Corte Costituzionale sentenza n. N. 30 SENTENZA 24 – 27 gennaio 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 6 del 2-2-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 1, comma 7,
terzo periodo, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994,
n. 19, come integrato dall’articolo 42, comma 2, della legge 18
giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitivita’ nonche’ in materia di processo
civile), promosso dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in sede
giurisdizionale, nel giudizio avente ad oggetto l’esame di questioni
di massima deferito dal Presidente della Corte dei Conti, con
ordinanza dell’8 aprile 2010, iscritta al n. 195 del registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 26, 1ª serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010 il Giudice
relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte dei conti, a Sezioni riunite in sede
giurisdizionale, con ordinanza dell’8 aprile 2010, ha sollevato
questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 1, comma 7,
terzo periodo, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994,
n. 19, come integrato dall’articolo 42, comma 2, della legge 18
giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitivita’ nonche’ in materia di processo
civile), per asserita violazione degli articoli 24, 25 e 111 della
Costituzione.
1.1. – Il giudice a quo premette che con atto del 14 dicembre
2009, notificato ai Presidenti di tutte le sezioni giurisdizionali
regionali e ai Presidenti delle sezioni d’appello, il Presidente
della Corte dei conti ha deferito l’esame di talune questioni di
massima alla Sezioni riunite in sede giurisdizionale, ai sensi della
norma censurata, e in relazione ai giudizi formalmente promossi e
incardinati presso la terza sezione centrale d’appello della Corte
dei conti recanti n. 36000, n. 36013, n. 36017, n. 36079, n. 36094,
n. 36095, n. 36181, in base a reclamo proposto dalla procura
regionale per il Lazio, n. 36077 e n. 36153, in base ad appello
proposto dalla parte privata, nonche’ n. 36159, in base a reclamo
proposto dalla Procura regionale per le Marche. In particolare, le
questioni di massima proposte attenevano tutte all’interpretazione da
dare, in presenza di orientamenti oscillanti della giurisprudenza,
all’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78
(Provvedimenti anticrisi, nonche’ proroga di termini), convertito,
con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.
Con decreto n. 41 del 18 dicembre 2009 il Presidente della Corte
dei conti ha fissato l’udienza per la discussione delle predette
questioni.
Si aggiunge, inoltre, che «essendo stato il predetto atto di
deferimento notificato ai Presidenti di tutte le sezioni territoriali
e centrali della Corte dei conti, e quindi anche al Presidente della
terza sezione centrale d’appello, da parte di quest’ultimo sono stati
adottati decreti con i quali le camere di consiglio per la
trattazione dei giudizi relativi ai reclami e agli appelli pendenti
presso quella terza sezione centrale d’appello, in relazione ai quali
le questioni di massima in esame sono state rimesse a queste Sezioni
riunite, gia’ fissate con precedenti decreti in data 16 novembre 2009
e in data 9 dicembre 2009, sono state rinviate a data da stabilire».
Con ordinanza del 5 febbraio 2010 n. 8, il Presidente della Corte
dei conti ha stabilito la composizione del Collegio, provvedendo,
poi, con decreto n. 9 del 5 febbraio 2010, a nominare il relatore.
2. – Esposto cio’, il collegio remittente, in via preliminare,
pone la questione relativa alla legittimazione del Presidente della
Corte di conti a deferire alle Sezioni riunite in sede
giurisdizionale le suddette questioni di massima.
La norma censurata prevede che: «il Presidente della Corte puo’
disporre che le Sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che
presentano una questione di diritto gia’ decisa in senso difforme
dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli che
presentano una questione di massima di particolare importanza». La
norma aggiunge, in una parte non oggetto di impugnazione, che «se la
sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non
condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunite,
rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del
giudizio».
Il giudice a quo rileva come, prima della modifica introdotta
dall’art. 42 della legge n. 69 del 2009, il giudizio delle Sezioni
riunite della Corte dei conti su questioni di massima e per contrasti
giurisprudenziali avesse carattere «esclusivamente incidentale»,
coinvolgendo tutte le sezioni giurisdizionali della Corte di conti,
regionali e centrali. In particolare, il nuovo assetto della
giustizia contabile, articolata in sezioni giurisdizionali regionali
di primo grado e in sezioni centrali d’appello (e per la Sicilia, una
sezione regionale anche per l’appello), a differenza di quanto
previsto per la giustizia amministrativa, non differenzia, «sotto
l’aspetto ordinamentale e dei ruoli», le sezioni territoriali da
quelle centrali (o comunque d’appello). Ne consegue, prosegue sempre
il Collegio remittente, che le Sezioni riunite, «organo giudiziario
autonomo», devono essere «intese come la "riunione" a livello apicale
di tutte le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti (ed e’ per
questa ragione che per la composizione del relativo albo si attinge
anche ai componenti delle sezioni territoriali)».
La modifica introdotta dal citato art. 42 avrebbe aggiunto,
rispetto al sistema previgente, il potere del Presidente della Corte
dei conti di «deferire autonomamente e al di fuori di un giudizio
pendente questioni di massima alle Sezioni riunite».
Tale potere sarebbe diverso dal potere di rimessione delle
questioni di diritto controverse o delle questioni di massima alle
Sezioni unite della Corte di cassazione, riconosciuto al Primo
Presidente della Corte stessa dall’art. 374, secondo comma, del
codice di procedura civile, e dal potere di rimessione all’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato riconosciuto al Presidente del
Consiglio stesso ai sensi dell’art. 45, commi 2 e 3, del regio
decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle
leggi sul Consiglio di Stato). Per effetto di tali rimessioni
entrambi gli organi sopra indicati decidono la controversia nella sua
interezza, e quindi anche nel merito, ma la decisione viene resa,
puntualizza il giudice a quo, «nell’ambito dello stesso organo
giurisdizionale, con competenza ripartita internamente». Il
deferimento del Presidente della Corte dei conti avviene, invece,
«nei confronti di organi giurisdizionali diversi e autonomi per
competenza territoriale e funzionale, rispetto ai quali il Presidente
della Corte di conti e’ del tutto estraneo». Il Presidente della
Corte dei conti potrebbe, pertanto, «di sua iniziativa e a
prescindere da qualsiasi impulso di parte, "sottrarre" un giudizio
pendente presso una sezione giurisdizionale territoriale o d’appello,
per portarlo innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti, e
cioe’ innanzi ad un giudice costituito "nominativamente" dallo stesso
Presidente della Corte dei conti».
Il remittente sottolinea, inoltre, come non potrebbe neanche
essere assimilato il potere di deferimento in esame a quello che
l’art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 453 del 1993 riconosce al
Procuratore generale della Corte dei conti. In particolare, tale
norma prevede che: «le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono
sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite
dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a
richiesta del Procuratore generale». Si osserva come tale potere
venga esercitato dal Procuratore generale non nella veste di "parte",
ma di «organo che partecipa all’esercizio della funzione
nomofilattica mediante il potere di ricorrere "in via principale
nell’interesse della legge" ai sensi dell’art. 6, comma 6, del
decreto-legge n. 453 del 1993» (si cita la sentenza n. 375 del 1996
della Corte costituzionale).
Svolta questa premessa, si assume che la norma impugnata
violerebbe, in primo luogo, il principio della precostituzione del
giudice naturale per legge di cui all’art. 25 Cost., in quanto,
prevedendo che il Presidente della Corte dei conti possa deferire
d’ufficio la questione di massima alle Sezioni riunite, «al di fuori
di un giudizio pendente», mediante il «prelievo» di un giudizio
pendente innanzi ad altro giudice, consentirebbe la scelta del
giudice dopo l’instaurazione della controversia. A tale proposito, si
deduce, inoltre, che la citata norma costituzionale prevedrebbe «una
riserva assoluta di legge in materia di competenza del giudice, cosi’
vietando anche che la competenza stessa possa essere determinata da
fonti secondarie o da atti non legislativi».
In secondo luogo, verrebbe violato il principio di terzieta’ del
giudice di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., che costituisce un
«necessario corollario del principio della precostituzione del
giudice naturale per legge», cio’ perche’ lo stesso Presidente,
«mediante il potere di deferimento», finirebbe «per essere giudice in
una causa da egli stesso promossa». D’altronde, «se si volesse
osservare», puntualizza il remittente, «che non trattasi, nel caso di
specie, di una causa propria del Presidente della Corte, risulta
comunque violato il principio del divieto della ufficialita’ del
giudizio, non potendo il giudice giudicare una causa da egli stesso
promossa (…), o comunque non promossa da un soggetto (attore)
diverso dal giudice». Sempre in relazione al principio di terzieta’
si sottolinea come nella Costituzione la neutralita’ del giudice sia
garantita, oltre che dal principio del giudice naturale precostituito
per legge, anche dalle norme che prevedono: il divieto di iniziativa
processuale d’ufficio (art. 24, primo comma, Cost.); il divieto di
costituire giudici straordinari o speciali (art. 102 Cost.); la
soggezione dei giudici soltanto alla legge (art. 101, secondo comma,
Cost.). Tali principi sarebbero ulteriormente ribaditi dall’art. 6
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che l’Italia ha
recepito con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il
20 marzo 1952).
In terzo luogo, prevedendo la norma impugnata una iniziativa
officiosa, sarebbe violato l’art. 24 Cost., il quale esprime il
«principio secondo il quale non e’ possibile porre ai cittadini
limitazioni od ostacoli alla loro difesa nel processo delle posizioni
sostanziali» che l’ordinamento gli riconosce.
In definitiva, si osserva come la norma censurata rappresenti
«l’unico caso in cui un organo totalmente estraneo al giudizio
formula d’ufficio la domanda e nomina anche il collegio giudicante».
Per quanto attiene, poi, al potere delle Sezioni riunite di
sollevare la questione, il Collegio remittente sottolinea di non
ignorare l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale che ritiene
non sussistente tale potere, in quanto le Sezioni riunite dovrebbero
limitare il proprio giudizio soltanto al «punto di diritto su cui si
basa la questione rimessa». Il Collegio ritiene, pero’, condivisibile
l’altro orientamento, fatto proprio anche dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 375 del 1996, secondo cui esistono questioni di
costituzionalita’ che possono trovare la loro sede di emersione e di
concreta rilevanza solo nel giudizio innanzi alle Sezioni riunite.
Inoltre, si deduce come la dedotta questione di costituzionalita’ non
riguardi «il punto di diritto su cui si basa la questione rimessa»,
bensi’ la stessa legittimazione del Presidente della Corte dei conti.
3. – E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo, in primo luogo, che la questione venga dichiarata
inammissibile, in quanto le Sezioni riunite della Corte dei conti
possono sollevare questioni soltanto in relazione a norme diverse da
quelle che sono utili a risolvere il quesito loro sottoposto.
In secondo luogo, il giudice remittente avrebbe omesso di
indagare se sia possibile interpretare la norma in senso conforme a
Costituzione. Infatti, «partendo dal presupposto che le sezioni
regionali costituiscono organi giudiziari autonomi, il testo della
norma della cui costituzionalita’ si dubita ben consente di escludere
che il giudizio instaurato dinanzi alla Sezione giurisdizionale
regionale rientri nel potere di deferimento alle Sezioni riunite di
una questione di massima». La disposizione censurata «menziona le
sezioni regionali solo per significare che il deferimento alle
Sezioni riunite puo’ avvenire anche quando la difformita’ di
orientamento su una questione di diritto si sia manifestata (non
nell’ambito del giudice di ultima istanza, come ad esempio avviene
per i giudizi dinanzi la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato,
ma) nell’ambito delle sezioni regionali stesse». Si osserva come il
disposto testuale «appare chiarissimo in tale senso». Nulla, nella
disposizione censurata, «lascia intendere che il Presidente possa
intervenire "avocando" alle Sezioni riunite dei giudizi pendenti
dinanzi a quelle; cio’ in specie considerando che, ancora in mancanza
di una decisione della sezione regionale, un reale conflitto non si
e’ ancora manifestato». Diversa sarebbe la questione, non rilevante
in questa sede, relativa alla facolta’ riconosciuta dall’ultimo
periodo della norma in esame alle sezioni regionali di rimettere la
questione nel momento in cui deve essere decisa la questione stessa.
In definitiva, la rimessione dovra’ avvenire «laddove la
questione sia comunque in quel momento sottoposta al giudizio di
sezioni centrali o comunque di un giudice contabile di grado
successivo al primo. La norma non facoltizza, invece, secondo questa
lettura costituzionalmente orientata, il Presidente ad intervenire
con la rimessione di cui si tratta ove la questione penda dinanzi a
sezione regionale».
Le Sezioni riunite avrebbero dovuto conseguentemente, in
alternativa, «o escludere la possibilita’ di una simile
interpretazione (in quanto ad esempio smentita dal "diritto
vivente")» – e avrebbero allora potuto motivatamente rimettere la
questione alla Corte costituzionale – «ovvero dichiarare
inammissibili innanzi a se’ le questioni eventualmente fatte oggetto
di rimessione dal Presidente al di fuori dei casi consentiti dalla
legge».
Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata.
Il potere del Presidente di rimettere alle Sezioni riunite anche
le controversie pendenti dinanzi alle sezioni regionali «non puo’ che
discendere dalla considerazione delle stesse – attesa la
peculiarieta’ del "sistema" della Corte dei conti – quali "sezioni"
dello stesso organo giudiziario decentrate sul territorio». Cio’ non
violerebbe il principio del giudice naturale precostituito per legge
poiche’ la rimessione alle Sezioni riunite e’ pur sempre prevista e
regolamentata dalla legge.
Non violerebbe neanche i principi del giusto processo, della
terzieta’ del giudice e del divieto di iniziativa officiosa «poiche’
l’iniziativa processuale che incardina il giudizio non puo’ di certo
farsi risalire al Presidente della Corte, cui e’ riferibile solo la
scelta – regolamentata dalla legge – di risolvere un conflitto tra
diversi orientamenti e la soluzione di questioni di massima in una
determinata fase del giudizio». Inoltre, «la circostanza che le
Sezioni riunite siano (possano essere) presiedute dal Presidente non
rende certamente quest’ultimo "parte" del giudizio».

Considerato in diritto

1. – Con ordinanza dell’8 aprile 2010 la Corte dei conti, Sezioni
riunite, in sede giurisdizionale, ha sollevato questione di
legittimita’ costituzionale dell’articolo 1, comma 7, terzo periodo,
del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia
di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con
modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato
dall’articolo 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69
(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitivita’ nonche’ in materia di processo civile), per asserita
violazione degli articoli 24, 25 e 111 della Costituzione.
La norma censurata prevede che «il Presidente della Corte puo’
disporre che le Sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che
presentano una questione di diritto gia’ decisa in senso difforme
dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli che
presentano una questione di massima di particolare importanza».
2. – In via preliminare, e’ necessario stabilire, ai fini del
giudizio di ammissibilita’ della questione sollevata con l’ordinanza
sopra citata, se sussista, nella specie, la legittimazione delle
Sezioni riunite della Corte dei conti ad introdurre il presente
giudizio incidentale di legittimita’ costituzionale.
Nella specie, le Sezioni riunite dubitano della costituzionalita’
della norma che consente il deferimento della questione
interpretativa alla loro cognizione.
E’ evidente, dunque, che non puo’ negarsi al remittente la
legittimazione a sollevare la questione di legittimita’
costituzionale della norma che ha attribuito al Presidente della
Corte dei conti il potere di devolvere la questione di massima a tale
particolare articolazione del giudice contabile.
D’altronde, questa Corte, con la sentenza n. 375 del 1996, ha
avuto modo di affermare che sussiste la legittimazione delle Sezioni
riunite della Corte dei conti a sollevare questioni di legittimita’
costituzionale collegate «al momento della verifica, da parte di
queste ultime, dei presupposti della propria competenza».
3. – Ancora sul piano dell’ammissibilita’, va rilevato,
preliminarmente, che la dedotta questione di legittimita’
costituzionale deve essere riguardata sotto due aspetti correlati
alla duplice previsione sostanzialmente contenuta nella norma
censurata: a) la prima, che attribuisce al Presidente della Corte il
potere di deferire, d’ufficio, alle Sezioni riunite le questioni di
massima che emergono in controversie pendenti (come quelle in esame)
in sede di appello; b) la seconda, che conferisce lo stesso potere di
deferimento con riguardo a questioni di massima che emergono in
controversie pendenti davanti a sezioni giurisdizionali regionali.
La valutazione della rilevanza, nel giudizio a quo, della
questione deve essere effettuata, dunque, con specifico riferimento
alle due ipotesi innanzi precisate.
Orbene, partendo dal rilievo che, nella specie, le questioni di
massima in relazione alle quali il Presidente della Corte ha
esercitato il potere di deferimento alle Sezioni riunite sono tutte
emerse in vari giudizi di appello pendenti presso la terza sezione
giurisdizionale centrale della Corte, non vi e’ dubbio che la
questione di legittimita’ costituzionale sollevata con riferimento
alla corrispondente previsione normativa sia rilevante nel giudizio a
quo e quindi sia ammissibile.
Ad opposta conclusione deve, invece, pervenirsi per la seconda
ipotesi sopra prospettata, quella cioe’ relativa all’esercizio da
parte del Presidente della Corte del medesimo potere di deferimento
delle questioni di massima che emergono in giudizi pendenti davanti
alle sezioni regionali. Cio’ per l’ovvia ragione che, nel caso ora in
esame, non si verte in una ipotesi di tal genere. A prescindere,
peraltro, dalla stessa possibilita’ di interpretare la normativa
vigente nel senso della deferibilita’ alle Sezioni riunite della
Corte di questioni di massima o nelle quali si sono determinati
contrasti interpretativi ad opera delle sezioni giurisdizionali
regionali.
A quanto sopra va aggiunto che le medesime Sezioni riunite, con
pronuncia successiva alla ordinanza di rimessione in esame, in
ragione della difficolta’ di coniugare con i principi del diritto
processuale la sussistenza di un "contrasto verticale" tra giudici di
primo e secondo grado, ha ritenuto che – all’esito di una
interpretazione che identifica la sezione regionale, indicata
nell’ultima parte del comma (non oggetto di censura in questa sede)
solo nella sezione d’appello esistente in Sicilia – l’accesso alle
Sezioni riunite e’ consentito esclusivamente alle sezioni
giurisdizionali d’appello (Corte dei conti, Sezioni riunite, 13
ottobre 2010, n. 8).
4. – Nel merito, nei limiti innanzi precisati nei quali puo’
essere ritenuta ammissibile, la questione proposta non e’ fondata.
L’analisi delle specifiche censure formulate dalla Corte
remittente presuppone che venga delineato il quadro normativo
generale entro il quale trova collocazione il particolare potere di
deferimento alle Sezioni riunite delle questioni di massima,
attribuito dall’ordinamento all’organo di vertice della giurisdizione
contabile, vale a dire al Presidente della Corte dei conti.
4.1. – Al riguardo, va ricordato che, nel processo civile, l’art.
374, secondo comma, del codice di procedura civile – nel testo
modificato dall’articolo 8 del decreto legislativo 2 febbraio 2006,
n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo
di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma
dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80) –
attribuisce al Primo Presidente della Corte di cassazione la facolta’
di «disporre che la Corte pronunci a Sezioni unite sui ricorsi che
presentano una questione di diritto gia’ decisa in senso difforme
dalle Sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di
massima di particolare importanza». Il successivo terzo comma del
medesimo articolo aggiunge che «se la sezione semplice ritiene di non
condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite,
rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del
ricorso».
Nel processo amministrativo l’articolo 45 del regio decreto 26
giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul
Consiglio di Stato), nel testo modificato dall’art. 15 della legge 21
dicembre 1950, n. 1018 (Modificazioni al testo unico delle leggi sul
Consiglio di Stato), ha disposto, al secondo comma, che se la sezione
giurisdizionale del Consiglio «rileva che il punto di diritto
sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dar luogo a contrasti
giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o
di ufficio puo’ rimettere il ricorso all’Adunanza plenaria». Il
successivo terzo comma del medesimo articolo ha, poi, precisato che
«prima della decisione il Presidente del Consiglio di Stato, su
richiesta delle parti o d’ufficio puo’ deferire all’Adunanza plenaria
qualunque ricorso che renda necessaria la risoluzione di questioni di
massima di particolare importanza».
La suindicata disciplina concernente il processo amministrativo
e’ stata sostanzialmente recepita nel nuovo codice del processo
amministrativo, approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69,
recante delega al Governo per il riordino del processo
amministrativo), con l’articolo 99, commi 1 e 2, il quale ha
aggiunto, in linea con quanto stabilito dal codice di procedura
civile, che il deferimento all’Adunanza plenaria puo’ essere disposto
dal Presidente del Consiglio di Stato anche per dirimere contrasti di
giurisprudenza. I successivi commi 3 e 4 del medesimo art. 99 hanno,
inoltre, cosi’ disposto: «3. Se la sezione cui e’ assegnato il
ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato
dall’Adunanza plenaria, rimette a quest’ultima, con ordinanza
motivata, la decisione del ricorso», «4. L’Adunanza plenaria decide
l’intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di
diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione
remittente».
4.2. – Nella giurisprudenza contabile, la funzione nomofilattica,
come e’ noto, e’ attribuita alle Sezioni riunite della Corte.
Al riguardo, va sottolineato che gia’ l’articolo 4 della
risalente legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico
delle leggi sulla Corte dei conti), al primo comma, cosi’ stabiliva:
«ove una sezione giurisdizionale della Corte dei conti rilevi che il
punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo a contrasti
giurisprudenziali puo’, con ordinanza emanata su richiesta delle
parti o di ufficio, rimettere il giudizio alle Sezioni riunite». Il
secondo comma dello stesso articolo aveva aggiunto quanto segue:
«prima della discussione il Presidente della Corte dei conti, su
istanza delle parti o di ufficio, puo’ rimettere alle Sezioni riunite
i giudizi che rendano necessaria la risoluzione di questioni di
massima di particolare importanza». Infine, il comma 3 cosi’
disponeva: «per i giudizi per i quali e’ ammesso l’appello alle
Sezioni riunite ai sensi delle vigenti disposizioni, il deferimento
alle sezioni medesime previsto dai commi precedenti e’ subordinato al
consenso delle parti».
Tale disciplina e’ stata modificata dall’art. 1, comma 7, del
decreto-legge n. 453 del 1993, secondo il quale «le Sezioni riunite
della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle
questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali
o regionali, ovvero a richiesta del procuratore generale. Esse sono
presiedute dal Presidente della Corte dei conti» e «giudicano con
sette magistrati. Ad esse sono assegnati due presidenti di sezione e
un numero di consiglieri determinato dal consiglio di presidenza
della Corte dei conti all’inizio dell’anno giudiziario».
Da ultimo, l’art. 42, comma 2, della legge n. 69 del 2009 ha
aggiunto, al citato comma 7 dell’art. 1 del d.l. 453 del 1993, due
periodi: il primo, oggetto di censura, prevede – come si e’ gia’
notato − che «il Presidente della Corte puo’ disporre che le Sezioni
riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di
diritto gia’ decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali,
centrali o regionali, e su quelli che presentano una questione di
massima di particolare importanza»; il secondo, non investito dal
dubbio di costituzionalita’, stabilisce che «se la sezione
giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il
principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunite, rimette a
queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio». E’
bene aggiungere che l’articolo 17, comma 31, del decreto-legge 1°
luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonche’ proroga di
termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009,
n. 102, ha previsto, nel diverso ambito della funzione di controllo,
che il Presidente della Corte «puo’ disporre che le Sezioni riunite
adottino pronunce di orientamento generale sulle questioni risolte in
maniera difforme dalle sezioni regionali di controllo nonche’ sui
casi che presentano una questione di massima di particolare
rilevanza».
4.2.1. – In relazione al contenuto della vigente disciplina,
relativa al potere presidenziale di deferimento in ambito
giurisdizionale, appare opportuno mettere in rilievo come il
legislatore del 2009 abbia inteso reintrodurre, sia pure con
modifiche, il potere presidenziale di accesso alle Sezioni riunite in
origine contemplato dall’art. 4 della legge n. 161 del 1953 e
successivamente disciplinato dall’art. 1, comma 7, del d.l. n 453 del
1993. Di seguito, da un lato, e’ stato previsto che il deferimento
possa avvenire anche per la risoluzione di questioni di diritto gia’
decise in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali, centrali o
regionali; dall’altro, e’ stata eliminata la condizione del consenso
delle parti per i giudizi per i quali era ammesso l’appello alle
Sezioni riunite. In definitiva, come emerge anche dai lavori
preparatori della norma censurata, la ragione che ha ispirato la
scelta legislativa e’ stata quella di aggiungere, al fine di
potenziare il potere nomofilattico delle Sezioni riunite,
un’ulteriore forma di accesso alle predette sezioni da parte del
Presidente della Corte, in linea con quanto previsto dall’art. 374
cod. proc. civ. L’introduzione del potere presidenziale nel diverso
ambito del giudizio sui controlli persegue, invece, la finalita’ di
«garantire la coerenza nell’unitaria attivita’ svolta dalla Corte dei
conti per le funzioni che ad essa spettano in materia di
coordinamento della finanza pubblica, anche in relazione al
federalismo fiscale» (citato art. 17, comma 31, primo inciso, del
d.l. n. 78 del 2009).
5. – Cosi’ ricostruito, per grandi linee, il quadro normativo in
cui si colloca la norma censurata, si puo’ passare ad analizzare le
singole censure formulate dal remittente.
5.1. – Il giudice a quo lamenta la violazione dell’art. 24 Cost.
della Costituzione, sul presupposto che, prevedendo la norma
censurata una iniziativa officiosa del Presidente della Corte dei
conti, non sarebbe osservato il «principio secondo il quale non e’
possibile porre ai cittadini limitazioni od ostacoli alla (…)
difesa nel processo delle posizioni sostanziali» che l’ordinamento
riconosce loro.
La censura non e’ fondata.
La giurisprudenza costituzionale e’ costante nel ritenere che
l’art. 24 Cost. e’ violato qualora le norme processuali pongano
condizioni di «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di
azione» (sentenze n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006).
Nel caso in esame non si comprende, a prescindere dalla
genericita’ della censura prospettata, la ragione per la quale la
previsione del potere di deferimento attribuito al Presidente della
Corte dei conti possa recare un vulnus al diritto di difesa tutelato
dall’evocata norma costituzionale. La disposizione censurata,
infatti, non disciplina in alcun modo il diritto di azione delle
parti private o del pubblico ministero contabile, limitandosi a
stabilire i criteri che presiedono all’accesso alle Sezioni riunite.
Del resto, il potere di deferire d’ufficio le questioni involgenti
problematiche interpretative di massima e’ riconosciuto
dall’ordinamento, come gia’ sottolineato, sia al Primo Presidente
della Corte di cassazione, sia al Presidente del Consiglio di Stato,
senza che mai sia stata contestata la loro naturale preordinazione a
garantire la retta applicazione della legge, quando questa sia
suscettibile, in astratto, di interpretazioni contrastanti.
In definitiva, il dedotto parametro costituzionale di cui
all’art. 24 Cost. e’ inconferente.
5.2. – Con la seconda censura il giudice a quo lamenta la
violazione dell’art. 25, primo comma, Cost. in quanto la previsione
secondo cui il Presidente della Corte puo’ deferire, d’ufficio, la
questione di massima alle Sezioni riunite, mediante il «prelievo» di
un giudizio pendente innanzi ad una sezione semplice della Corte,
consentirebbe la scelta del giudice dopo l’instaurazione della
controversia.
Strettamente connessa con tale censura e’ quella relativa
all’asserita violazione dell’art. 111 Cost. con riguardo al principio
di terzieta’ del giudice, considerato dall’ordinanza di rimessione
come il «necessario corollario del principio della precostituzione
del giudice naturale per legge». Inoltre, il remittente rileva che lo
stesso Presidente della Corte, «mediante il potere di deferimento
(…), finisce per essere giudice in una causa da egli stesso
promossa».
A questo proposito, il giudice a quo osserva, sempre con
riferimento agli indicati parametri costituzionali, che, a differenza
di quanto l’ordinamento stabilisce per i poteri di deferimento
spettanti al Primo Presidente della Corte di cassazione e al
Presidente del Consiglio di Stato, la previsione dell’analogo potere
presidenziale nell’ambito del processo contabile non avrebbe tenuto
conto della inesistenza di differenze ordinamentali quanto ai ruoli
dei magistrati che compongono le Sezioni della Corte. In particolare,
il remittente deduce che il deferimento alle Sezioni riunite, su
iniziativa del Presidente della Corte, di questioni di massima
relative a controversie di competenza delle sezioni regionali
avverrebbe nei confronti di «organi giurisdizionali diversi e
autonomi per competenza territoriale e funzionale, rispetto ai quali
il Presidente della Corte dei conti e’ del tutto estraneo».
Anche tali censure non sono fondate.
Al riguardo, escluso, per le ragioni gia’ dette in ordine alla
delimitazione del thema decidendum, che venga qui in rilievo la
stessa possibilita’ di esercizio del potere di deferimento
presidenziale con riferimento a giudizi pendenti davanti agli organi
di primo grado della magistratura contabile, va osservato che la
giurisprudenza costituzionale e’ costante nel ritenere che il
principio di certezza del giudice, di cui all’art. 25, primo comma,
Cost., e’ efficacemente espresso nel concetto di «pre-costituzione
del giudice», «vale a dire nella previa determinazione della
competenza, con riferimento a fattispecie astratte realizzabili in
futuro, non gia’, a posteriori, in relazione, come si dice, a una
regiudicanda gia’ insorta». In altri termini, «il principio della
precostituzione del giudice tutela nel cittadino il diritto a una
previa non dubbia conoscenza del giudice competente a decidere, o,
ancora piu’ nettamente, il diritto alla certezza che a giudicare non
sara’ un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto gia’
verificatosi» (sentenza n. 88 del 1962). Il principio in esame e’
osservato «purche’ l’organo giudicante sia stato istituito dalla
legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non in
vista di singole controversie» (sentenza n. 452 del 1997). Inoltre,
la Corte ha chiarito che l’art. 25 Cost. non viene violato allorche’
«la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica
in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere
individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo
spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario
non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale,
che sia adottata in vista di una determinata o di determinate
controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque,
della designazione di un nuovo giudice "naturale" – che il
legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito,
sostituisce a quello vigente» (cosi’, da ultimo, la sentenza n. 237
del 2007). Orbene, se queste affermazioni valgono a giustificare lo
spostamento di competenza da un organo giurisdizionale ad un altro, a
maggior ragione consentono di superare il dubbio relativo alla
violazione dell’art. 25, primo comma, Cost., avanzato con riferimento
alla scelta compiuta dalla norma in esame. Tale norma, infatti, si
limita a consentire il deferimento di una questione di diritto,
avente carattere incidentale, ad un’articolazione interna della Corte
dei conti, quali sono, in effetti, le Sezioni riunite. Dal momento
che, secondo la giurisprudenza costituzionale (sent. 419 del 1998),
il principio di precostituzione del giudice naturale non puo’ operare
nella ripartizione, tra sezioni interne, «dei compiti e delle
attribuzioni» spettanti ad un determinato ordine giurisdizionale
(ordinanza n. 181 del 2001), e’ evidente come la norma censurata –
stabilendo a priori dei criteri generali di risoluzione delle
questioni idonei ad individuare il giudice munito della potesta’ di
fissare, in via incidentale, il principio di diritto relativo ad una
questione di massima di dubbia interpretazione – si sottragga ai vizi
di costituzionalita’ denunciati. In altri termini, il legislatore ha
ritenuto, nell’esercizio della sua discrezionalita’, che, in presenza
di determinati presupposti puntualmente indicati, il Presidente della
Corte possa, al fine di assicurare il fondamentale valore
rappresentato dalla omogeneita’ nell’applicazione e
nell’interpretazione del diritto, esercitare il potere di deferimento
alle Sezioni riunite delle questioni di massima.
E deve anche rilevarsi come, contrariamente a quanto sembra
sostenere il giudice remittente, le Sezioni riunite, in sede
giurisdizionale, nell’esercizio della loro funzione nomofilattica, si
limitino a fissare il principio di diritto, demandando la decisione
nel merito della controversia alle singole sezioni, salvo il potere
di queste di non condividere il principio enunciato dalle Sezioni
riunite e rimettere ad esse la decisione del giudizio.
Non e’, pertanto, esatto che il Presidente della Corte dei conti
possa d’ufficio, e dunque a prescindere da qualsiasi impulso di
parte, "prelevare" un giudizio pendente presso una sezione
giurisdizionale e portarlo, per la decisione, innanzi alle Sezioni
riunite. Il Presidente della Corte non ha, infatti, il potere di
"trasferire" il giudizio da una sezione giurisdizionale alle Sezioni
riunite; puo’ soltanto deferire a queste ultime l’esame della
questione di massima, fermo restando, tuttavia, che il giudizio resta
incardinato nella sezione davanti alla quale pende e alla quale –
dopo la pronuncia delle Sezioni riunite – gli atti devono ritornare
per l’ulteriore seguito, con la specificazione innanzi illustrata.
Non possono, quindi, ritenersi violati da parte della norma
censurata i principi di precostituzione e quello di terzieta’ del
giudice.
Ne’ puo’ ritenersi, come sostenuto dal remittente, che il potere
di deferimento sia esercitato da una parte del processo. Sul punto e’
agevole rilevare come debba escludersi che al Presidente della Corte
dei conti, quando esercita tale potere, possa essere attribuita la
qualita’ "di parte" del processo. Al Presidente della Corte, anche
nell’esercizio di detto peculiare potere di deferimento, deve essere
riconosciuto senza dubbio la qualita’ di "giudice terzo e
imparziale", la cui attivita’ e’ esclusivamente diretta ad assicurare
l’esatta osservanza della legge, nell’interesse, in definitiva, degli
utenti del "servizio giustizia".
Quanto, infine, alla dedotta violazione dei parametri
costituzionali in esame, in ragione della asserita "autonomia" delle
sezioni giurisdizionali della Corte, deve ribadirsi come sia fuori di
dubbio che, quanto alle sezioni centrali di appello della Corte, che
vengono in rilievo nel presente giudizio per le ragioni gia’ dette,
le Sezioni riunite non si trovano affatto nella situazione di
differenziazione ordinamentale richiamata dall’ordinanza di
rimessione. Dette sezioni, infatti, come si e’ gia’ precisato,
rappresentano una articolazione interna della Corte nella sede
giurisdizionale di appello avverso le sentenze rese dai primi giudici
in sede regionale.
Ne’, agli indicati effetti, assume un particolare rilievo
significativo la circostanza che la questione di massima sia portata
all’esame di «un giudice costituito nominativamente dallo stesso
Presidente della Corte ai sensi dell’art. 11, comma 7, della legge 4
marzo 2009, n. 15» (Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione
della produttivita’ del lavoro pubblico e alla efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonche’ disposizioni
integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti). E’ sufficiente
considerare, una volta ammesso che le Sezioni riunite rivestono, come
si e’ sopra chiarito, la natura di articolazione interna del plesso
giurisdizionale centrale della magistratura contabile, che non
sussiste alcuna differenziazione nelle modalita’ di composizione
delle Sezioni riunite con specifico riguardo alla ipotesi in cui il
deferimento delle questioni di massima involga controversie
rientranti nella competenza del giudice di appello.
In definitiva, anche in relazione alla doglianza da ultimo
esaminata, la norma censurata si sottrae ai denunciati vizi di
costituzionalita’.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 1, comma 7, terzo periodo, del
decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di
giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con
modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato
dall’articolo 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69
(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitivita’ nonche’ in materia di processo civile) – nella parte
in cui attribuisce al Presidente della Corte dei conti il potere di
deferimento di questioni di massima in relazione a giudizi pendenti
innanzi a sezioni giurisdizionali di primo grado – sollevata, in
riferimento agli articoli 24, 25 e 111 della Costituzione, con
l’ordinanza indicata in epigrafe;
b) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale del suddetto art. 1, comma 7, terzo periodo, del
decreto-legge n. 453 del 1993 – nella parte in cui attribuisce al
Presidente della Corte dei conti il potere di deferimento di
questioni di massima in relazione a giudizi pendenti innanzi a
sezioni giurisdizionali d’appello – sollevata, in riferimento agli
articoli 24, 25 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Quaranta

Il cancelliere: Fruscella

Depositata in cancelleria il 27 gennaio 2011.

Il cancelliere: Fruscella

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

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