Corte Costituzionale ordinanza n. 32 ORDINANZA 24 – 27 gennaio 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 6 del 2-2-2011

Ordinanza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16,
lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica), promossi dal Giudice di pace di
Fabriano con ordinanza del 18 novembre 2009, dal Giudice di pace di
Alessandria con ordinanza del 18 novembre 2009, dal Giudice di pace
di Citta’ della Pieve con ordinanza del 9 dicembre 2009, dal Giudice
di pace di Ivrea con ordinanza del 23 dicembre 2009 e dal Giudice di
pace di Casale Monferrato con ordinanza del 17 dicembre 2009
rispettivamente iscritte ai nn. 77, 111, 113, 138 e 139 del registro
ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 12, 16, 17 e 20, 1ª serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che, con ordinanza in data 18 novembre 2009 (r. o. n. 77
del 2010), il Giudice di pace di Fabriano ha sollevato, in
riferimento agli artt. 2, 3, 10, 25 e 117, primo comma, della
Costituzione questione di legittimita’ costituzionale dell’art.
10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma
16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica);
che il giudice a quo premette, in fatto, di dover giudicare un
cittadino straniero extracomunitario accusato del nuovo reato di cui
all’art.10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 in quanto «si tratteneva
nel territorio dello Stato italiano in violazione» delle disposizioni
di cui al citato decreto;
che, a parere del rimettente, la condotta dell’imputato, cosi’
come contestata nel capo di imputazione, configurerebbe la seconda
ipotesi di cui all’art. 10-bis del decreto citato, integrandone tutti
gli elementi, vale a dire il trattenersi illegalmente nel territorio
dello Stato in violazione delle disposizioni del d.lgs. n. 286 del
1998, precisamente dell’art. 5 che prevede la necessita’ del permesso
di soggiorno o di altro titolo legalmente rilasciato;
che, secondo il Giudice di pace di Fabriano, la norma censurata
violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.,
essendo una norma incriminatrice del tutto priva di ratio
giustificatrice, non potendo questa essere ricercata nella
«valutazione di pericolosita’ sociale delle condotte penalmente
perseguite che si risolvono in un "modo di essere", in una condizione
della persona: quella di migrante irregolare»;
che, inoltre, l’irragionevolezza discenderebbe anche dalla
finalita’ della norma diretta all’allontanamento dello straniero
clandestino dal territorio nazionale, finalita’ gia’ conseguibile
tramite l’istituto dell’espulsione amministrativa;
che un ulteriore profilo di irragionevolezza risiederebbe nel
fatto che la norma e’ destinata a restare priva di effetti concreti
nei confronti della stragrande maggioranza degli immigrati irregolari
in quanto la pena pecuniaria sarebbe inesigibile in concreto avendo
come destinatarie persone nullatenenti;
che il rimettente lamenta anche la violazione dell’art. 3 Cost.
sotto il profilo della disparita’ di trattamento in relazione
all’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del
2000 a causa della mancata previsione della esclusione della
colpevolezza in caso di «giustificato motivo»;
che sarebbe leso anche l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce
i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri
di solidarieta’ politica, economica e sociale;
che, infine, secondo il Giudice di pace di Fabriano, la norma in
esame violerebbe anche gli artt. 10 e 117, primo comma, Cost.,
ponendosi in contrasto con i principi affermati in materia di
immigrazione nel diritto internazionale generalmente riconosciuto,
tra i quali la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
adottata dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre
1948 e la convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro
(OIL) n. 143 del 1975 sui lavoratori migranti, ratificata con legge
10 aprile 1981, n. 158 (Ratifica ed esecuzione delle convenzioni
numeri 92, 133 e 143 dell’Organizzazione internazionale del lavoro);
che si avrebbe anche la violazione dell’art. 117, primo comma,
Cost. per il contrasto della nuova fattispecie incriminatrice con le
norme internazionali pattizie di cui agli artt. 5 e 16 del Protocollo
addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la
criminalita’ organizzata transnazionale per combattere il traffico
illecito di migranti, adottato il 15 novembre 2000;
che il Giudice di pace di Alessandria, con ordinanza del 18
novembre 2009 (r. o. n. 111 del 2010), ha sollevato questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo
n. 286 del 1998 per violazione degli artt. 2, 3 e 25, secondo comma,
Cost.;
che il giudice a quo premette in fatto di dover giudicare un
cittadino straniero extracomunitario imputato del nuovo reato di
ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui
all’art.10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998;
che la norma incriminatrice sarebbe, anzitutto, in contrasto con
l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza della scelta
legislativa di criminalizzare l’ingresso e la permanenza dei
clandestini nello Stato italiano, in quanto l’obiettivo con essa
perseguito – espellere lo straniero illegittimamente presente nel
territorio dello Stato – sarebbe gia’ conseguibile con la procedura
di espulsione amministrativa, avente il medesimo ambito applicativo
ai sensi dell’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che l’irragionevolezza della nuova fattispecie penale emergerebbe
anche sotto il profilo sanzionatorio caratterizzato, nel suo
complesso, dalla comminatoria di una pena pecuniaria priva di ogni
efficacia deterrente nei confronti di soggetti di regola impossidenti
quali gli stranieri clandestini, dal divieto di applicazione della
sospensione condizionale della pena e dalla facolta’ concessa al
giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione
piu’ grave, quale l’espulsione per un periodo non inferiore a cinque
anni;
che l’art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto un altro
specifico profilo, concernente la irragionevole disparita’ di
trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all’art. 14,
comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998, che prevede la
punibilita’ dello straniero inottemperante all’ordine di
allontanamento del questore solo quando lo stesso si trattenga nel
territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza
giustificato motivo»;
che, ritiene il rimettente, a causa del mancato richiamo al
giustificato motivo potrebbe accadere che il venir meno, per un
qualunque motivo, del permesso di soggiorno, integri automaticamente
l’ipotesi di reato, senza alcuna possibilita’, per l’interessato, di
addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine per
potersi allontanare;
che, secondo il Giudice di pace di Alessandria, sarebbero violati
anche gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., in quanto la norma
censurata darebbe vita ad una fattispecie penale discriminatoria,
volta a colpire non gia’ un condotta, ma una condizione personale e
sociale – il mancato possesso di un titolo abilitativo all’ingresso o
alla permanenza nel territorio dello Stato – arbitrariamente
considerata come indice di pericolosita’ sociale;
che, in tal senso, dovrebbero valere le considerazioni espresse
nella sentenza di questa Corte n. 78 del 2007, in tema di
applicabilita’ delle misure alternative alla detenzione agli
stranieri clandestini, laddove si e’ detto che «il mancato possesso
di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato»
costituisce «una condizione soggettiva» «che, di per se’ non e’
univocamente sintomatica […] di una particolare pericolosita’
sociale»;
che, infine, il reato di ingresso e soggiorno illegale nel
territorio dello Stato contrasterebbe anche con l’art. 2 Cost.
perche’, sanzionando penalmente anche la mera presenza clandestina,
si metterebbe lo straniero nell’impossibilita’ di regolarizzare,
sussistendone i presupposti, la propria posizione in modo tale che, a
titolo esemplificativo, il figlio di genitori stranieri irregolari
potrebbe essere condannato ad essere privato della propria identita’
e della cittadinanza;
che, conclude il rimettente, la questione sollevata e’
sicuramente rilevante, essendo l’imputato chiamato a rispondere del
reato di «ingresso/soggiorno illegale nel territorio dello Stato» ai
sensi dell’art. 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, come
introdotto dalla legge citata;
che il Giudice di pace di Citta’ della Pieve, con ordinanza del 9
dicembre 2009 (r. o. n. 113 del 2010), ha sollevato questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo
n. 286 del 1998 per violazione degli artt. 2, 3, 10 e 25, secondo
comma, Cost.;
che, anche in questo caso, il rimettente premette, in fatto, di
dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario imputato del
nuovo reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello
Stato;
che, a parere del giudicante, la norma censurata violerebbe
l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, trattandosi di
norma incriminatrice priva di fondamento razionale, in quanto
l’obiettivo con essa perseguito – espellere lo straniero
illegittimamente presente nel territorio dello Stato – sarebbe gia’
conseguibile con la procedura di espulsione amministrativa, avente il
medesimo ambito applicativo;
che, inoltre, risulterebbero violati gli artt. 3 e 25, secondo
comma, Cost., perche’ si tratterebbe di una fattispecie penale
discriminatoria, volta a colpire, non gia’ una condotta, ma una
condizione personale e sociale – il mancato possesso di un titolo
abilitativo all’ingresso o alla permanenza nel territorio dello Stato
– arbitrariamente considerata come indice di pericolosita’ sociale;
che nell’ordinanza di rimessione e’ richiamata la sentenza della
Corte costituzionale n. 78 del 2007, nella parte in cui si afferma
che «il mancato possesso del titolo abilitativo alla permanenza nello
Stato, da parte dello straniero non puo’ considerarsi reato, in
quanto non e’ di per se’ idoneo a produrre una particolare
pericolosita’ sociale; la mera condizione di clandestino non puo’
considerarsi idonea a porre seriamente in pericolo la sicurezza
pubblica»;
che, secondo il rimettente, la punizione di comportamenti innocui
sotto il profilo dell’offensivita’ sarebbe in contrasto con il
principio cosiddetto del doppio binario, in base al quale le misure
di sicurezza sono destinate a contrastare i soggetti socialmente
pericolosi, mentre l’inflizione di una pena corrisponde ad una serie
di finalita’ non indirizzate alla prevenzione generale e speciale;
che, dunque, l’ingresso o la permanenza illegale del singolo
straniero non rappresenterebbero, di per se’, fatti lesivi di beni
meritevoli di tutela penale, ma sarebbero espressione di una
condizione individuale – quella di migrante – che trova tutela in
numerose convenzioni internazionali, cui l’Italia ha aderito, donde
pure la violazione dell’art. 10 Cost.;
che il Giudice di pace di Citta’ della Pieve ritiene che la norma
censurata contrasti con l’art. 25, secondo comma, Cost., in quanto la
sanzione si estenderebbe a condotte poste in essere prima
dell’entrata in vigore della legge medesima;
che, infine, sarebbe violato l’art. 2 Cost. che riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo quali, in particolare, il
diritto alla propria identita’ personale e alla cittadinanza fin dal
momento della nascita, e l’art. 3 Cost., sotto il profilo della
ragionevolezza per la irrazionalita’ del trattamento sanzionatorio da
essa complessivamente prefigurato, caratterizzato dal divieto di
poter utilizzare l’istituto dell’oblazione di cui all’art. 162 del
codice penale, nonche’ per la irragionevole disparita’ di trattamento
rispetto all’ipotesi criminosa di cui all’art. 14, comma 5-ter, del
d.lgs. n. 286 del 1998, connessa alla mancata previsione della
«scriminante» del «giustificato motivo»;
che, quanto alla rilevanza, il rimettente si limita ad osservare
che la questione di legittimita’ costituzionale sollevata si pone
come una vera e propria questione pregiudiziale, un antecedente
logico-giuridico necessario per la decisione della causa;
che il Giudice di pace di Ivrea, con ordinanza del 23 dicembre
2009 (r. o. n. 138 del 2010), ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 per
violazione degli artt. 2, 3, 25 e 97 Cost.;
che il giudice a quo premette, in fatto, di dover giudicare un
cittadino straniero extracomunitario imputato del reato di ingresso o
soggiorno illegale nel territorio dello Stato;
che l’art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, sarebbe in
netto contrasto con i principi fondamentali della Costituzione ed, in
particolare, con il principio della solidarieta’ politica, economica
e sociale, oltre che con il principio dell’uguaglianza, perche’
colpevolizza coloro i quali, nella loro condizione di stranieri privi
di autorizzazione ad entrare nel territorio dello Stato o a
permanervi, fuggono dai loro paesi di origine per le precarie
condizioni economiche e cercano nel nostro Paese l’affermazione della
loro personalita’;
che la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il
profilo della ragionevolezza, trattandosi di norma incriminatrice
priva di fondamento razionale, in quanto l’obiettivo con essa
perseguito – espellere lo straniero illegittimamente presente nel
territorio dello Stato – sarebbe gia’ conseguibile con la procedura
di espulsione amministrativa avente il medesimo ambito applicativo;
che ulteriore profilo di irragionevolezza dovrebbe ricavarsi
dalla irrazionalita’ del trattamento sanzionatorio, caratterizzato
dalla comminatoria di una pena pecuniaria priva di ogni efficacia
deterrente nei confronti di soggetti di regola impossidenti, quali
gli stranieri clandestini;
che, inoltre, la fattispecie incriminatrice sarebbe priva di
fondamento giustificativo perche’ il bene giuridico della
tranquillita’ e della sicurezza pubblica, che il legislatore intende
tutelare, non puo’ essere offeso o messo in pericolo dalla semplice
condizione di straniero clandestino e, pertanto, la norma oggetto di
censura si tradurrebbe nell’incriminazione della mera condizione
soggettiva di migrante privo dell’autorizzazione a soggiornare,
mancando un fatto oggettivo di pericolosita’ sociale;
che in tal senso dovrebbero valere le considerazioni espresse
nella sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 2007, in tema di
applicabilita’ delle misure alternative alla detenzione agli
stranieri clandestini, ove si e’ detto che «il mancato possesso di un
titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato»
costituisce «una condizione soggettiva» «che, di per se’ non e’
univocamente sintomatica […] di una particolare pericolosita’
sociale»;
che il rimettente lamenta anche la disparita’ di trattamento in
relazione all’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n.
286 del 2000, a causa della mancata previsione della esclusione della
colpevolezza in caso di «giustificato motivo» per un reato
contravvenzionale che certamente si caratterizza per una minore
gravita’;
che, da ultimo, e’ ipotizzata anche la violazione dell’art. 97,
primo comma, Cost., in quanto la previsione di due distinti
procedimenti – amministrativo e penale – diretti allo stesso fine
(l’espulsione dello straniero) influirebbe negativamente sulla
ragionevole durata dei processi, oltre a provocare un aumento di
costi e di «incombenti»;
che il Giudice di pace di Casale Monferrato, con ordinanza del 17
dicembre 2009 (r. o. n. 139 del 2010), ha sollevato questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del
1998 per violazione degli artt. 2, 3, 10, 25, 27 e 117, primo comma,
Cost.;
che il giudice a quo premette, in fatto, di dover giudicare un
cittadino straniero extracomunitario imputato del reato di ingresso o
soggiorno illegale nel territorio dello Stato;
che l’art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 ha introdotto
una fattispecie incriminatrice di natura contravvenzionale che
prevede due tipi di condotta illecita: l’ingresso sul territorio
dello Stato in violazione delle norme del «testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero» e il soggiorno sul territorio
italiano in violazione delle medesime norme e dell’art. 1 della legge
28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli
stranieri per visite, affari, turismo e studio);
che il rimettente precisa che le due ipotesi di reato sono in
rapporto di alternativita’ tra di loro e che, pertanto, non sarebbe
rilevante, nel caso di specie, la modalita’ dell’ingresso dello
straniero nel territorio, ingresso avvenuto, in ogni caso,
anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009;
che la norma censurata si porrebbe in primo luogo in contrasto
con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perche’ la
permanenza dello straniero nel territorio dello Stato non
rappresenterebbe di per se’ un fatto lesivo di beni meritevoli di
tutela penale ma solo espressione di una condizione individuale;
che sarebbero, altresi’, violati gli artt. 3 e 25, secondo comma,
Cost., in relazione ai principi di inesigibilita’ della condotta, di
tassativita’ e determinatezza della fattispecie penale, della
irragionevole disparita’ di trattamento e del principio di
irretroattivita’ della norma penale;
che non sarebbe sufficientemente descritta la condotta omissiva
incriminata e che, in particolare, non sarebbe possibile individuare
il termine alla cui scadenza il "trattenersi" in condizione di
irregolarita’ (amministrativa) nel territorio dello Stato acquisti
(anche) rilevanza penale;
che, a tal proposito, il rimettente richiama le argomentazioni
svolte da questa Corte con la sentenza n. 34 del 1995, ove si e’
detto che «il comando d’agire, per essere conforme alla chiarezza
imposta dal principio di legalita’, deve riferirsi a situazioni
tipiche ben profilate e di significato pregnante, tali cioe’ da
evocare immediatamente il problema dell’attivarsi in un certo modo
per la salvaguardia di riconoscibili interessi, e da costituire
percio’, ad un tempo, il fondamento del carattere offensivo
dell’omissione, e un solido punto di riferimento per il giudizio
sulla colpevolezza dell’omittente»;
che la norma censurata sanzionerebbe anche condotte poste in
essere prima dell’entrata in vigore della legge medesima, in
violazione del principio di irretroattivita’ della norma penale;
che il rimettente lamenta anche la violazione dell’art. 3 Cost.
per la irragionevole disparita’ di trattamento rispetto all’ipotesi
criminosa di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del
1998, connessa alla mancata previsione della «scriminante» del
«giustificato motivo»;
che mentre l’art. 14, comma 5-ter, sopra citato consente
all’irregolare che non ha ottemperato all’ordine di allontanamento di
addurre giustificazioni in termini di impossibilita’ a provvedervi,
per difficolta’ oggettive o soggettive, tale facolta’ non e’ prevista
per l’irregolare per il quale non sia gia’ stato emesso il
provvedimento di espulsione;
che, a parere del rimettente, non sarebbe ne’ comprensibile ne’
ragionevole il diverso trattamento delle due fattispecie, entrambe
omissive ed anzi tali da realizzare in concreto una stessa condotta
di illecito amministrativo;
che il Giudice di Pace di Casal Monferrato, avanza ulteriori
dubbi di legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis per contrasto
con l’art. 3 Cost., in ragione dell’esclusione della applicabilita’
dell’oblazione di cui all’art. 162 cod. pen.;
che non sarebbe possibile cogliere il fondamento giustificativo
della opzione legislativa, se non attribuendo alla stessa lo scopo di
favorire ad ogni costo l’applicazione della sanzione sostitutiva, che
l’istituto dell’oblazione vedrebbe ridimensionato;
che la norma oggetto di censura si porrebbe in contrasto anche
con l’art. 27, secondo e terzo comma, Cost., per la finalizzazione
della pena a fini diversi da quelli rieducativi, in quanto la
previsione della pena pecuniaria sembrerebbe assolutamente priva di
qualsiasi efficacia preventiva, essendo destinata a rimanere
ineseguita e insuscettibile di esecuzione forzata per la condizione
di estrema indigenza degli immigrati irregolari;
che, inoltre, nell’ordinanza di rimessione si evidenzia come, nei
confronti dello straniero di cui si accerti la condizione di
soggiorno illegale, si debbano aprire due distinti procedimenti: uno
amministrativo, destinato a sfociare nel provvedimento prefettizio di
espulsione da eseguirsi a cura del questore, e l’altro giudiziario,
nelle forme del citato art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. del 28 agosto
2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di
pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);
che tale duplicazione, in sede penale, della procedura esistente
in via amministrativa, violerebbe il principio di ragionevolezza di
cui all’art. 3 Cost.;
che la nuova fattispecie si porrebbe in contrasto gli artt. 2 e
3, primo e secondo comma, Cost., venendo a colpire tramite l’istituto
del concorso di persone nel reato tutte le condotte che, anche se
animate da mero spirito solidaristico, si risolvano in un aiuto
all’ingresso o al trattenimento dello straniero «clandestino» nel
territorio dello Stato, cosi’ impedendo l’adempimento dei doveri di
solidarieta’ sociale nei confronti di persone in condizioni di
indigenza;
che, infine, la configurazione come reato del soggiorno non
regolare dello straniero nel territorio dello Stato contrasterebbe
con i principi affermati in materia di immigrazione dal diritto
internazionale e dalle convenzioni internazionali, tra le quali la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e la convenzione OIL
n. 143 del 1975 sui lavoratori migranti, ratificata con legge n. 158
del 1981, comportando la violazione degli artt. 10 e 117, primo
comma, Cost.;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e’ intervenuto soltanto
nei giudizi promossi con ordinanze iscritte al r. o. n. 77 e n. 111
del 2010, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili
per difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla violazione dei
parametri costituzionali invocati o, comunque, infondate.
Considerato che le ordinanze di rimessione, indicate in epigrafe,
sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;
che i giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi
parametri, della legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16,
lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a
10.000 euro, salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, lo
straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio
dello Stato;
che le questioni di costituzionalita’ sollevate con le ordinanze
di rimessione n. 111, n. 113, n. 138 e n. 139 sono manifestamente
inammissibili per carenze, in punto di descrizione della fattispecie
concreta e di motivazione sulla rilevanza, tali da precludere lo
scrutinio nel merito delle questioni;
che le ordinanze n. 111, n. 113 e n. 139, provenienti
rispettivamente dai Giudice di pace di Alessandria, Citta’ della
Pieve e Casal Monferrato, si limitano, quanto alla descrizione della
fattispecie, a far cenno alla circostanza che, nel giudizio a quo, si
procede per il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del
1998, cosi’ che la declaratoria di incostituzionalita’ della norma
comporterebbe l’assoluzione dell’imputato;
che, in mancanza di qualsiasi riferimento alla fattispecie
concreta che ha dato origine all’imputazione, resta inibita per
questa Corte la necessaria verifica circa l’influenza della questione
di legittimita’ sulla decisione richiesta al rimettente;
che anche l’ordinanza del Giudice di pace di Ivrea presenta il
medesimo difetto di descrizione della fattispecie perche’ il
rimettente, pur riportando il capo d’imputazione, non aggiunge nulla
quanto alla descrizione del fatto;
che lo stesso capo d’imputazione e’ formulato in modo
alternativo, senza sciogliere il dubbio in ordine a quale delle due
diverse ipotesi di reato, ingresso illegale o indebito trattenimento,
sia stata posta in essere dall’imputato e, pertanto, anche in questo
caso manca ogni concreta indicazione sulla vicenda oggetto di
giudizio e sulla sua effettiva riconducibilita’ al paradigma punitivo
considerato;
che l’ordinanza n. 77 del 2010 del Giudice di pace di Fabriano e’
sufficientemente motivata quanto alla descrizione della fattispecie;
che, tuttavia, le censure ivi proposte sono inammissibili o
manifestamente infondate;
che, in particolare, e’ manifestamente infondata la prima
censura, relativa alla violazione del principio di ragionevolezza di
cui all’art. 3 Cost., motivata sull’assunto che l’incriminazione e’
del tutto priva di ratio giustificatrice, giacche’ l’obiettivo
dell’allontanamento dello straniero clandestino dal territorio
nazionale ad essa sotteso e’ gia’ conseguibile tramite l’istituto
dell’espulsione amministrativa, mentre la comminatoria della pena
pecuniaria risulterebbe puramente «teorica», avendo come destinatarie
persone nullatenenti e prive, in genere, di «sicura domiciliazione»;
che, infatti, la Corte ha gia’ avuto modo di affermare come «il
bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice [sia], in realta’,
agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e
alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto
normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale
non puo’ considerarsi irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del
resto, del bene giuridico "di categoria", che accomuna buona parte
delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998 – e che
risulta, altresi’, offendibile dalle condotte di ingresso e
trattenimento illegale dello straniero» (sentenza n. 250 del 2010);
che, in tale occasione, si e’ evidenziato che le condotte
integranti il reato di cui si discute, costituendo nel contempo
violazioni della disciplina sull’ingresso e il soggiorno dello
straniero nello Stato, sono anche sanzionate, in via amministrativa,
con l’espulsione disposta dal prefetto ai sensi dell’art. 13, comma
2, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che, se e’ vero che si riscontra una sovrapposizione della
disciplina penale a quella amministrativa, e’ altrettanto vero che,
alla luce della complessiva configurazione della norma in esame, il
legislatore mostra di considerare l’applicazione della sanzione
penale come un esito "subordinato" rispetto alla materiale
estromissione dal territorio nazionale dello straniero ivi
illegalmente presente;
che tale subordinazione trova la sua ratio precipuamente «nel
diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai
estromessi dal proprio territorio» (con riferimento alla previsione
dell’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, ordinanze
n. 143 e n. 142 del 2006), tanto piu’ avvertibile quando il fatto
penalmente rilevante si sostanzi nella mera violazione della
disciplina sull’ingresso e la permanenza nel territorio stesso;
che «cio’ non consente di ritenere che il procedimento penale per
il reato in esame sia destinato, a priori, a rappresentare un mero
"duplicato" del procedimento amministrativo di espulsione (di norma,
per giunta, piu’ celere): e cio’, a tacer d’altro, per la ragione che
– come l’esperienza attesta – in un largo numero di casi non e’
possibile, per la pubblica amministrazione, dare corso all’esecuzione
dei provvedimenti espulsivi» (sentenza n. 250 del 2010);
che la scelta di prevedere una pena di tipo pecuniario con una
minore capacita’ dissuasiva attiene ad una valutazione di politica
criminale e giudiziaria rientrante nella discrezionalita’ del
legislatore non sindacabile da questa Corte;
che, in ogni caso, e’ opportuno evidenziare come
l’assoggettamento a sanzioni pecuniarie dei fatti di immigrazione
irregolare sia tutt’altro che ignoto all’esperienza comparatistica;
ad esempio pene pecuniarie, alternative o congiunte alla pena
detentiva, sono previste dalle legislazioni tedesca, francese e del
Regno Unito, mentre la legge spagnola contempla, per il soggiorno
irregolare, la sola sanzione amministrativa pecuniaria;
che e’ manifestamente inammissibile la questione sollevata dal
Giudice di pace di Fabriano in riferimento alla violazione del
principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. in ragione della
facolta’ del giudice di sostituire, nel caso di condanna, la pena
pecuniaria comminata per il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs.
n. 286 del 1998 con la misura dell’espulsione;
che la facolta’ di sostituzione denunciata non deriva dalla
disposizione impugnata, ma da norme distinte, non coinvolte nello
scrutinio di costituzionalita’: in specie, dall’art. 16, comma 1, del
d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui – a seguito della modifica
operata dalla legge n. 94 del 2009 – estende l’applicabilita’
dell’espulsione come sanzione sostitutiva alla contravvenzione di cui
all’art. 10-bis del medesimo decreto legislativo; nonche’ dalla
disposizione correlata dell’art. 62-bis del d.lgs. 28 agosto 2000, n.
274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a
norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), in
forza della quale – diversamente da quanto stabilito dal precedente
art. 62 con riferimento alle sanzioni sostitutive previste dalla
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – «nei
casi stabiliti dalla legge, il giudice di pace applica la misura
sostitutiva di cui all’art. 16 del testo unico di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286»;
che altrettanto manifestamente inammissibile e’ la censura
dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 prospettata in
riferimento all’art. 3 Cost. per il divieto, asseritamente del tutto
ingiustificato, della possibilita’ di usufruire della sospensione
condizionale della pena;
che la preclusione della sospensione condizionale non scaturisce,
infatti, neppure essa dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998,
quanto piuttosto dalla nuova lettera s-bis) dell’art. 4, comma 2, del
d.lgs. n. 274 del 2000, che attribuisce la competenza per il reato in
esame al giudice di pace, rendendo cosi’ operante il disposto
dell’art. 60 del medesimo decreto legislativo: norme non sottoposte a
scrutinio;
che, inoltre, manca ogni motivazione in ordine alla rilevanza
della questione in quanto non si afferma che, nel caso di specie,
l’imputato potrebbe fruire della sospensione condizionale alla luce
delle generali regole codicistiche;
che e’ manifestamente infondata la questione sollevata dal
Giudice di pace di Fabriano, in riferimento agli artt. 3 e 25,
secondo comma, Cost., perche’ la norma darebbe vita ad una
fattispecie penale discriminatoria volta a colpire non gia’ un
condotta, ma una condizione personale;
che, anche in questo caso, la Corte ha gia’ evidenziato come
oggetto dell’incriminazione della contravvenzione di «ingresso e
soggiorno illegale nel territorio dello Stato» introdotta dall’art.
10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, non sia un «modo di essere» della
persona, ma uno specifico comportamento trasgressivo di norme
vigenti, come si ricava dal testo stesso della norma che fa
riferimento alle condotte di «fare ingresso» e «trattenersi» nel
territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del testo
unico sull’immigrazione o della disciplina in tema di soggiorni di
breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all’art. 1
della legge 28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di breve
durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio),
(sentenza n. 250 del 2010);
che, pertanto, al contrario di quanto affermato nell’ordinanza di
rimessione, la norma oggetto di censura incrimina due diverse
condotte: la prima attiva e istantanea, consistente nel varcare
illegalmente i confini nazionali, e la seconda a carattere permanente
il cui nucleo antidoveroso e’ di tipo omissivo e si concretizza
nell’omettere di lasciare il territorio nazionale pur non essendo in
possesso di un titolo che renda legittima la permanenza;
che e’ manifestamente infondata la questione sollevata in
riferimento alla violazione dei diritti inviolabili dell’uomo e dei
doveri di solidarieta’ politica, economica e sociale di cui all’art.
2 Cost.;
che la Corte, con la piu’ volte citata sentenza n. 250 del 2010,
ha gia’ ritenuto infondata tale questione affermando che «le ragioni
della solidarieta’ umana non sono di per se’ in contrasto con le
regole in materia di immigrazione previste in funzione di un ordinato
flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza ed integrazione degli
stranieri» (ordinanze n. 192 e n. 44 del 2006, n. 217 del 2001): e
cio’ nella cornice di un «quadro normativo […] che vede regolati in
modo diverso – anche a livello costituzionale (art. 10, terzo comma,
Cost.) – l’ingresso e la permanenza degli stranieri nel Paese, a
seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo o rifugiati,
ovvero di c.d. "migranti economici"» (sentenza n. 5 del 2004;
ordinanze n. 302 e n. 80 del 2004);
che, in materia, il legislatore fruisce di ampia discrezionalita’
nel porre limiti all’accesso degli stranieri nel territorio dello
Stato, all’esito di un bilanciamento dei valori che vengono in
rilievo: discrezionalita’ il cui esercizio e’ sindacabile da questa
Corte solo nel caso in cui le scelte operate si palesino
manifestamente irragionevoli (ex plurimis, sentenze n. 148 del 2008,
n. 361 del 2007, n. 224 e n. 206 del 2006) e che si estende, secondo
quanto in precedenza osservato, anche al versante della selezione
degli strumenti repressivi degli illeciti perpetrati;
che le ragioni della solidarieta’ trovano espressione – oltre che
nella vigente disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento
e del ricongiungimento familiare – nell’applicabilita’, allo
straniero irregolare, della normativa sul soccorso al rifugiato e la
protezione internazionale, di cui al decreto legislativo 19 novembre
2007, n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme
minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della
qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di
protezione internazionale, nonche’ norme minime sul contenuto della
protezione riconosciuta), fatta espressamente salva dal comma 6 dello
stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede la
sospensione del procedimento penale per il reato in esame nel caso di
presentazione della relativa domanda e nell’ipotesi di suo
accoglimento;
che e’ manifestamente inammissibile la questione sollevata in
riferimento agli artt. 10 e 117, primo comma, Cost., in quanto la
configurazione come reato del soggiorno non regolare dello straniero
nel territorio dello Stato contrasterebbe con i principi affermati in
materia di immigrazione dal diritto internazionale e dalle
convenzioni internazionali, tra le quali la dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, e la convenzione OIL n. 143 del 1975 sui
lavoratori migranti ratificata con legge n. 158 del 1981;
che il richiamo ai principi affermati in materia di immigrazione
dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali operato
dal rimettente e’ del tutto generico mentre le uniche norme
internazionali specificamente citate sono del tutto inconferenti
rispetto all’obbligo che il rimettente vorrebbe individuare;
che, infine, e’ manifestamente inammissibile la questione
relativa alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per
l’asserito contrasto dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 con
le norme internazionali pattizie di cui agli artt. 5 e 16 del
Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro
la criminalita’ organizzata transnazionale per combattere il traffico
illecito di migranti adottato il 15 novembre 2000;
che, infatti, a prescindere da ogni valutazione di merito circa
l’infondatezza della censura, il rimettente non riferisce alcuna
circostanza utile a far ritenere che l’imputato sia stato fatto
oggetto delle condotte di cui all’art. 6 della convenzione, ne’ che
sia accusato di una delle condotte cui fa riferimento il protocollo
medesimo.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
1) dichiara manifestamente inammissibili le questioni di
legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge
15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, e 25,
secondo comma, 27, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, dal
Giudice di pace di Fabriano, dal Giudice di pace di Alessandria, dal
Giudice di pace di Citta’ della Pieve, dal Giudice di pace di Ivrea e
dal Giudice di pace di Casal Monferrato, con le ordinanze indicate in
epigrafe.
2) dichiara manifestamente infondate le restanti questioni di
legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e
25, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di
Fabriano con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Napolitano

Il cancelliere: Fruscella

Depositata in cancelleria il 27 gennaio 2011.

Il cancelliere: Fruscella

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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