Corte Costituzionale ordinanza n. N. 31 ORDINANZA 24 – 27 gennaio 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 6 del 2-2-2011

Ordinanza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 15, comma
3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti
per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti
nella regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel
territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti
relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla
protezione civile), convertito, con modificazioni, in legge 26
febbraio 2010, n. 26, promosso dal Collegio arbitrale di Roma nel
procedimento vertente tra l’Arcadia Costruzioni s.r.l. e l’Ufficio
del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nella Regione
Calabria con ordinanza del 24 maggio 2010 iscritta al n. 203 del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 27, 1ª serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione della Arcadia Costruzioni s.r.l.
nonche’ l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2010 il giudice
relatore Paolo Grossi;
Uditi l’avvocato Maurizio Zoppolato per l’Arcadia Costruzioni
s.r.l. e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Collegio arbitrale di Roma, costituitosi in data
27 ottobre 2009 per decidere (in virtu’ della clausola compromissoria
contenuta in un contratto di appalto per la realizzazione di un
depuratore, stipulato il 3 novembre 2003) una controversia tra una
societa’ di costruzioni e l’Ufficio del Commissario delegato per
l’emergenza ambientale della Regione Calabria, con ordinanza del 24
maggio 2010 ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25,
41, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della
Costituzione, «nonche’ al principio comunitario di legittimo
affidamento» – questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo
15, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni
urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di
rifiuti nella regione Campania, per l’avvio della fase post
emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre
disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri ed alla protezione civile), convertito, con modificazioni,
in legge 26 febbraio 2010, n. 26, in base al quale «Al fine di
assicurare risparmi di spesa, i compromessi e le clausole
compromissorie inserite nei contratti stipulati per la realizzazione
d’interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza ai
sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e
di grande evento di cui all’art. 5-bis del decreto-legge 7 settembre
2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre
2001, n. 401, sono nulli. Sono fatti salvi i collegi arbitrali presso
cui pendono i giudizi per i quali la controversia abbia completato la
fase istruttoria alla data di entrata in vigore del presente
decreto»;
che, affermata la necessita’ di valutare pregiudizialmente
l’eccezione di nullita’ della clausola compromissoria, proposta dalla
difesa della parte pubblica in ragione appunto della operativita’
della previsione in esame, il Collegio ritiene, in termini di
rilevanza della questione, che la sopravvenuta normativa – che il
rimettente reputa non direttamente disapplicabile, nonostante
l’invocata contrarieta’ della stessa ai principi’ espressi
dall’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta Europea dei diritti
fondamentali – trovi applicazione anche nel giudizio arbitrale a quo,
non ancora pervenuto alla conclusione della fase istruttoria;
che, nel merito, il Collegio rimettente denuncia innanzitutto la
violazione dei principi’ costituzionali del giusto processo e della
ragionevole durata del processo, con riferimento agli artt. 2, 3, 24
e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto – a parte
il generico fine di risparmio di spesa – la previsione della
decadenza di giudizi arbitrali correttamente instaurati e della
attribuzione del contendere alla giurisdizione ordinaria, oltre che
violare il principio codificato dall’art. 5 del codice di procedura
civile, si tradurrebbe necessariamente in un notevole ed
ingiustificato prolungamento del contendere, derivante anche dalla
necessita’ di ripetere un’attivita’ processuale gia’ svolta, a
cagione dell’impossibilita’ (stante il disposto dell’articolo 819-ter
cod. proc. civ.) di dar luogo ad una translatio iudicii dal processo
arbitrale al processo giurisdizionale;
che, sotto altro profilo, il Collegio denuncia la violazione
dell’art. 25 Cost., in quanto – poiche’ la norma sancisce
retroattivamente la decadenza di un giudizio regolarmente instaurato,
quale quello a quo (profilandosi quindi «conseguenze che contrastano
con l’applicazione della norma generale di cui all’art. 5 c.p.c.») –
«si impone di chiarire se, essendo la competenza arbitrale
cristallizzata in un contratto avente forza di legge tra le parti ed
essendo il Collegio arbitrale gia’ costituito questo potra’ essere
ritenuto giudice naturale»;
che, il rimettente – rilevando che la decadenza retroattiva
riguarda unicamente le clausole compromissorie che accedono a
contratti stipulati a norma dell’art. 5, comma 1, della richiamata
legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale
della protezione civile), la cui ratio e’ quella di porre fine
celermente a situazioni di emergenza ed alle relative controversie –
ritiene che la norma contrasti anche con l’art. 3 Cost., in ragione
della irragionevole contraddizione tra le finalita’ della normativa
dell’emergenza e l’obiettivo di contenimento della spesa perseguito
dalla norma medesima, nonche’ della altrettanto illogica
discriminazione tra le parti degli arbitrati in corso, giacche’
l’azzeramento di un giudizio gia’ inoltrato sarebbe condizionato da
un elemento (il «completamento» della fase istruttoria) non
uniformemente disciplinato dalla legge;
che, ancora, il Collegio denuncia la violazione degli artt. 3 e
24 Cost. e del «principio comunitario di legittimo affidamento», in
quanto l’applicazione della norma vanificherebbe retroattivamente un
processo ritualmente avviato da mesi e legittimamente coltivato,
sacrificando in termini irragionevoli il diritto di difesa
dell’attore;
che, inoltre, il rimettente deduce che la previsione della
decadenza di giudizi ritualmente instaurati, comporterebbe anche
un’irragionevole lesione dell’autonomia privata (e quindi la
violazione dell’art. 41, nonche’ degli artt. 24 e 25 Cost.);
che, infine, il Collegio denuncia la violazione dell’art. 117,
primo comma, Cost., «in quanto sia il principio del giudice
precostituito per legge che quello di ragionevole durata del processo
sono sanciti, oltre che direttamente dalla Carta Costituzionale,
anche dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo, nonche’ dall’art. 47 della Carta Europea dei
diritti fondamentali»;
che si e’ costituita la societa’ appaltatrice la quale, aderendo
integralmente alle argomentazioni svolte nell’ordinanza di
rimessione, ha concluso chiedendo la declaratoria di
incostituzionalita’ della norma censurata, per i medesimi motivi
esposti dal Collegio;
che e’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio del
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilita’ o di
infondatezza della questione, contestando innanzitutto le censure
riferite agli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost., in quanto gli asseriti
inconvenienti derivanti dall’azzeramento del processo potrebbero
semmai esser fatti valere davanti al tribunale ordinario, ove questo
dovesse negare l’operativita’ delle regole della translatio iudicii,
sancite da norme diverse da quella oggetto di censura;
che, inoltre, in relazione alla denunciata violazione dell’art.
25 Cost., la difesa erariale sostiene l’inconferenza del richiamo ai
principi’ di cui all’art. 5 cod. proc. civ., attesa la natura
sostanziale della nullita’ sancita dalla norma censurata, e deduce
altresi’ come il parametro evocato non si riferisca al giudizio
arbitrale, che e’ di per se’ un’eccezione al sistema del giudice
naturale; mentre poi – negata altresi’ la configurabilita’ della
dedotta irragionevolezza della norma denunciata, che viceversa
soddisferebbe il fine del notevole risparmio di spesa per la P.A.
sugli onorari degli arbitri – l’Avvocatura sostiene l’infondatezza
della censura riferita alla violazione del principio dell’affidamento
(ex art. 3 Cost.), giacche’ il menzionato art. 5 cod. proc. civ. non
gode di copertura costituzionale;
che, infine – affermato che l’autonomia privata (garantita
dall’art. 41 Cost.) non e’ incompatibile con la prefissione di limiti
a tutela di interessi generali -, l’Avvocatura dello Stato, con
riferimento alla denunciata violazione dei vincoli derivanti dalle
convenzioni internazionali e dalla disciplina comunitaria, osserva
che la norma censurata sarebbe conforme al principio del giudice
naturale precostituito (rafforzandolo anzi in ragione del venir meno
della operativita’ di una eccezione a tale principio) e non
inciderebbe sulla durata del processo che non diventerebbe
irragionevole per il sol fatto che debba essere adito ex novo il
giudice ordinario.
Considerato che il Collegio arbitrale di Roma dubita – in
riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 41, 111, primo e secondo comma,
e 117, primo comma, della Costituzione, «nonche’ al principio
comunitario di legittimo affidamento» – della legittimita’
costituzionale dell’articolo 15, comma 3, del decreto-legge 30
dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello
stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per
l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione
Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile), convertito, con
modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 26;
che la disposizione prevede che: «Al fine di assicurare risparmi
di spesa, i compromessi e le clausole compromissorie inserite nei
contratti stipulati per la realizzazione d’interventi connessi alle
dichiarazioni di stato di emergenza ai sensi dell’art. 5, comma 1,
della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e di grande evento di cui
all’art. 5-bis del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401,
sono nulli. Sono fatti salvi i collegi arbitrali presso cui pendono i
giudizi per i quali la controversia abbia completato la fase
istruttoria alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
che, preliminarmente – dal contenuto delle doglianze, dalla
natura dei parametri evocati e dalle argomentazioni svolte a sostegno
della non manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalita’ – e’
agevole desumere che il rimettente richiede una pronuncia che venga
ad estendere la portata della clausola di salvezza contenuta nel
secondo periodo di tale disposizione, attraverso una applicabilita’
della medesima a tutti i giudizi arbitrali instaurati al momento
dell’entrata in vigore del decreto-legge in oggetto;
che, cio’ premesso in termini di individuazione del petitum e
venendo al merito, il rimettente censura innanzitutto la norma per
violazione degli articoli 2, 3, 24 e 111, primo e secondo comma,
della Costituzione, in quanto – a parte il generico fine di risparmio
di spesa – la previsione della decadenza di giudizi arbitrali
correttamente instaurati e della attribuzione del contendere alla
giurisdizione ordinaria, oltre che violare il principio codificato
dall’art. 5 del codice di procedura civile, si tradurrebbe
necessariamente in un notevole ed ingiustificato prolungamento del
contendere, derivante anche dalla necessita’ di ripetere un’attivita’
processuale gia’ svolta, a cagione dell’impossibilita’ di dar luogo
ad una translatio iudicii dal processo arbitrale al processo
giurisdizionale;
che questa Corte (con la sentenza n. 376 del 2001 e con le
ordinanze n. 169 del 2009, n. 122 e n. 11 del 2003) si e’ gia’
pronunciata, con riferimento a profili in parte coincidenti, nel
senso della infondatezza dei dubbi a suo tempo espressi circa la
legittimita’ costituzionale della analoga normativa di cui
all’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180
(Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a
favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione
Campania), secondo la quale: «Le controversie relative alla
esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione
di territori colpiti da calamita’ naturali non possono essere
devolute a collegi arbitrali. Sono fatti salvi i lodi gia’ emessi e
le controversie per le quali sia stata gia’ notificata la domanda di
arbitrato alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
che, anche nel presente giudizio – premesso che «la
discrezionalita’ di cui il legislatore gode nell’individuazione delle
materie sottratte alla possibilita’ di compromesso incontra il solo
limite della manifesta irragionevolezza» (citata sentenza n. 376 del
2001) -, va escluso che (come gia’ allora rilevato per le opere di
ricostruzione dei territori colpiti da calamita’ naturali) siffatto
limite possa dirsi superato dalla normativa oggi in esame,
considerata l’identita’ del «rilevante interesse pubblico» di cui
risulta permeata anche la materia relativa alla realizzazione
d’interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza, «in
ragione dell’elevato valore delle relative controversie e della
conseguente entita’ dei costi che il ricorso ad arbitrato
comporterebbe per le pubbliche amministrazioni interessate»
(ordinanza n. 162 del 2009);
che, pertanto – poiche’ «le scelte legislative in materia di
arbitrato nei lavori pubblici necessariamente si giustificano in
funzione delle specifiche contingenze che caratterizzano le singole
iniziative della pubblica amministrazione (cfr. sentenza n. 152 del
1996)» – va ribadito, in termini generali, che la valutazione del
legislatore di escludere la compromettibilita’ in arbitri delle
controversie in questione, mediante la declaratoria di nullita’ delle
relative clausole compromissorie, «deve essere apprezzata, sul piano
della relativa non manifesta irragionevolezza, in funzione di tutte
le singole componenti (siano esse di ordine economico, di ordine
funzionale, o di opportunita’) che concorrono ad orientare la scelta
di riservarle al controllo giurisdizionale» (ordinanza n. 162 del
2009); mentre, la sottolineata rilevante entita’ dei costi degli
arbitrati gravanti sulla P.A. conferma che la previsione di tale
esclusione non appare certamente incongrua (e tantomeno
manifestamente irragionevole) rispetto allo specifico fine del
risparmio di spesa esplicitato dalla norma impugnata;
che, dunque, la conseguenza della perdita di un parte di
attivita’ concretamente espletata negli arbitrati in corso (che, pur
sempre, traggono origine dalla libera scelta delle parti di
rinunciare alla giurisdizione, attraverso un atto di disposizione in
senso negativo del diritto di azione: sentenza n. 221 del 2005),
appare ampiamente giustificata nel contesto del bilanciamento con le
esigenze, tanto piu’ sentite in un contesto di crisi economica
globale, di contenimento della spesa pubblica;
che, poi, con riguardo alla argomentazione riferita alla
necessita’ (incidente in senso negativo sul principio di ragionevole
durata del processo e su quello di cui all’art. 5 cod. proc. civ.)
per i soggetti interessati di avviare ex novo l’azione davanti al
giudice ordinario, senza potersi dar luogo alla translatio iudicii
dal processo arbitrale a quello giurisdizionale (che per il Collegio
non sarebbe consentita ex art. 819-ter, secondo comma, cod. proc.
civ.), va ritenuto che – anche a voler ritenere rilevante una tale
problematica per il giudice a quo, considerato che questa Corte ha
affermato che «la conservazione degli effetti prodotti dalla domanda
originaria discende non gia’ da una dichiarazione del giudice che
declina la propria giurisdizione, ma direttamente dall’ordinamento»
(sentenza n. 77 del 2007) – il rimettente, in ragione della
interpretazione ad essa data, avrebbe dovuto, semmai, censurare tale
ultima previsione codicistica;
che – quanto alla denunciata violazione dell’art. 25 Cost., che,
secondo il rimettente deriverebbe dalla previsione di una decadenza
retroattiva di un giudizio regolarmente instaurato, quale quello a
quo, profilandosi quindi «conseguenze che contrastano con
l’applicazione della norma generale di cui all’art. 5 c.p.c.» – va
innanzitutto ribadito che il testo dell’evocato parametro fa
riferimento al giudice naturale precostituito per legge (ordinanze n.
162 del 2010 e n. 11 del 2003) e non a quello, derogatorio, previsto
contrattualmente dalle parti;
che, peraltro, questa Corte ha ritenuto che – nel contesto della
ricordata ampia discrezionalita’ di cui gode il legislatore in
materia – gli interventi legislativi modificativi della competenza
aventi incidenza anche sui processi in corso non sono necessariamente
lesivi dell’art. 25 Cost. (sentenze n. 417 e n. 237 del 2007), e che
«il principio costituzionale del giudice naturale viene rispettato
allorche’ la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso,
modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve
essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo
spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario
non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale,
che sia adottata in vista di una determinata o di determinate
controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque,
della designazione di un nuovo giudice naturale – che il legislatore,
nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a
quello vigente» (sentenza n. 237 del 2007);
che tale affermazione consente anche di superare il profilo
riguardante l’asserita violazione dell’art. 5 cod. proc. civ., che,
quale norma processuale avente lo scopo di favorire la perpetuatio
iurisdictionis (ordinanza n. 363 del 2008), e’ servente alla
realizzazione dei singoli principi’ costituzionali in materia, ma non
puo’ assurgere ad autonomo parametro di giudizio di
costituzionalita’;
che, il rimettente denuncia altresi’ la violazione dell’art. 3
Cost., in considerazione della asserita irragionevole contraddizione
tra le finalita’ della normativa dell’emergenza richiamata dalla
disposizione impugnata e l’obiettivo di contenimento della spesa
perseguito dalla disposizione medesima, nonche’ della altrettanto
illogica discriminazione tra le parti degli arbitrati in corso,
giacche’ l’azzeramento di un giudizio gia’ inoltrato sarebbe
condizionato da un elemento (il «completamento» della fase
istruttoria) non uniformemente disciplinato dalla legge;
che, in proposito, va rimarcato che – ritenuta congrua
l’esclusione del ricorso ad arbitri rispetto al fine del risparmio di
spesa, esplicitato dalla norma in esame (in un contesto in cui
necessita di affermazione l’esigenza, globalmente sentita, di
contenimento della spesa pubblica) – viene meno qualsiasi dubbio di
irragionevolezza della norma censurata; laddove, peraltro, non appare
possibile operare una comparazione (onde evincerne una
contraddizione, come asserito dal rimettente) tra lo scopo perseguito
(con misure ritenute adeguate) dalla disposizione in esame e la
teleologicamente del tutto eterogenea ratio della legislazione
riguardante gli interventi connessi alle dichiarazioni di stato di
emergenza (di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992),
che la norma impugnata richiama solo al fine di delimitare l’ambito
di operativita’ della nullita’ delle clausole compromissorie de
quibus;
che, d’altra parte, questa Corte ha gia’ chiarito che nessuna
lesione del principio di eguaglianza puo’ ravvisarsi nel fatto che
controversie di uguale natura ed oggetto siano assoggettate o meno al
divieto di arbitrato a seconda della fase in cui si trova il giudizio
al momento dell’intervento del legislatore; infatti, il naturale
fluire del tempo costituisce idoneo elemento di differenziazione
delle situazioni soggettive, cosicche’ non sussiste alcuna
ingiustificata disparita’ di trattamento per il solo fatto che
situazioni pur identiche siano soggette a diversa disciplina ratione
temporis (sentenza n. 376 del 2001 ed ordinanza n. 162 del 2009),
mentre costituisce esercizio della discrezionalita’ del legislatore
la scelta (in se’ non arbitraria) di collegare l’operativita’ della
clausola di salvezza all’intervenuto completamento della fase
istruttoria (regolamentata dall’art. 816-ter cod. proc. civ.) e
quindi ad un determinato formale stato di avanzamento del giudizio
arbitrale;
che altra censura e’ sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24
Cost. ed al «principio comunitario di legittimo affidamento», in
quanto l’applicazione della norma vanificherebbe retroattivamente un
processo ritualmente avviato da mesi e legittimamente coltivato,
sacrificando in termini irragionevoli il diritto di difesa
dell’attore;
che – premessa la assoluta genericita’ del riferimento al
«principio comunitario di legittimo affidamento», che il rimettente
si limita ad associare in combinato disposto con gli altri due
evocati principi’ costituzionali – la giurisprudenza costante di
questa Corte ritiene che «nel nostro sistema costituzionale non e’
affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali
vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la
disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia
costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso
di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art.
25, secondo comma, della Costituzione)»; unica condizione essendo
«che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto»
(sentenze a n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009);
che, invero, come gia’ ritenuto, l’intervento sugli arbitrati, in
quanto finalizzato al risparmio di spesa, non puo’ dirsi
irragionevole, giacche’ tra l’altro «l’assetto recato dalla norma
denunciata riguarda anche il complessivo riequilibrio delle risorse e
non puo’, pertanto, [essa] non essere attenta alle esigenze di
bilancio» (sentenza n. 228 del 2010); ed, inoltre, la non
configurabilita’ di una regolamentazione irrazionale determina
l’infondatezza anche dell’ulteriore profilo di censura riferito alla
asserita violazione del diritto di difesa dell’attore, che – al pari
della controparte – e’ libero di proporre in ogni tempo il processo
davanti all’autorita’ giudiziaria;
che il rimettente denuncia, inoltre, la violazione degli artt.
24, 25 e 41 Cost., in quanto la previsione della decadenza di giudizi
ritualmente instaurati comporterebbe anche un’irragionevole lesione
dell’autonomia privata;
che, tuttavia, questa Corte ha gia’ sottolineato che la
riconosciuta sussistenza del «rilevante interesse pubblico, di cui
risulta permeata la materia relativa alle opere di ricostruzione dei
territori colpiti da calamita’ naturali» (considerazione che si deve
estendere alla analoga materia afferente la realizzazione
d’interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza),
consente di disattendere anche la censura riguardante una asserita
irragionevole limitazione della autonomia privata derivante dal
contestato divieto di devoluzione ad arbitri delle controversie de
quibus (ordinanza n. 162 del 2009), poiche’ l’art. 41 Cost.
espressamente «tutela l’autonomia contrattuale in quanto strumento
della liberta’ di iniziativa economica, il cui esercizio puo’
tuttavia essere limitato per ragioni di utilita’ economico-sociale,
che assumono anch’esse rilievo a livello costituzionale (sentenze n.
279 del 2006 e n. 264 del 2005)» e coerentemente anche l’art. 806
cod. proc. civ. prevede la possibilita’ di devoluzione ad arbitri
delle controversie «salvo espresso divieto di legge»;
che, per i vari motivi espressi, tutte le censure finora
esaminate sono manifestamente infondate;
che, infine – quanto alla questione riferita all’art. 117, primo
comma, Cost., per violazione del principio del giudice precostituito
per legge e di quello di ragionevole durata del processo sanciti,
oltre che direttamente dalla Carta Costituzionale, anche dall’art. 6
della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo,
nonche’ dall’art. 47 della Carta Europea dei diritti fondamentali –
va rilevato che la prospettazione di tale ultima censura appare
basata apoditticamente sulla mera affermazione che tali principi’
risultino «sostanzialmente corrispondenti» a quelli «espressi dalla
Costituzione italiana»;
che cosi’ argomentando il Collegio rimettente – che, quanto al
richiamo alla Carta di Nizza, neppure si pone il problema
pregiudiziale dell’applicabilita’ della normativa comunitaria alla
controversia in esame – non da’, altresi’, contezza alcuna ne’
dell’esistenza di specifiche interpretazioni nel senso auspicato da
parte della Corte di Strasburgo dell’evocato principio della CEDU,
ne’ di una valenza della norma della Carta recepita nel Trattato di
Lisbona che consentano di configurare (almeno in tesi) la eventuale
operativita’ di un plus di tutela convenzionale o comunitaria
rispetto a quella interna (sentenza n. 317 del 2009);
che, pertanto, tale ultima censura e’ manifestamente
inammissibile.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la manifesta inammissibilita’ della questione di
legittimita’ costituzionale dell’articolo 15, comma 3, del
decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la
cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella
regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel
territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti
relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla
protezione civile), convertito, con modificazioni, in legge 26
febbraio 2010, n. 26, sollevata – in riferimento all’art. 117, primo
comma, della Costituzione – dal Collegio arbitrale di Roma, con
l’ordinanza indicata in epigrafe;
Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita’ costituzionale del citato art. 15, comma 3, del
decreto-legge n. 195 del 2009, sollevate – in riferimento agli
articoli 2, 3, 24, 25, 41, 111, primo e secondo comma, Cost. – dal
medesimo Collegio arbitrale con la stessa ordinanza.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Grossi

Il cancelliere: Fruscella

Depositata in cancelleria il 27 gennaio 2011.

Il cancelliere: Fruscella

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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