Cass. pen., Sez. IV, Sentenza 18 Gennaio 2011, n. 1226 Sicurezza sul lavoro Se la macchina è pericolosa, pur marchiata CE, il datore di lavoro è responsabile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

N.R. veniva tratto a giudizio del Tribunale di Milano, per rispondere del reato di lesioni personali colpose secondo la seguente contestazione: perché per colpa consistita nell’aver messo a disposizione dei propri dipendenti una macchina monoblocco priva di riparo e protezione della zona di riavvolgimento del filo e quindi non idonea ai fini della sicurezza (in violazione dell’art. 35, primo comma, del D.L.vo n. 626/94), e nell’aver omesso di fornire al lavoratore D.G.I. sia le informazioni e le istruzioni d’uso necessarie per garantire la sicurezza durante le normali condizioni di impiego della suddetta macchina, sia la formazione adeguata sulle condizioni di impiego (in violazione degli artt. 37, primo comma, e 38, primo comma, del D.L.vo n. 626/94), e comunque con negligenza ed imprudenza, non impediva che il D.G. , introducendo la mano coperta dal guanto di protezione nella zona di avvolgimento del filo per pulirlo, a causa del successivo incastrarsi del guanto tra la bobina di tiro e il contro rullo, si cagionasse lesioni consistite nella frattura della mano con incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni; con l’aggravante di aver commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (fatto avvenuto il (OMISSIS) ). All’esito del dibattimento, l’imputato veniva condannato alla pena di Euro 300,00 di multa, con il riconoscimento delle attenuanti generiche valutate equivalenti all’aggravante.
A seguito di gravame ritualmente proposto, la Corte d’Appello di Milano confermava l’impugnata sentenza, richiamando integralmente le diffuse argomentazioni del primo giudice e disattendendo le deduzioni difensive, incentrate, in particolare, sulla prospettata anomalia del macchinario intervenuta in sede di costruzione dello stesso, e sull’asserita buona fede dell’imputato il quale aveva fatto affidamento sul certificato di conformità CEE e di analisi di rischio, senza mancare peraltro – proprio per garantire al massimo la sicurezza dei lavoratori – di munire il macchinario di ulteriori griglie, e di fornire ai dipendenti tutte le informazioni utili per il corretto uso del macchinario e per evitare inconvenienti nelle operazioni di controllo del filo come precisato anche dalla stessa parte lesa. In particolare la Corte distrettuale sottolineava che: a) a nulla rilevava che il macchinario fosse munito del certificato di conformità, avuto riguardo agli obblighi del datore di lavoro, ivi compreso quello della verifica del macchinario utilizzato, e tenuto conto che l’imputato pur avendo apportato modifiche ai macchinario stesso non si era accorto che la griglia di protezione della parte frontale era larga cm. 78 anziché, come prescritto, cm. 85: larghezza, questa, che avrebbe impedito l’evento; di tal che, pacifica appariva la violazione dell’art. 35, comma primo, del D.L.vo n. 626/94; b) proprio a causa della non conformità del macchinario alla normativa, che il datore di lavoro ben avrebbe potuto rilevare avendo provveduto personalmente ad apportare modifiche al macchinario, l’operaio aveva infilato la mano per verificare la qualità del materiale, così riportando la frattura del dito; c) pur avendo frequentato i corsi di formazione svolti (corso per carrellisti e quale addetto per apparecchi di sollevamento), il D.G. non aveva però ricevuto specifica formazione sul macchinario in argomento, essendo stato affiancato, dopo l’assunzione nel 2002, da un collega esperio nella tecnica lavorativa.
Ricorre per Cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle risultanze processuale, con argomentazioni che possono così sintetizzarsi: a) la Corte distrettuale avrebbe erroneamente sottovalutato che l’anomalia del macchinario al quale lavorava la parte lesa (quanto alla larghezza della griglia di protezione) poteva essere rilevata solo da persona esperia – ed era riconducile alla costruzione – e che il N. aveva fatto affidamento sull’esistenza del certificato di conformità CEE e di analisi del rischio da considerarsi escluso dalla presenza di protezioni fisse e mobili; b) la misura di cm. 85 era riferibile non alla lunghezza della griglia ma alla distanza tra il bordo della protezione ed il punto del filo trafilato sulla bobina: non era quindi la griglia che avrebbe dovuto essere non inferiore a cm 85, ma una relazione tra punti interni alla macchina in termini di distanza, percepibile solo da persona esperta e competente; c) quanto alle modalità di addestramento, il D.G. era stato affiancato, come previsto, da un collega esperto che gli aveva assicurato assistenza nell’uso della macchina fino a quando il D.G. aveva dimostrato di aver acquisito le necessario conoscenze.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
Mette conto sottolineare, preliminarmente, che, come si rileva agevolmente dal testo dell’impugnata decisione, il primo giudice aveva affrontato e risolto le questioni sollevate dal N. seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti ai fini dell’esame della posizione dell’imputato; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i giudici di seconda istanza legittimamente hanno richiamato anche la motivazione addotta dal Tribunale a fondamento del convincimento espresso, senza peraltro limitarsi ad un semplice richiamo meramente ricettizio a detta motivazione, non avendo mancato di fornire autonome valutazioni a fronte delle deduzioni dell’appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione ("ex plurimis", Sez. 3^, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. – dep. 23/04/1994 – Rv. 197497).
Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali – quali sopra riportati (nella parte relativa allo "svolgimento del processo") e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni – forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l’infortunio oggetto del processo: la Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell’infortunio e posizione di garanzia del N.) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dell’imputato.
Per completezza argomentativa si impongono solo talune ulteriori precisazioni in relazione alle tesi difensive prospettate dal ricorrente, circa l’affidamento sull’esistenza del certificato di conformità CEE e di analisi del rischio per il macchinario utilizzato dal lavoratore poi infortunatosi – muovendo dall’asserita non evidenza dell’anomalia che il macchinario stesso presentava – nonché relativamente all’addestramento del lavoratore. Infondate sono le censure proposte in relazione al marchio "CE" apposto sulla macchina. L’imputato aveva introdotto nella sua azienda, e messo a disposizione dei suoi dipendenti, una macchina realizzata senza il rispetto delle norme antinfortunistiche, norme del cui assoluto ed integrale rispetto egli, quale datore di lavoro della parte lesa, e responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, avrebbe dovuto accertarsi, a nulla rilevando la marchiatura "CE" che non esonera da responsabilità, in ragione dell’accertata non conformità della macchina ai previsti requisiti di sicurezza. Ancor meno può esonerare da responsabilità l’eventuale affidamento sulla notorietà e competenza tecnica del costruttore. L’imprenditore, invero, secondo quanto costantemente affermato questa Corte, è, comunque, il principale destinatario delle norme antinfortunistiche previste a tutela della sicurezza dei lavoratori ed ha l’obbligo di conoscerle e di osservarle indipendentemente da carenze od omissioni altrui e da certificazioni pur provenienti da autorità di vigilanza: "Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità CE o l’affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità" (in termini, Sez. 4^, n. 37060 del 12/06/2008 Ud. – dep. 30/09/2008 – Rv. 241020); "Il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri ed idonei all’uso, rispondendo in caso di omessa verifica dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento e ciò a prescindere dalla eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi" (in termini, Sez. 4^, n. 6280 del 11/12/2007 Ud. – dep. 08/02/2008 – Rv. 238959). Ciò che rileva, dunque, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, è che tra i compiti di prevenzione del datore di lavoro è anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari del tutto sicuri (v., "ex plurimis", Sez. 4^, 10 novembre 2005, Minesso). In altri termini, il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. Pertanto, non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare, neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura (per riferimenti, Sez. 4^, 26 aprile 2000, Mantero ed altri).
Trattasi di affermazioni, pienamente condivisibili, che poggiano sul disposto dell’art. 2087 c.c. secondo cui l’imprenditore, al di là di ogni formalismo, è comunque tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa quelle misure che, sostanzialmente ed in concreto, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Si tratta di una disposizione che costituisce "norma di chiusura" rispetto alle norme della legislazione antinfortunistica, comportando a carico del datore di lavoro precisi obblighi di garanzia e di protezione dell’incolumità dei propri lavoratori e della stessa incolumità pubblica: obblighi che rendono esigibile, da parte del datore di lavoro, il dovere di impedire, mediante adeguato controllo e la predisposizione di ogni strumento a ciò necessario, che il bene o l’attività, sorgente di pericoli e rientrante nella sfera della sua signoria, possa provocare danni a chiunque ne venga a contatto, anche occasionalmente (v. Sez. 4^, 13 giugno 2000, Forti; Sez. 4^, 12 gennaio 2005, Cuccù ed altri, secondo cui il datore di lavoro deve attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, appunto, più generalmente, al disposto dell’art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art. 40 c.p., comma 2). Eventuali concorrenti profili colposi addebitabili al fabbricante o fornitore certamente non elidono, come già sopra accennato, il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo in danno del lavoratore: e ciò, in linea con la pacifica affermazione secondo cui è configurabile la responsabilità del datore di lavoro il quale introduce nell’azienda e mette a disposizione del lavoratore una macchina – che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone – senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l’eventuale diverso venditore, abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l’idoneità all’uso, non valendo ad escludere la propria responsabilità la mera dichiarazione di avere fatto affidamento sull’osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica (v. sul punto, Sez. 4^, 3 luglio 2002, Del Bianco Barbacucchia).
Né coglie nel segno il rilievo del ricorrente secondo cui l’anomalia "de qua" non sarebbe stata percepibile. Mette conto sottolineare infatti che la Corte d’appello nell’impugnata sentenza (cfr. pag. 4) ha puntualmente evidenziato che "alla macchina l’imputato aveva fatto fare delle modifiche, non accorgendosi che la griglia di protezione della parre frontale era larga cm.78 anziché, come prescritto, cm. 85, larghezza che avrebbe impedito l’infortunio"; situazione già posta in rilievo dal Tribunale il quale, come ricordato a pag. 2 della sentenza dei giudici di seconda istanza, aveva altresì osservato che il difetto del macchinario "non poteva sfuggire all’imputato, tenuto conto della sua presenza costante in officina e delle piccole dimensioni della ditta". Quanto all’addestramento del D.G. , i giudici di merito hanno accertato in punto di fatto che quest’ultimo non aveva ricevuto specifica formazione sul macchinario in argomento; orbene, tale omissione non può ritenersi neutralizzata dall’affidamento del lavoratore ad altro dipendente dotato di esperienza, anche perché, tra l’altro, nulla è stato dimostrato in concreto, con inoppugnabili dati probatori, circa fa durata (dal momento in cui il D.G. era stato assunto alle dipendenze dei N. nel 2002) di siffatto addestramento e le modalità con le quali lo stesso sarebbe stato effettuato. Giova sottolineare che il datore di lavoro ha il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro; trattasi di uno specifico onere di informazione, formazione ed assiduo controllo, cui il N. non avrebbe dovuto sottrarsi nei confronti del D.G. , allorquando questi era stato assunto ed era quindi venuto per la prima volta a contatto con un ambiente e con strutture a lui non familiari e tali, perciò, da poter riservare insidie non note.
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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