Corte Costituzionale sentenza n. 25 SENTENZA 12 – 26 gennaio 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 5 del 28-1-2011

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilita’, ai sensi dell’articolo 2, primo
comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della
richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’articolo 150
(Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento) del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), come modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto
legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, nel testo risultante dall’articolo
12 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n.
168, giudizio iscritto al n. 150 registro referendum.
Vista l’ordinanza del 7 dicembre 2010 con la quale l’Ufficio
centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
dichiarato conforme a legge la richiesta;
Udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo;
Uditi gli avvocati Ugo Mattei per il Comitato referendario
Siacquapubblica, Pietro Adami per l’Associazione nazionale giuristi
democratici, Federico Sorrentino per l’ANFIDA, Associazione nazionale
fra gli industriali degli acquedotti, Tommaso Edoardo Frosini e
Giovanni Pitruzzella per il Comitato contro i referendum per la
statalizzazione dell’acqua – AcquaLiberAtutti – , Tommaso Frosini per
Fare Ambiente Movimento ecologista europeo onlus, Massimo Luciani per
i presentatori D’Antonio Luciano, Lutrario Severo e Maggi Andrea e
l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – L’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la
Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970,
n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla
iniziativa legislativa del popolo), e successive modificazioni, con
ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010, pervenuta a questa Corte il
successivo 9 dicembre, ha dichiarato conforme alle disposizioni di
legge, tra le altre, la richiesta di referendum popolare (pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 1° aprile 2010), promossa da
tredici cittadini italiani, sul seguente quesito: «Volete voi che sia
abrogato l’art. 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di
affidamento) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 «Norme
in materia ambientale», come modificato dall’art. 2, comma 13 del
decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio 2008».
Con riferimento a tale richiesta l’Ufficio ha rilevato che l’art.
150, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, e’ stato parzialmente
abrogato dall’art. 12, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente
della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo
23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).
Pertanto, sentito il Comitato promotore, il quale ha chiesto che
si proceda alla modifica del quesito con l’aggiunta «per come
modificato dall’art. 12, comma 1, lett. b) del d.P.R. 7 settembre
2010 n. 168», ha ammesso il quesito stesso nella seguente
formulazione: «Volete voi che sia abrogato l’art. 150 (Scelta della
forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto Legislativo
n. 152 del 3 aprile 2006 «Norme in materia ambientale», come
modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16
gennaio 2008, nel testo risultante dall’art. 12 del d. P. R. 7
settembre 2010, n. 168».
Il referendum, cui e’ stato assegnato il numero 2, e’ stato
denominato: «Servizio idrico integrato. Forma di gestione e procedure
di affidamento in materia di risorse idriche. Abrogazione».
2. – Ricevuta la menzionata ordinanza, il Presidente della Corte
costituzionale ha fissato la data del 12 gennaio 2011 per la
deliberazione in camera di consiglio sull’ammissibilita’ del
referendum, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta ed
al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma dell’art. 33,
secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
3. – In data 23 dicembre 2010 tre presentatori della suddetta
richiesta di referendum hanno depositato memoria di costituzione e
deduzioni, esponendo una serie di argomenti a sostegno
dell’ammissibilita’ della richiesta medesima.
In particolare, dopo avere rimarcato che la normativa oggetto del
quesito non rientra, neppure in via indiretta, nell’ambito delle
leggi per le quali il referendum popolare non e’ ammesso, ai sensi
dell’art. 75, secondo comma, della Costituzione, essi osservano che
la normativa de qua non ha rango costituzionale e non si traduce in
norme a contenuto costituzionalmente vincolato, oppure in norme
obbligatorie. Al riguardo, e’ richiamata la sentenza di questa Corte
n. 325 del 2010, la quale ha posto in luce che, in materia di servizi
pubblici locali, il legislatore dispone di ampia discrezionalita’.
Quanto ai requisiti di omogeneita’ e chiarezza del quesito
referendario, i promotori rilevano che esso e’ ammissibile sia per la
sussistenza di una sua «matrice razionalmente unitaria» (e’
richiamata la sentenza n. 16 del 1978), sia per la «chiarezza del suo
fine intrinseco» (sentenza n. 29 del 1987).
Tanto dovrebbe desumersi dalla normativa di risulta, che sarebbe
applicabile a seguito dell’auspicato esito positivo della
consultazione popolare.
A tal fine, richiamato il dettato dell’art. 150 del d.lgs. n. 152
del 2006, i presentatori deducono che, dopo il deposito della
richiesta di referendum, e’ sopravvenuto il d.P.R. n. 168 del 2010
che, all’art. 12, comma 1, lettera b), stabilisce l’abrogazione
dell’«art. 150, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, e successive modificazioni, ad eccezione della parte in cui
individua la competenza dell’Autorita’ d’ambito per l’affidamento e
l’aggiudicazione».
Ad avviso dei promotori, l’auspicata abrogazione dell’art. 150 si
risolverebbe nella necessaria applicabilita’, alla gestione del
servizio idrico integrato, dell’art. 114 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali), quale normativa di risulta.
Infatti, andrebbe considerato che il citato art. 150 rinvia
ampiamente all’art. 113 del detto testo unico (TUEL). Anzi, il
contenuto precettivo dell’art. 150 sarebbe limitato e la sua funzione
prevalente (ancorche’ non esclusiva) sarebbe quella di fonte
«rinviante» all’art. 113 TUEL (fonte «rinviata»).
Stando cosi’ le cose, «l’abrogazione dell’art. 150 non potrebbe
certo determinare l’applicabilita’ dell’art. 113 TUEL. Proprio il
fatto che si abroghi la norma rinviante, infatti, ha per logico e
consequenziale effetto che, almeno limitatamente alla fattispecie
coperta dalla norma rinviante, risulti inapplicabile la norma
rinviata. Se il contenuto normativo dell’art. 150 e’ (anche) il
rinvio all’art. 113 TUEL, e’ chiaro, l’abrogazione della prima delle
due norme non puo’ che avere per effetto l’inapplicabilita’ in parte
qua della seconda».
In questo quadro, secondo i presentatori, sembrerebbero
applicabili il d.P.R. n. 168 del 2010 o l’art. 23-bis del d.l. n. 112
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008.
Ma, in realta’, non sarebbe cosi’.
Invero, l’art. 150 rinvia, per la determinazione delle forme di
gestione del servizio idrico integrato, all’art. 113, comma 7, del
TUEL. Ma l’art. 12, comma 2, del d.P.R. n. 168 del 2010 stabilisce
che «Le leggi, i regolamenti, i decreti, o altri provvedimenti, che
fanno riferimento al comma 7 dell’articolo 113 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni,
abrogato dal comma 1, lettera a), si intendono riferiti al comma 1
dell’art. 3 del presente regolamento». Questa sarebbe, oggi, la norma
rinviata. Per conseguenza, varrebbe il medesimo ragionamento gia’
svolto in riferimento all’art. 113 TUEL: l’abrogazione della norma
rinviante comporterebbe l’inapplicabilita’ in parte qua (e cioe’ in
riferimento alla specifica fattispecie che ne costituisce oggetto)
della norma rinviata.
Del pari non applicabile, poi, sarebbe l’art. 23-bis del d.l. n.
112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del
2008. Infatti, il d.P.R. n. 168 del 2010 sarebbe attuativo
dell’autorizzazione a delegificare contenuta nel comma 10 di quella
norma. Autorizzando il Governo a delegificare, il citato art. 23-bis
si sarebbe «sostanzialmente svuotato», in particolare per quanto
concerne il servizio idrico. Invero, nel comma 10 di detta norma,
alla lettera d), si stabiliva che il regolamento delegificante
(quello che sarebbe poi stato il d.P.R. n. 168 del 2010) doveva
«armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai
diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in
via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di
rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia
elettrica e gas, nonche’ in materia di acqua».
L’inapplicabilita’ del d.P.R. n. 168 del 2010, dunque, non
potrebbe determinare la reviviscenza della disciplina dell’art.
23-bis, ormai sostituita (proprio ai sensi della previsione
legislativa ora riportata), da quella regolamentare appunto nello
specifico settore del servizio idrico, del quale l’art. 23-bis non
farebbe menzione se non per autorizzare il Governo alla
delegificazione.
In questa condizione di sostanziale vuoto normativo, che sarebbe
generata dall’auspicata abrogazione referendaria, resterebbe
applicabile, per analogia, soltanto una previsione in materia di
servizi locali, cioe’ l’art. 114 TUEL. Richiamati alcuni profili di
tale norma, i promotori rilevano che, in mancanza di disposizioni
relative ai servizi pubblici di rilevanza economica, solo la
disciplina concernente la gestione dei servizi sociali potrebbe
trovare ragionevolmente applicazione, in forza dei comuni criteri
propri dell’interpretazione analogica.
Cosi’ ricostruita la normativa di risulta, la richiesta
referendaria in esame sarebbe «caratterizzata da una limpida
chiarezza degli effetti normativi prodotti ed anche dall’univocita’
del "fine intrinseco" perseguito». Infatti, l’intento dei promotori
sarebbe quello di «assoggettare lo specifico e affatto peculiare
settore del servizio idrico alla disciplina, specchiatamente
pubblicistica, dell’art. 114 TUEL, escludendo qualunque forma di
gestione privata».
La richiesta non risulterebbe disomogenea, in quanto l’art. 150
sarebbe caratterizzato proprio dall’opposta scelta di fondo (cioe’
l’apertura alla gestione privata del servizio idrico), scelta
rispetto alla quale il complesso delle sue disposizioni sarebbe in
sostanza soltanto strumentale.
A tal proposito, si dovrebbe aggiungere che non sarebbe stato
necessario coinvolgere nella richiesta anche l’art. 15, comma 1-ter,
del d.l. n. 135 del 2009, perche’, per un verso, esso non sarebbe in
contraddizione con la richiesta stessa (in quanto il soggetto
gestore, ivi contemplato, ben potrebbe essere l’azienda speciale),
per l’altro farebbe esplicito riferimento al servizio idrico, come
disciplinato dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, cioe’ da una
disposizione destinata a divenire inapplicabile in forza
dell’auspicato esito positivo della votazione referendaria.
Dalle considerazioni ora esposte emergerebbe anche il pieno
rispetto del cosiddetto limite internazionale e comunitario. Al
riguardo, sarebbe sufficiente richiamare ancora la sentenza di questa
Corte n. 325 del 2010, nella quale sarebbe stata messa in luce
l’ampiezza del margine di discrezionalita’ a disposizione del
legislatore nazionale nella regolazione di tutto quanto attiene alla
gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Inoltre, nella
citata sentenza si legge che «La normativa comunitaria consente, ma
non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di eccezione e per
alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio pubblico da
parte dell’ente locale». Cio’ starebbe a significare che il
legislatore nazionale ben puo’ isolare un singolo settore e per esso
escludere il ricorso alle procedure concorrenziali e alla gestione
privata.
Nella specie, il settore sarebbe quello del servizio idrico, che
gestisce il bene materiale primario per eccellenza, ossia l’acqua.
Sarebbe dunque ragionevole, e comunque rientrerebbe nell’ambito della
discrezionalita’ riconosciuta agli Stati, riservare il servizio
idrico alla gestione pubblica.
Infine, i rilievi fin qui svolti avrebbero trattato della
richiesta referendaria in epigrafe nella sua distinta individualita’,
senza collegarla alle altre richieste di referendum che, in quanto
depositate nella medesima «finestra» temporale, sono oggi sottoposte
allo scrutinio di questa Corte. Cio’ perche’, ad avviso dei
promotori, l’ammissibilita’ delle richieste referendarie va
verificata esclusivamente con riguardo al distinto contenuto di
ciascuna, «poiche’ ciascuna ha seguito un distinto iter e ciascuna e’
sorretta da distinte manifestazioni di volonta’ dei sottoscrittori».
Inoltre, tale autonomia permarrebbe anche quando le richieste
riguardino la medesima materia, non essendo possibile alcuna
valutazione di ammissibilita’ che «possa tenere conto del complesso
incastro delle abrogazioni eventualmente assentite e delle
abrogazioni eventualmente negate dal corpo elettorale».
Tuttavia, «per supremo tuziorismo», andrebbe rilevato che le
richieste rubricate dall’Ufficio Centrale con i numeri 1, 2 e 3 sono
legate da un medesimo intento «politico», mirando a contenere al
massimo – nel rispetto dei limiti internazionali, comunitari e
costituzionali – gli eccessi delle cosiddette «privatizzazioni», ora
ponendo la gestione diretta dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica sul medesimo piano della gestione privata (cio’ per la
generalita’ dei servizi: richiesta n. 1), ora escludendo la gestione
privata per il limitato e del tutto peculiare settore del servizio
idrico (richiesta n. 2), ora, sempre in riferimento al solo servizio
idrico, contenendo i profitti della gestione privata (richiesta n.
3). Anche nella denegata ipotesi che tali richieste fossero vagliate,
per il profilo della loro ammissibilita’, come collegate, nessun
dubbio sull’ammissibilita’ delle stesse potrebbe essere nutrito.
4. – In data 29 dicembre 2010 il Comitato referendario
«Siacquapubblica», in persona del legale rappresentante pro tempore,
ha depositato memoria ad adiuvandum per l’ammissibilita’ dei
referendum abrogativi (reg. ref. n. 149, n. 150, n. 151), promossi
dal Forum Italiano per i Movimenti dell’Acqua.
Il citato Comitato, nell’esporre il quadro politico-culturale
d’insieme sotteso ai tre quesiti referendari, sottolinea come essi
costituiscano un essenziale passo politico-istituzionale, diretto
alla difesa di un bene comune fondamentale come l’acqua, contro i
gravi rischi insiti nella privatizzazione.
Ad avviso del suddetto Comitato, il decreto Ronchi (decreto-legge
25 settembre 2009, n. 135 recante «Disposizioni urgenti per
l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze
della Corte di giustizia delle Comunita’ europee», convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166) avrebbe posto le
premesse per una massiccia dismissione del servizio idrico integrato
italiano attraverso l’obbligo d’immissione di esso sul mercato alla
data del 31 dicembre 2001.
A seguito del decreto Ronchi l’acqua non avrebbe potuto piu’
ricevere un regime di tutela particolarmente accentuato in virtu’
della sua natura di bene comune, ma al contrario sarebbe stata
oggetto, con gran parte delle infrastrutture per la sua gestione, di
un frettoloso processo di privatizzazione. Il detto provvedimento
legislativo avrebbe introdotto un elemento di sostanziale
irreversibilita’ di un assetto sbilanciato a favore del privato nella
gestione e nel controllo dell’acqua, il piu’ importante tra i beni
comuni. Lo squilibrio tra pubblico e privato da esso prodotto sarebbe
apparso, dunque, in profondo contrasto con la speciale natura del
servizio idrico, non soltanto perche’ tale servizio avrebbe ad
oggetto un bene comune, ma anche in virtu’ della legge 5 gennaio
1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), cosiddetta
legge Galli.
Proprio la ricerca, perseguita dalla legge ora citata (art. 1),
del regime piu’ desiderabile per l’acqua, intesa come bene comune,
avrebbe costituito la riduzione ad unita’ dei quesiti referendari
iscritti ai nn. 149, 150 e 151 del registro referendum.
Il popolo sovrano sarebbe chiamato ad esprimersi su una questione
chiara ed univoca: se si possa continuare nel presente squilibrio in
favore del settore privato for profit nella gestione del bene comune
acqua (votando NO) o se si debba invertire la rotta (votando SI).
Dopo aver trattato diffusamente del quesito n. 149, avente ad
oggetto l’art. 23-bis della legge n. 133 del 2008, come modificato
dall’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, sostenendone la piena
ammissibilita’, il Comitato afferma che i tre quesiti referendari
mirerebbero a superare l’opzione eccessivamente manichea dello stesso
art. 23-bis (quesito n. 149), ad escludere modelli di gestione
fondati su una ratio incompatibile con la speciale natura dell’acqua
(quesito n. 150) e, infine, ad escludere il profitto tra le
motivazioni accettabili per un soggetto che vuole gestire il servizio
idrico integrato (quesito n. 151). A seguito dell’auspicata
abrogazione delle norme di cui ai tre quesiti, emergerebbero con
chiarezza i tratti fondanti di un sistema coerente con il
riconoscimento dell’acqua come bene comune.
Avuto riguardo alla particolare natura dei beni comuni,
compatibile tanto con un regime pubblicistico quanto con uno
privatistico a vocazione pubblicistica, il nostro diritto positivo
conoscerebbe un ricco strumentario di istituti fondamentali, sia di
diritto pubblico sia di diritto privato a dimensione pubblicistica,
idonei ad evitare il presunto vuoto normativo lasciato
dall’accoglimento dei quesiti.
Secondo il Comitato esponente, con l’abrogazione dell’art. 23-bis
della legge n. 133 del 2008, si realizzerebbe anche
l’inapplicabilita’ del d.P.R. n. 168 del 2010 (regolamento delegato),
in quanto verrebbe meno il suo fondamento giuridico, e si avrebbe la
riespansione dell’art. 113 TUEL.
L’abrogazione dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 – norma
ritenuta speciale in quanto riferita al servizio idrico integrato, ma
che nella sostanza rinvia ad una normativa generale qual e’ quella
contenuta nell’art. 113 del TUEL – comporterebbe l’abrogazione di
tale norma. In realta’, pero’, essendo stato parzialmente abrogato
l’art. 113 del TUEL dal d.P.R. n. 168 del 2010, e’ a quest’ultima
norma che, nella sostanza, l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006
rinvia. Pertanto, l’abrogazione dell’art. 150 comporterebbe la
perdita di efficacia della norma oggetto del rinvio, con la
conseguenza che, in via analogica, resterebbe applicabile l’art. 114
TUEL, tuttora vigente.
L’abrogazione dell’art. 23-bis della legge n. 133 del 2008 e
dell’art. 150 del d.lgs. n.152 del 2006 non produrrebbero un vuoto
normativo, in quanto sarebbe sempre possibile il ricorso all’azienda
speciale.
Peraltro, ad avviso del suddetto Comitato, oltre all’azienda
speciale sarebbero rinvenibili nel vigente ordinamento molteplici
strumenti sia di diritto pubblico (Consorzi tra Comuni ai sensi
dell’art. 31 del TUEL), sia di diritto privato a dimensione
pubblicistica in grado di colmare ipotetici vuoti normativi. Quali
istituti privatistici privi di scopo di lucro e a vocazione
pubblicistica, applicabili una volta abrogate le norme oggetto di
referendum, il Comitato fa riferimento alle cooperative, a scopo
mutualistico alternativo al lucro, alle associazioni, ai comitati,
alle fondazioni.
Infine, l’esponente rileva che l’attuale instabilita’ politica
non consente di escludere l’ipotesi di un rinvio delle operazioni
referendarie come conseguenza di un eventuale scioglimento delle
Camere. La produzione degli effetti, a data certa, dell’art. 23-bis
della legge n. 133 del 2008, prima della celebrazione del referendum
rischierebbe di vanificare nei fatti, almeno per quanto riguarda il
quesito iscritto al n. 149, l’auspicata sentenza di accoglimento ai
sensi dell’art. 75 Cost. Un allineamento temporale, in via
interpretativa, dell’art. 23-bis con slittamento dei suoi effetti a
data successiva alla consultazione referendaria, per quanto non
rientrante nei compiti attribuiti dalla Costituzione alla Corte
costituzionale, potrebbe essere auspicabile in coerenza con l’alta
funzione di garanzia costituzionale propria di questa Corte.
5 .- L’associazione «Fare Ambiente» e l’associazione «Comitato
contro i referendum per la statalizzazione
dell’acqua-AcquaLiberAtutti», con atti depositati in data 5 gennaio
2011, si sono costituite nel presente giudizio di ammissibilita’,
chiedendo a questa Corte, previa declaratoria di ammissibilita’ delle
memorie di costituzione e conseguente autorizzazione all’audizione
dei difensori, di dichiarare l’inammissibilita’ del quesito
referendario.
Con atto depositato in data 7 gennaio 2011 si e’, altresi’,
costituita in giudizio l’ associazione nazionale fra gli industriali
degli acquedotti – ANFIDA – chiedendo, anch’essa, di dichiarare
l’inammissibilita’ del quesito referendario.
In via preliminare, l’associazione «Fare Ambiente» e
l’associazione «Comitato contro i referendum per la statalizzazione
dell’acqua-AcquaLiberAtutti» hanno posto in evidenza come il loro
intervento debba essere ritenuto ammissibile alla luce della
giurisprudenza costante di questa Corte ed, al riguardo, hanno
richiamato le sentenze n. 31 e n. 41 del 2000.
Le predette associazioni premettono che due dei quattro quesiti
appaiono strettamente legati fra di loro, al punto che ove la norma
indicata nel primo quesito (art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 e successive modificazioni) dovesse essere abrogata,
allora si dovrebbe ipotizzare la reviviscenza della normativa da
quest’ultimo a sua volta (implicitamente) abrogata, ovvero l’art. 150
del decreto legislativo n. 152 del 2006 (c.d. Codice dell’Ambiente),
che sarebbe pero’ nuovamente soggetta ad abrogazione, come previsto
nel secondo (e in parte nel quarto) quesito referendario.
L’associazione «Fare Ambiente» pone in evidenza i seguenti motivi di
inammissibilita’ afferenti il quesito in oggetto.
In primo luogo, poiche’ esso mira a chiedere l’abrogazione
dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale sarebbe stato
implicitamente abrogato dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e
potrebbe rivivere giuridicamente soltanto in caso di abrogazione
dell’art. 23-bis, si determinerebbe un «inganno nei riguardi degli
elettori e l’incoerenza sul piano della normativa soggetta ad
ablazione referendaria».
L’inganno consisterebbe nel fatto che con il quesito in esame si
chiederebbe di abrogare una norma che potrebbe essere valida e,
quindi, oggetto di referendum, soltanto nel caso in cui venisse
esclusa la disposizione di cui si chiede l’abrogazione nel quesito n.
1. L’elettore, inoltre, verrebbe chiamato a pronunciarsi sull’art.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale essendo stato abrogato e’
privo di rilievo giuridico.
Il quesito n. 2, inoltre, incontrerebbe, ad avviso della citata
associazione, il limite della mancanza di omogeneita’, della
chiarezza e della matrice razionalmente unitaria; sotto tale profilo
il principale ostacolo all’ammissibilita’ deriverebbe, come gia’
sopra posto in evidenza, dall’inefficacia della disciplina in esso
inclusa: l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, pur essendo una
disciplina specifica per la gestione del servizio idrico integrato,
e’ infatti da considerarsi, al momento, una disciplina implicitamente
abrogata dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008.
Il «Comitato contro i referendum per la statalizzazione
dell’acqua-AcquaLiberAtutti», invece, ritiene che il quesito sarebbe
inammissibile dal momento che inciderebbe su «legge a contenuto
comunitariamente vincolato».
In caso di eventuale accoglimento del quesito n. 2, il difensore
del Comitato osserva che l’affidamento e la gestione del servizio
idrico integrato risulterebbe del tutto svincolata da qualsivoglia
disciplina e cio’ con evidente violazione del principio di
concorrenza, in quanto gli enti competenti sarebbero sostanzialmente
liberi nel procedere a qualsiasi tipo di affidamento.
Il quesito n. 2, infatti, ad avviso del predetto Comitato,
intende sottoporre ad abrogazione l’art. 150 del decreto legislativo
n. 152 del 2006, il quale detta le modalita’ di scelta della forma di
gestione e procedure di affidamento del servizio idrico integrato.
Dall’eventuale accoglimento dei quesiti referendari e, dunque,
dall’eventuale abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008,
e dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, potrebbe determinarsi un
vulnus nel sistema di affidamento del servizio de quo non risultando
in linea con la forte connotazione a tutela della concorrenza voluta
dalle cogenti norme comunitarie.
Ne conseguirebbe l’apertura di una sicura procedura d’infrazione
a carico dell’Italia, come gia’ avvenuto con riferimento alla
normativa previgente a quella in oggetto (il richiamo e’ alla
"procedura di infrazione 1999/2184 ex art. 226 Trattato. Legislazione
in materia di servizi pubblici locali" trasmessa con nota del 4
luglio 2002, n. 8622).
Sussisterebbe, dunque, l’inammissibilita’ del quesito in base a
quanto previsto dall’art. 75 Cost., nella parte in cui vieta lo
svolgimento di referendum abrogativo sulle leggi di autorizzazione
alla ratifica dei Trattati internazionali «e anche sulle altre
disposizioni normative che producano effetti collegati in modo cosi’
stretto all’ambito di operativita’ di tali leggi tanto da ritenersi
implicita nel sistema la preclusione» (sentenza n. 31 del 2000).
Il quesito sarebbe inammissibile, inoltre, in quanto incidente su
legge a contenuto costituzionalmente vincolato.
In particolare, le norme oggetto dei quesiti referendari
risultano espressione diretta di principi costituzionali che, in
materia di concorrenza nei servizi pubblici locali, possono ritenersi
a contenuto sostanzialmente vincolato.
Sul punto, il Comitato richiama la ricostruzione operata proprio
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325 del 2010, in cui
essa ha chiarito come la disciplina posta dall’art. 23-bis d.l. n.
112 del 2008, e dall’art. 150 d.lgs. n. 156 del 2010, rappresenti
espressione di una potesta’ normativa, sostanzialmente vincolata,
dello Stato.
A sostegno di tale argomentazione, proprio con specifico
riferimento al servizio idrico integrato, il Comitato rinvia,
inoltre, alla gia’ piu’ volte menzionata sentenza n. 325 del 2010.
Altro profilo di inammissibilita’ atterrebbe alla carenza di
chiarezza ed omogeneita’ del quesito referendario.
Le stesse modalita’ di formulazione dei titoli dei quesiti
referendari e le tecniche di persuasione gia’ adottate per la
raccolta delle sottoscrizioni, le quali probabilmente verranno
riutilizzate ed amplificate ove dovesse ammettersi la consultazione
referendaria, testimoniano come l’elettore non abbia, in realta’,
espresso liberamente il proprio convincimento. Sotto tale profilo,
con riferimento all’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il Comitato
pone in rilievo come lo stesso si appalesi inammissibile in quanto
inutile, superfluo ed ultroneo rispetto alle finalita’ perseguite.
L’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, la cui abrogazione e’
richiesta con il quesito in esame, regola le modalita’ di gestione
del servizio idrico e le procedure per la scelta del soggetto
gestore.
Detta norma, al momento, dovrebbe ritenersi superata dalla
disciplina dettata dall’art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008, ma non
puo’ sfuggire come il risultato sarebbe del tutto ininfluente in
relazione alle intenzioni perseguite e cio’ in quanto l’art. 23-bis,
avendo portata generale, risulterebbe interamente applicabile anche
alle modalita’ di affidamento dei servizi idrici.
La situazione sarebbe diversa, qualora l’elettore, pur coartato
nella scelta, dovendo decidere di azzerare interamente la disciplina
di affidamento di tutti i servizi pubblici, dovesse votare
positivamente per entrambi i quesiti in esame.
Il citato Comitato ritiene che la disciplina di affidamento del
servizio idrico non contemplerebbe in ogni caso il ritorno alla
gestione totalmente pubblica delle acque ma, al piu’, sembrerebbe
applicabile l’art. 113 TUEL.
Infine, un ulteriore motivo di inammissibilita’ e’ ravvisato in
ragione del cosiddetto vuoto legislativo nella normativa di risulta.
Il quesito, infatti, mirerebbe a chiedere l’abrogazione dell’art.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, come detto sopra, e’ stato
implicitamente abrogato dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e
potrebbe rivivere giuridicamente solo e soltanto in caso di
abrogazione dell’art. 23-bis.
L’associazione nazionale fra gli industriali degli acquedotti –
ANFIDA -, inoltre, sostiene che il quesito referendario sia
inammissibile in quanto incongruo e inidoneo.
In particolare, essa osserva come la disposizione oggetto di
richiesta referendaria abbia introdotto una disciplina speciale in
materia di affidamento e di gestione del servizio idrico integrato,
rinviando alla disciplina generale dettata, all’epoca della sua
entrata in vigore, dall’art. 113 TUEL e prevedendo alcuni elementi di
specialita’.
Benche’ l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 contenesse il
rinvio al quinto comma dell’art. 113 TUEL, abrogato dall’art. 23-bis
del d.l. n. 118 del 2008, l’Ufficio centrale per il referendum presso
la Corte di cassazione ha, pero’, ritenuto che l’art. 150 del d.lgs.
n. 152 del 2006 sia stato abrogato solo in parte.
Da cio’ si dovrebbe dedurre che dell’art. 150 del d.lgs. n. 152
del 2006 restino in vigore le sole parti in cui s’individua la
competenza dell’Autorita’ d’ambito e si prevede che, per il servizio
idrico integrato, l’affidamento in house e l’affidamento diretto a
societa’ miste devono rispettare – oltre ai requisiti previsti dalla
disciplina generale e, quindi, oggi dall’art. 23-bis del d.l. n. 112
del 2008 – anche quello della titolarita’ delle partecipazioni
pubbliche in capo agli enti locali compresi nell’ambito territoriale
ottimale.
La disposizione oggetto di richiesta referendaria avrebbe,
quindi, un contenuto servente alla disciplina generale
sull’affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica di cui
all’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008: sarebbe quest’ultimo
articolo, infatti, ad individuare le forme di affidamento del
servizio idrico, mentre l’art. 150, nella parte superstite, detta
norme speciali di dettaglio, che restano di per se’ prive di autonoma
operativita’.
Dunque, il quesito volto alla sua abrogazione sarebbe infruttuoso
e, per tale ragione, inammissibile (al riguardo e’ richiamata la
sentenza n. 43 del 2000).
L’abrogazione dell’art. 150, da sola, non consentirebbe, dunque,
di produrre effetti significativi sulla disciplina dell’affidamento
dei servizi idrici e, soprattutto, non consentirebbe di produrre
effetti conformi al risultato prefigurato dai promotori.
Un ulteriore motivo di inammissibilita’ consisterebbe
nell’inidoneita’ dello strumento referendario al raggiungimento
dell’obiettivo di «ripubblicizzazione» dei servizi pubblici locali.
L’intento perseguito dai promotori con la formulazione dei tre
quesiti esaminati e’ quello di portare alla configurazione di un
servizio idrico «strutturalmente e funzionalmente privo di rilevanza
economica», la cui gestione potesse essere affidata solo ad enti
disciplinati dal diritto pubblico (e mai a societa’, ancorche’ in
mano pubblica) e fosse assolutamente estranea a logiche tariffarie,
ponendosi i relativi costi «a carico della fiscalita’ generale»
(cosi’ si legge nella Relazione introduttiva ai quesiti referendari).
Pur ammettendo che queste siano le conseguenze dell’eventuale
accoglimento dei tre quesiti si tratterebbe di una proposta
referendaria non puramente ablativa, bensi’ innovativa.
La proposta sarebbe, pertanto, inammissibile, posto che l’art. 75
Cost. consente il referendum abrogativo, totale o parziale, di una
legge o di un atto avente valore di legge e non invece il referendum
introduttivo di discipline legislative completamente nuove (si
vedano, in particolare, le sentenze n. 50 del 2000 e n. 36 del 1997).
Infine si tratterebbe di una proposta referendaria mediante la
quale si vuole produrre l’effetto di una radicale riforma dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica, risultato non perseguibile
con lo strumento referendario.
Quanto alle effettive conseguenze dell’eventuale accoglimento del
secondo quesito, esso inciderebbe in modo marginale sulla disciplina
dell’affidamento e della gestione del servizio idrico, facendo venir
meno essenzialmente la norma che impone, per la legittimita’
dell’affidamento in house e dell’affidamento diretto a societa’
miste, il requisito – ulteriore rispetto a quelli previsti dalla
disciplina generale – della titolarita’ delle partecipazioni
pubbliche in capo agli enti locali compresi nell’ambito territoriale
ottimale.
Al fine di non andare incontro a sanzioni da parte dell’Unione
Europea, la lacuna che si verrebbe a creare con l’accoglimento dei
quesiti referendari dovrebbe essere colmata con l’applicazione
generalizzata del principio della gara ad evidenza pubblica e con
l’applicazione delle norme contenute nel Codice dei contratti.
Se cosi’ e’, pero’, l’eventuale accoglimento dei tre referendum
porterebbe ad un esito opposto a quello desiderato: anziche’
legittimare l’affidamento diretto dei servizi a soggetti pubblici,
renderebbe obbligatorio – senza eccezione alcuna – il ricorso alla
gara e l’affidamento a privati.
6. – Con atto depositato in data 5 gennaio 2011, l’Associazione
Nazionale Giuristi Democratici e’ intervenuta nel giudizio al fine si
sostenere l’ammissibilita’ del quesito referendario per le
considerazioni di seguito indicate.
L’Associazione ritiene che l’ammissibilita’ del referendum derivi
dalla constatazione che il fine perseguito dal Comitato promotore e’
chiaro ed esplicito, in quanto l’abrogazione referendaria dell’art.
150 d.lgs. n. 152 del 2006, mira a non permettere che l’Autorita’
d’ambito possa affidare l’intera gestione del servizio a soggetti
terzi.
In particolare, con l’abrogazione referendaria si vuole porre una
cesura netta e definitiva tra regime dell’acqua pubblica e regime
degli altri servizi pubblici locali; cioe’, si vorrebbe che sia
l’Autorita’ d’ambito a gestire direttamente le risorse idriche.
A seguito di referendum abrogativo dell’art. 150, il modello
gestionale dell’acqua pubblica sarebbe, infatti, quello determinato
dall’art. 148 (Autorita’ d’ambito territoriale ottimale) del medesimo
d.lgs. n. 152 del 2006, con la conseguenza che l’Autorita’ d’ambito,
«dotata di personalita’ giuridica», potra’ gestire il servizio «in
proprio».
Tale conseguenza sarebbe, peraltro, rispettosa di quanto disposto
dal diritto comunitario dal momento che l’Unione europea interviene
unicamente quando l’ente delibera di affidare il servizio ad un altro
soggetto, non interferendo nelle scelte gestionali. Tale principio
risulta sancito dalla Corte di Giustizia UE con la decisione
dell’11gennaio 2005, in causa C – 26/03, Stadt Halle, punto 48.
Il quesito sarebbe, inoltre, idoneo al raggiungimento del
proposito referendario anche nell’ipotesi in cui l’art. 23-bis
permanga nell’ordinamento.
Infatti, venendo meno l’art. 150, l’Autorita’ d’ambito
recupererebbe tutte le possibili scelte gestionali previste in
generale per la gestione di un servizio pubblico locale (gestione
diretta, affidamento ad un organismo di diritto pubblico, affidamento
ad una societa’ cd. mista o ancora affidando il servizio all’esterno
con le forme della procedura ad evidenza pubblica).
In primo luogo, la detta Autorita’ non sarebbe piu’ obbligata ad
affidare la «gestione» del servizio; non le sarebbe impedito di
affidare, con gara, parti o porzioni di attivita’, mantenendo la
titolarita’ del servizio.
Impedire, dunque, l’affidamento della «gestione» del servizio non
significherebbe assolutamente che debba essere l’Autorita’ d’ambito,
direttamente, a dover provvedere alle diverse porzioni di attivita’,
ma comporterebbe soltanto che la titolarita’ del servizio resti
pubblica.
Lo scopo del referendum sarebbe, quindi, realizzato in quanto
l’obiettivo e’ proprio quello di «ripubblicizzare» il servizio di
distribuzione dell’acqua, bene comune.
Anche l’art. 23-bis nella ipotesi di una sua sopravvivenza non si
opporrebbe a tale modalita’ di gestione. Cio’ per varie ragioni.
In primo luogo l’art. 23-bis, ad avviso dell’Associazione,
attiene e regola (modellandosi sul diritto comunitario)
l’affidamento" di servizi pubblici locali e, dunque, non attiene alla
scelta, di pertinenza dell’ente locale, se disporre un affidamento,
ovvero gestire direttamente (in senso proprio) il servizio.
L’art. 23-bis non vieterebbe la gestione diretta del servizio
(diretta in senso proprio), quella che non avviene attraverso le
aziende speciali, gli affidamenti in economia (che sono pur sempre
appalti), le societa’ miste e cosi’ via, ma che avviene attraverso il
diretto controllo dell’ente e con suo personale.
In caso di vittoria referendaria, dunque, anche la’ dove non
fosse abrogato nel contempo l’art. 23-bis, ad avviso
dell’Associazione, il modello previsto da quella norma non sarebbe
comunque applicabile al settore idrico, che resterebbe regolato dal
Titolo II della Sezione III del d.lgs. n. 152 del 2006.
Inoltre, poiche’ la rilevanza economica di un servizio e’
unicamente un criterio politico-discrezionale, non certo oggettivo,
secondo l’Associazione una pronuncia referendaria chiara e netta,
come quella che si propone, avrebbe l’effetto di sancire l’uscita,
per effetto della volonta’ popolare democraticamente espressa, del
servizio di gestione dell’acqua dai servizi a rilevanza economica.
A seguito dell’abrogazione referendaria dell’art. 150, venendo
meno la possibilita’ di affidare in toto il servizio all’esterno (ed
anche alle societa’ di diritto privato a capitale pubblico), la
titolarita’ del servizio restera’ ancorata alle Autorita’ d’ambito,
che potrebbero naturalmente ricorrere ad appalti esterni, mantenendo
pero’ il controllo pubblico sulla gestione e distribuzione di un bene
primario qual e’ l’acqua.
7. – In data 7 gennaio 2011 il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha depositato una memoria nella quale ha formulato alcune
deduzioni volte a sostenere l’inammissibilita’ del quesito.
Dopo aver riepilogato le modifiche apportate alla disposizione de
qua dal d.P.R. n. 168 del 2010 e dall’art. 1, comma 1-quinquies, del
d.l. n. 2 del 2010, convertito dalla legge n. 42 del 2010, che ha
soppresso le Autorita’ d’ambito, ritiene che il quesito non presenti
i caratteri di semplicita’, chiarezza e completezza, in quanto non si
comprenderebbe «a cosa tenda la richiesta referendaria».
In particolare, la difesa dello Stato sostiene che «la
partecipazione sarebbe fittizia, solo nominale, meramente rituale
(Corte cost. sentenza n. 27 del 1981)», in quanto, permanendo tutte
le altre disposizioni sull’affidamento del servizio idrico integrato,
il risultato del referendum sarebbe del tutto contraddittorio ed
incoerente ed addirittura contrario alle finalita’ degli stessi
promotori.
Conclusivamente la volonta’ popolare non sarebbe messa in
condizione di esprimersi in maniera consapevole (e’ citata la
sentenza n. 43 del 2000).
8. – Nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 sono
intervenuti, per le rispettive parti assistite come indicate in
epigrafe, gli avvocati Ugo Mattei, Pietro Adami, Federico Sorrentino,
Tommaso Edoardo Frosini, Giovanni Pitruzzella, Massimo Luciani,
nonche’ l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida.

Considerato in diritto

1. – La richiesta di referendum abrogativo, dichiarata conforme
alle disposizioni di legge dall’Ufficio centrale per il referendum
con ordinanza del 6 dicembre 2010, ha per oggetto l’articolo 150
(Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento) del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale).
Al relativo quesito sono stati assegnati il n. 2 e il seguente
titolo: «Servizio idrico integrato. Forme di gestione e procedure di
affidamento in materia di risorse idriche. Abrogazione».
Successivamente, a seguito di rilievo del detto Ufficio e su conforme
richiesta del Comitato promotore, il quesito e’ stato cosi’
modificato: «Volete voi che sia abrogato l’art. 150 (Scelta della
forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto legislativo
n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia ambientale", come
modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16
gennaio 2008, nel testo risultante dall’art. 12 del d. P. R. 7
settembre 2010 n. 168».
2. – In via preliminare, si deve rilevare che, nella camera di
consiglio del 12 gennaio 2011, la Corte costituzionale ha disposto,
come gia’ avvenuto piu’ volte in passato (ex multis: sentenze nn. 16
e 15 del 2008; n. 45 del 2005), sia di dar corso all’illustrazione
orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori del
referendum e dal Governo, ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), sia di
ammettere gli scritti presentati da soggetti diversi da quelli
contemplati dalla disposizione citata, e tuttavia interessati alla
decisione sull’ammissibilita’ della richiesta referendaria, come
contributi contenenti argomentazioni ulteriori rispetto a quelle
altrimenti a disposizione della Corte.
Tale ammissione, che deve essere qui confermata, non si traduce
pero’ in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento
– che, comunque, «deve tenersi e concludersi secondo una scansione
temporale definita» (sentenza n. 35 del 2000) – con conseguente
facolta’ ad illustrare le relative tesi in camera di consiglio, a
differenza di quanto vale per i soggetti espressamente indicati
dall’art. 33 della legge n. 352 del 1970, ossia per i promotori del
referendum e per il Governo.
In ogni caso, e’ fatta salva la facolta’ della Corte, qualora lo
ritenga opportuno, di consentire brevi integrazioni orali degli
scritti pervenuti in camera di consiglio, prima che i soggetti di cui
al citato art. 33 illustrino le rispettive posizioni.
3. – Sempre in premessa, si deve ribadire che, nell’ambito del
presente giudizio, la Corte costituzionale e’ chiamata a giudicare
della sola ammissibilita’ della richiesta referendaria e che tale
competenza si atteggia, per giurisprudenza costante, «con
caratteristiche specifiche ed autonome nei confronti degli altri
giudizi riservati a questa Corte, ed in particolare rispetto ai
giudizi sulle controversie relative alla legittimita’ costituzionale
delle leggi e degli atti con forza di legge» (sentenze nn. 16 e 15
del 2008 e n. 45 del 2005). Non e’ quindi in discussione, in questa
sede, la valutazione di eventuali profili di illegittimita’
costituzionale della normativa oggetto dell’iniziativa referendaria.
4. – L’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, e successive
modificazioni, si compone di quattro commi.
Il primo demanda all’Autorita’ d’ambito, nel rispetto del piano e
del principio di unitarieta’ della gestione per ciascun ambito, di
deliberare la forma di gestione. Nel testo originale tale forma
andava individuata «fra quelle di cui all’art. 113, comma 5, del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». L’art. 12, comma 1,
lettere a) e b), del decreto del Presidente della Repubblica 7
settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici
locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma
10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) ha abrogato, a
decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso, il
detto art. 113, commi 5, 5-bis, 6, 7, 8, 9 (escluso il primo
periodo), 14, 15-bis, 15-ter e 15-quater del detto decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), e successive modificazioni,
nonche’ l’art. 150, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, e successive
modificazioni, «ad eccezione della parte in cui individua la
competenza dell’Autorita’ d’ambito per l’affidamento e
l’aggiudicazione». Inoltre, il comma 2 del citato art. 12 del d.P.R.
n. 168 del 2010 ha stabilito che «Le leggi, i regolamenti, i decreti,
o altri provvedimenti, che fanno riferimento al comma 7 dell’art. 113
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive
modificazioni, abrogato dal comma 1, lettera a), si intendono
riferiti al comma 1 dell’art. 3 del presente regolamento».
Quest’ultima norma dispone che «Le procedure competitive ad evidenza
pubblica, di cui all’articolo 23-bis, comma 2, sono indette nel
rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di
equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla
legge, ove esistente, dalla competente autorita’ di settore o, in
mancanza di essa dagli enti affidanti».
L’art. 150, comma 2, del d.lgs., n. 152 del 2006 stabilisce che
l’Autorita’ d’ambito aggiudica la gestione del servizio idrico
integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle
disposizioni comunitarie. Nel testo iniziale si richiamavano i
criteri di cui all’art. 113, comma 7, del d.lgs. n. 257 (recte: 267)
del 2000, «secondo modalita’ e termini stabiliti con decreto del
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nel
rispetto delle competenze regionali in materia». Stante l’abrogazione
della norma da ultimo citata, a seguito del menzionato regolamento di
delegificazione, il richiamo deve ora intendersi all’art. 3, comma 1,
del regolamento stesso, che contempla le procedure competitive ad
evidenza pubblica, di cui all’art. 23-bis, comma 2.
L’art. 150, comma 3, dispone che la gestione puo’ essere altresi’
affidata a societa’ partecipate esclusivamente e direttamente da
comuni o altri enti compresi nell’ambito territoriale ottimale,
qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche o economiche.
Il testo iniziale rinviava alla previsione dell’art. 113, comma
5, lettere b) e c) del d.lgs. n. 267 del 2000, ma tale disposizione
e’ stata abrogata a seguito dell’emanazione del citato regolamento di
delegificazione.
Infine, il comma 4 stabilisce che «I soggetti di cui al presente
articolo gestiscono il servizio idrico integrato su tutto il
territorio degli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale
ottimale, salvo quanto previsto dall’articolo 148, comma 5».
5. – La richiesta di referendum popolare per l’abrogazione
dell’art.150 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e’ inammissibile.
5.1. – Si deve in primo luogo rilevare che la Corte
costituzionale, in sede di giudizio di ammissibilita’, deve valutare
separatamente ciascun quesito referendario dichiarato legittimo
dall’Ufficio centrale per il referendum; cio’ anche nel caso in cui
sia stata dichiarata legittima una pluralita’ di quesiti attinenti
alla stessa materia. Il potere attribuito dalla legge all’Ufficio
centrale (e non alla Corte costituzionale) di "concentrare" le
richieste referendarie «che rivelano uniformita’ od analogia di
materia» e di stabilire la denominazione di ciascuna richiesta
(eventualmente gia’ oggetto di "concentrazione"), nonche’ la
possibilita’ che le varie richieste presentate perseguano obiettivi
diversi, dimostrano che la Corte deve valutare ciascun quesito
indipendentemente dagli altri e, in particolare, dagli effetti che
l’esito degli altri referendum potrebbe avere sulla normativa di
risulta.
In altri termini, la coerenza di tali quesiti (la «matrice
razionalmente unitaria» richiesta dalla giurisprudenza
costituzionale) va valutata in relazione a ciascuno di essi, e non
nel loro complesso, senza che assuma rilievo l’eventualita’ che siano
stati promossi, in tutto o in parte, dai medesimi promotori.
In questo quadro deve essere valutato, in via preliminare,
l’obiettivo perseguito mediante il singolo referendum.
La richiesta referendaria e’ atto privo di motivazione, sicche’
l’obiettivo dei sottoscrittori va desunto non da una loro
dichiarazione d’intenti, ma soltanto dalla finalita’ incorporata nel
quesito, cioe’ dalla finalita’ oggettivamente ricavabile dal nesso
che viene a porsi tra le norme di cui si chiede l’abrogazione e
quelle che residuerebbero dopo tale abrogazione. In altri termini, il
quesito va interpretato esclusivamente in base alla sua formulazione
ed all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento.
Si deve aggiungere che, in base alla giurisprudenza
costituzionale, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978, il giudizio
di ammissibilita’ del referendum e’ diretto ad accertare: a)
l’insussistenza dei limiti (indicati o rilevabili in via sistematica
dall’art. 75, secondo comma, Cost.), attinenti alle disposizioni
oggetto del quesito referendario (leggi di autorizzazione alla
ratifica di trattati internazionali; leggi tributarie; leggi di
bilancio; leggi di amnistia e di indulto; leggi costituzionali; leggi
a contenuto costituzionalmente vincolato o costituzionalmente
necessarie); b) la sussistenza dei requisiti concernenti la
formulazione del quesito referendario (omogeneita’; chiarezza e
semplicita’; univocita’; completezza; coerenza; idoneita’ a
conseguire il fine perseguito; rispetto della natura essenzialmente
ablativa dell’operazione referendaria).
Da quanto sopra esposto deriva che il giudizio di ammissibilita’
ha carattere oggettivo e ad esso e’ estranea qualsiasi valutazione di
merito, in ordine sia alla normativa oggetto di referendum sia a
quella risultante dall’eventuale abrogazione referendaria (ex
plurimis: sentenza n. 26 del 1981; nello stesso senso, in sostanza,
anche le sentenze n. 45 del 2005 e n. 16 del 2008).
Tuttavia cio’ non significa che alla Corte sia inibita
l’individuazione della normativa di risulta. Invero, la stessa Corte
ha individuato alcuni limiti e requisiti di ammissibilita’ del
referendum, che esigono non soltanto di verificare quale possa essere
tale normativa ma anche (in alcuni casi eccezionali) di valutarne la
conformita’ a Costituzione. Tali sono i casi in cui viene in rilievo
il limite di ammissibilita’ costituito da leggi a contenuto
vincolato, per effetto o di trattati internazionali o di norme
comunitarie o di norme costituzionali, e da leggi costituzionalmente
necessarie.
Tanto premesso per valutare l’idoneita’, la congruita’ e la
chiarezza del quesito referendario in esame e’ necessario: a)
individuare l’intento con esso perseguito; b) individuare la
normativa di risulta; c) porre a confronto i risultati di cui alle
predette indagini.
Orbene, stando al tenore del quesito, il referendum si propone
l’obiettivo – da realizzare attraverso l’abrogazione dell’art. 150
del codice dell’ambiente – di rendere inapplicabile al servizio
idrico integrato la disciplina concernente le modalita’ di
affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza
economica (SPL); disciplina dettata in generale, per quasi tutti i
servizi pubblici locali (ivi compreso il servizio idrico integrato)
dall’art. 23-bis del d. l. n. 112 del 2008. Quest’ultima norma e’
diretta, nel suo complesso, a favorire la gestione dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica da parte di soggetti scelti a
seguito di gara ad evidenza pubblica, ammettendo soltanto in casi
eccezionali la gestione in house del servizio pubblico locale e
limitando, quindi, a tali ipotesi eccezionali la gestione diretta del
servizio (senza gara pubblica) da parte dell’ente pubblico.
Cio’ posto, si deve osservare che la normativa di risulta non
puo’ mai comportare l’abrogazione delle norme di cui all’art. 23-bis,
limitatamente al settore del servizio idrico integrato.
Infatti, il referendum n. 2 ha per oggetto soltanto l’art. 150
del codice dell’ambiente, il quale e’ stato gia’ in buona parte
abrogato, sia in modo espresso, sia per incompatibilita’, dall’art.
23-bis (direttamente e per mezzo del regolamento di delegificazione
autorizzato dallo stesso art. 23-bis). Piu’ precisamente, l’art. 150
del codice dell’ambiente rinvia all’art. 113 del d.lgs. n. 267 del
2000 (TUEL), il quale, come si e’ detto, e’ stato abrogato (in parte)
dal citato art. 23-bis, anche mediante il suddetto regolamento di
delegificazione.
Quest’ultimo, poi, ha disposto che il richiamo al comma 7
dell’art. 113 TUEL (contenuto nell’art. 150) e’ sostituito dal
richiamo all’art. 3, comma 1, del medesimo regolamento, il quale
rinvia all’art. 23-bis, comma 2, concernente il conferimento della
gestione dei servizi pubblici locali in via ordinaria.
La disposizione da ultimo citata stabilisce in modo espresso
(comma 1, secondo periodo) che le sue norme si applicano a tutti i
settori di SPL (tranne alcuni esclusi, tra cui non e’ compreso il
servizio idrico), prevalendo sulle normative di settore e, quindi,
anche su quella relativa al servizio idrico.
Ne deriva che l’abrogazione referendaria dell’art. 150 del Codice
dell’ambiente (attualmente consistente, peraltro, in una mera
armonizzazione delle norme sul servizio idrico integrato con quelle,
gia’ autoapplicative, dell’art. 23-bis), in difetto dell’abrogazione
di quest’ultima norma, non e’ idonea a far venire meno l’applicazione
al solo servizio idrico delle forme di gestione fissate, anche per
tale servizio, proprio dal detto art. 23-bis. In altre parole questo
articolo e’ applicabile al settore idrico indipendentemente dalla
vigenza dell’art. 150 del codice dell’ambiente.
Per i limiti strutturali suoi propri, lo strumento referendario
applicato a detta norma – in quanto di natura ablativa e privo,
dunque, di efficacia propositiva o additiva – non e’ in grado
nell’attuale quadro normativo di escludere l’efficacia dell’art.
23-bis per il solo settore idrico.
Ne’ varrebbe addurre che quest’ultima norma e’, a sua volta,
oggetto di altro (e distinto) referendum. Invero, un giudizio
anticipato sulla situazione normativa risultante dall’avvenuta (in
ipotesi) abrogazione referendaria della norma da ultimo citata
verterebbe su norme future e incerte, percio’ inidonee a dare
fondamento ad una decisione che, invece, va adottata sulla base del
quadro normativo in vigore al momento della decisione medesima.
In conclusione, alla luce dei rilievi fin qui esposti il quesito
in esame si rivela inidoneo e non coerente (con conseguente difetto
di chiarezza) rispetto al fine, che l’iniziativa referendaria si
propone, di rendere inapplicabile al servizio idrico integrato la
disciplina delle modalita’ di affidamento della gestione dei SPL a
rilevanza economica.
Da tanto consegue l’inammissibilita’ del referendum.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per
l’abrogazione dell’articolo 150 (Scelta della forma di gestione e
procedure di affidamento) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), come modificato dall’articolo 2,
comma 13, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n.
152), nel testo risultante dall’articolo 12 del decreto del
Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in
materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma
dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133), richiesta dichiarata legittima con ordinanza emessa in data 6
dicembre 2010, depositata in data 7 dicembre 2010, dall’Ufficio
centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Fruscella

Depositato in cancelleria il 26 gennaio 2011

Il cancelliere: Fruscella

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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