei fatti narrati, con la conseguenza che tale indagine è rimessa al giudice di merito e, se giustificato da adeguata motivazione, è incensurabile in sede di legittimità" (Cass. 5^, 4 ottobre – 19 dicembre 2005 n. 45910, Fazzo ed altri, RV 233039); e, nella specie, contrariamente a quanto si assume nel ricorso, la ritenuta lesività dell’articolo incriminato risulta più che adeguatamente motivata, anche sotto il profilo dedotto dal ricorrente, pur senza espresso e specifico riferimento all’elemento soggettivo del reato, avendo la corte di merito ragionevolmente (e, quindi, insidacabilmente) osservato, sulla scorta del riportato tenore testuale dell’articolo in questione, che questo, nel suo complesso, si poneva "con taglio, accenti e toni schiettamente aggressivi nei confronti dei responsabili di quello che viene definito un crollo, uno sprofondamento la cui più plausibile motivazione viene indicata in indagini geologiche sbagliate"; e ciò senza che sussistesse alcuna ragione obiettiva atta a rendere giustificabile la prospettazione di siffatta ipotesi, avendo altresì la stessa corte posto in luce (circostanza del tutto ignorata nel ricorso) come neppure dall’intervista rilasciata dal sindaco, dalla quale, a suo dire, il ricorrente avrebbe tratto gli elementi per la redazione dell’articolo, fosse risultata l’esistenza di alcun "crollo" o "sprofondamento" e, meno che mai, la riscontrata esistenza di "errori nella progettazione e nella perizia tecnico-geologica";
b) con riguardo al secondo motivo, se è vero che, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, "la diffamazione, che è reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l’espressione ingiuriosa e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato" (Cass. 5^, 21 giugno – 25 luglio 2006 n. 25875, Cicino ed altro, RV 234528, e, in precedenza, nello stesso senso, Cass. 5^, 17 novembre – 27 dicembre 2000 n. 4741, PM in proc. c. ignoti, RV 217745), è altrettanto vero che quando il sito web sul quale viene effettuata l’immissione sia per sua natura destinato ad essere normalmente visitato da un numero indeterminato di soggetti, come appunto avviene nel caso (ricorrente nella specie) di un giornale redatto in forma telematica, deve necessariamente presumersi che all’immissione faccia seguito, in tempi assai ravvicinati, il collegamento da parte di lettori, non diversamente da quanto deve presumersi nel caso di un tradizionale giornale a stampa, nulla rilevando l’astratta e teorica possibilità (del tutto analoga a quella evocata nel ricorso con riguardo al sito web) che esso non venga nè acquistato nè letto da alcuno; il che trova conferma proprio in un brano della motivazione della già citata sentenza n. 25875/2006, laddove si afferma che: "quando una notizia risulti immessa sui cc.dd. media, vale a dire nei mezzi di comunicazione di massa (cartacei, radiofonici, televisivi, telematici ecc.), la diffusione della stessa, secondo un criterio che la nozione stessa di pubblicazione impone, deve presumersi, fino a prova del contrario. Il principio non può soffrire eccezione per quanto riguarda i siti web, atteso che l’accesso ad essi è solitamente libero e, in genere, frequente (sia esso di elezione o meramente casuale), di talchè la immissione di notizie o immagini in rete integra la ipotesi di offerta delle stesse in incertam personam e dunque implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato (ma difficilmente accertabile) di utenti";
– che il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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