Corte Costituzionale sentenza n. 16 SENTENZA 10 – 13 gennaio 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 3 del 19-1-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 11, comma 8,
della legge 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata
all’ottimizzazione della produttivita’ del lavoro pubblico e alla
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonche’
disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti),
promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio nel
procedimento vertente tra C.G. ed altra e la Corte dei conti ed
altri, con ordinanza del 23 marzo 2010, iscritta al numero 189 del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 26, 1ª serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione di C.G. e dell’Associazione
Magistrati della Corte dei conti nonche’ l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri e della Corte dei conti;
Udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2010 il Giudice
relatore Gaetano Silvestri;
Uditi gli avvocati Angelo Clarizia per C.G., Massimo Luciani e
Maria Alessandra Sandulli per l’Associazione Magistrati della Corte
dei conti e l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente
del Consiglio dei ministri e per la Corte dei conti.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 23 marzo 2010, il Tribunale amministrativo
regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009, n. 15
(Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttivita’
del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni nonche’ disposizioni integrative delle funzioni
attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla
Corte dei conti), per violazione degli artt. 100, 103 e 108, secondo
comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 3 e 104 Cost.
1.1. – Il giudice a quo e’ investito di un ricorso, integrato da
motivi aggiunti, promosso da C.G., consigliere presso la sezione
giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti, per
l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia:
a) del decreto del Presidente della Corte dei conti 7 aprile
2009 (Indizione delle elezioni per la nomina dei rappresentanti del
personale di magistratura in seno al Consiglio di presidenza della
Corte dei conti, per il quadriennio 2009/2013), impugnato con il
ricorso principale, e di ogni altro atto presupposto, connesso e
consequenziale, tra cui la nota del Presidente della Corte dei conti
20 aprile 2009, n. 1067;
b) del decreto del Presidente della Corte dei conti 22 aprile
2009 (Rinvio delle elezioni per la nomina dei rappresentanti del
personale di magistratura in seno al Consiglio di Presidenza della
Corte dei conti per il quadriennio 2009/2013), impugnato con i primi
motivi aggiunti;
c) del decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 2009
(impugnato con i secondi motivi aggiunti), di costituzione del
Consiglio di presidenza della Corte dei conti.
1.1.1. – Il Tribunale amministrativo riferisce che C.G. ha
impugnato il decreto del Presidente della Corte dei conti 7 aprile
2009 – con il quale erano state indette, per i giorni mercoledi’ 6 e
giovedi’ 7 maggio 2009, le elezioni per la nomina dei rappresentanti
del personale di magistratura in seno al Consiglio di presidenza
della Corte dei conti – per i seguenti motivi:
a) l’indizione delle consultazioni elettorali in giorni
lavorativi lederebbe l’elettorato attivo dei magistrati contabili, i
quali non potrebbero esercitare il loro diritto di voto, in quanto
impegnati nello svolgimento delle funzioni giurisdizionali;
b) le date prescelte per le elezioni pregiudicherebbero anche
l’elettorato passivo, poiche’ coloro che intendono candidarsi
avrebbero a disposizione, per la campagna elettorale, un lasso di
tempo (ventotto giorni) inferiore a quello stabilito (per un minimo
di sessanta giorni) in occasione delle precedenti votazioni; inoltre,
l’art. 11, comma 10, secondo periodo, della legge n. 15 del 2009 non
porrebbe alcun vincolo in merito alla data in cui celebrare le
elezioni, ma si limiterebbe a stabilire il termine ultimo (7 maggio
2009) entro cui le stesse elezioni devono essere indette;
c) infine, il decreto impugnato sarebbe illegittimo in quanto
applicativo dell’art. 11, comma 8, della legge n. 15 del 2009, a sua
volta in contrasto con gli artt. 3, 97, 100, 103, 104 e 108 Cost.
La richiesta di misure cautelari e’ stata rigettata.
Con il primo atto per motivi aggiunti, il ricorrente ha impugnato
il decreto del Presidente della Corte dei conti 22 aprile 2009, con
il quale e’ stato disposto il differimento delle consultazioni
elettorali alle date di sabato 9 maggio e domenica 10 maggio 2009.
Avverso siffatto provvedimento sono state riproposte le doglianze
gia’ svolte con il ricorso originario e sono state prospettate le
seguenti ulteriori censure:
aa) anche il differimento della data delle consultazioni
elettorali pregiudicherebbe l’elettorato passivo dei magistrati della
Corte dei conti, poiche’ non sarebbe garantito un lasso di tempo
adeguato per organizzare la campagna elettorale;
bb) il decreto 22 aprile 2009 sarebbe illegittimo a causa
dell’incostituzionalita’ dell’art. 11, comma 8, della legge n. 15 del
2009, che troverebbe conferma nel parere del Consiglio di Stato 1°
aprile 2009, n. 954, relativo al divieto di rieleggibilita’ dei
membri elettivi del Consiglio di presidenza della Corte dei conti.
Il giudice a quo riferisce che la Corte dei conti si e’
costituita nel giudizio principale sollecitando il rigetto del
ricorso, nella richiesta cautelare come nel merito, stante la
manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalita’
proposte.
Nel giudizio principale e’ intervenuta ad adiuvandum anche
l’Associazione magistrati della Corte dei conti sostenendo le ragioni
del ricorrente.
Il rimettente ha rigettato la nuova istanza cautelare ed ha
fissato l’udienza per la trattazione nel merito della causa.
Con il secondo atto per motivi aggiunti, il ricorrente ha
impugnato il decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 2009,
di costituzione del Consiglio di presidenza della Corte dei conti,
per illegittimita’ derivata, ribadendo tutte le censure gia’
formulate sia nel ricorso originario sia con i primi motivi aggiunti.
1.1.2. – Trattenuta la causa per la decisione, il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio ha esaminato le eccezioni di
incostituzionalita’ prospettate dal ricorrente, ritenendo rilevante e
non manifestamente infondata soltanto quella avente ad oggetto la
norma che disciplina la composizione del Consiglio di presidenza.
Osserva in proposito il rimettente che l’art. 11, comma 8, della
legge n. 15 del 2009 ha modificato il precedente assetto disciplinato
dall’art. 10 della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei
danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e
responsabilita’ civile dei magistrati), come risultante a seguito del
decreto legislativo 7 febbraio 2006, n. 62 (Modifica della disciplina
concernente l’elezione del Consiglio di presidenza della Corte dei
conti e del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, a
norma dell’articolo 2, comma 17, della legge 25 luglio 2005, n. 150).
In particolare, il citato art. 11, comma 8, stabilisce che i
componenti del Consiglio di presidenza eletti dai magistrati della
Corte dei conti siano quattro (anziche’ dieci, come era previsto in
precedenza), ossia in numero eguale ai membri "laici".
Il ricorrente nel giudizio a quo ritiene che la sentenza della
Corte costituzionale n. 87 del 2009 abbia sancito la piena
equiparazione al C.S.M. dei Consigli di presidenza delle magistrature
speciali in ordine alla funzione di garanzia svolta da tali organi al
fine di assicurare l’indipendenza dei magistrati ordinari e speciali.
Pertanto, non sarebbe ravvisabile alcun ragionevole motivo per
differenziare l’organizzazione e la costituzione degli organi in
esame, con particolare riferimento alla componente togata elettiva.
Di conseguenza, secondo il consigliere ricorrente, l’art. 11,
comma 8, della legge n. 15 del 2009, nel prevedere che la componente
togata elettiva sia numericamente equivalente a quella "laica",
discriminerebbe ingiustificatamente la condizione dei magistrati
della Corte dei conti rispetto a quella dei magistrati amministrativi
e ordinari, e violerebbe il combinato disposto degli artt. 104 e 108
Cost.
Infine, sempre ad avviso del ricorrente, la previsione di una
disciplina diversificata per la composizione dei rispettivi Consigli
di presidenza della giustizia amministrativa e della Corte dei conti,
«pur in presenza di numerosi rinvii recettivi a norme della legge n.
196 del 1982», violerebbe l’art. 3 Cost. con riferimento agli artt.
100 e 103 Cost., «sia sotto il profilo della ingiustificata
disparita’ di trattamento dei due ordini magistratuali che sotto il
profilo della ragionevolezza, stanti le profonde analogie che
caratterizzano lo statuto del Consiglio di Stato e della Corte dei
conti».
L’Avvocatura dello Stato ha sostenuto, nel giudizio a quo, la
manifesta infondatezza delle eccezioni sollevate, rilevando come la
struttura del Consiglio di presidenza della Corte dei conti si presti
ad una pluralita’ di soluzioni, fra le quali solo il legislatore
sarebbe legittimato a scegliere nella sua discrezionalita’. Secondo
la difesa erariale, i giudici speciali godrebbero delle stesse
garanzie della magistratura ordinaria solo con riferimento alla
cosiddetta indipendenza funzionale, mentre non sarebbe possibile
invocare l’applicazione diretta ai giudici speciali delle garanzie
previste dagli artt. 104-107 Cost. per i giudici ordinari, poiche’ le
garanzie per la cosiddetta indipendenza istituzionale delle
magistrature speciali possono essere variamente disciplinate dal
legislatore.
L’Avvocatura generale ha concluso osservando come la componente
togata, comprensiva dei membri elettivi e di quelli di diritto,
rappresenti comunque la maggioranza assoluta in seno al Consiglio di
presidenza.
1.2. – Ad avviso del Tribunale amministrativo rimettente la
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 11, comma 8, della
legge n. 15 del 2009, nella parte in cui determina nel numero di
quattro i componenti eletti dai magistrati della Corte dei conti, e’
rilevante e non manifestamente infondata nei termini e per le ragioni
che si riassumono di seguito.
1.2.1. – Quanto alla rilevanza, il giudice a quo premette che il
ricorso originario e’ divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza
di interesse, in quanto il provvedimento con esso censurato e’ stato
sostituito dal decreto del Presidente della Corte dei conti 22 aprile
2009, impugnato con il primo dei motivi aggiunti.
Inoltre, sia la prima sia la seconda delle doglianze dedotte nel
ricorso originario e riproposte nel primo atto per motivi aggiunti,
devono essere ritenute improcedibili per sopravvenuta carenza di
interesse, poiche’ le consultazioni elettorali sono state fissate nei
giorni di sabato e di domenica, e quindi nessuna lesione
dell’elettorato attivo e’ ipotizzabile.
Il ricorso risulta improcedibile, sempre per carenza di
interesse, anche in relazione all’asserito minor tempo concesso ai
candidati, dal momento che il ricorrente non risulta essere tale.
Al contrario, il Tribunale amministrativo regionale afferma di
dover esaminare la censura di invalidita’ del provvedimento di
differimento delle elezioni, derivata dall’incostituzionalita’
dell’art. 11, comma 8, della legge n. 15 del 2009; in relazione a
tale doglianza, il giudice a quo ritiene che il ricorrente abbia
interesse ad agire in quanto magistrato in servizio della Corte dei
conti, titolare dell’elettorato attivo.
In definitiva, secondo il giudice a quo, la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 11, comma 8, della legge n. 15
del 2009, la’ dove disciplina la composizione del Consiglio di
presidenza della Corte dei conti, e’ rilevante, in quanto si tratta
di una norma che ha trovato applicazione nel decreto 22 aprile 2009,
di differimento delle elezioni, e nel provvedimento di costituzione
dell’organo in esame.
In proposito, il Tribunale amministrativo sottolinea come la
Corte costituzionale, in occasione dello scrutinio di
costituzionalita’ su analoghe norme relative alla disciplina del
Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, non abbia
dubitato della rilevanza di questioni sollevate nel corso di giudizi
aventi ad oggetto l’impugnazione, rispettivamente, del provvedimento
di indizione delle elezioni (ordinanza n. 377 del 1998) e di
costituzione del Consiglio (ordinanza n. 161 del 1999).
1.2.2. – Il giudice a quo ritiene, inoltre, non manifestamente
infondata la questione di legittimita’ costituzionale del citato art.
11, comma 8, per contrasto con gli artt. 100, 103 e 108, secondo
comma, Cost., in relazione agli artt. 3 e 104 Cost., interpretati
alla luce della recente giurisprudenza costituzionale (e’ citata la
sentenza n. 87 del 2009).
Il rimettente sottolinea come la questione della composizione del
Consiglio superiore della magistratura e dei Consigli di presidenza
delle magistrature speciali sia fondamentale per la garanzia
dell’autonomia della magistratura e dell’indipendenza dei singoli
giudici. La Costituzione, pero’, per la magistratura ordinaria ha
espressamente regolato la composizione del C.S.M. (art. 104), mentre
per le magistrature speciali non ha disciplinato tale profilo,
rimettendolo alla legge, la quale deve assicurare la loro
indipendenza e quella dei loro componenti (artt. 100, terzo comma, e
108, secondo comma).
Pertanto, secondo il giudice a quo, la Corte costituzionale, con
riferimento alle magistrature speciali, e’ chiamata a svolgere un
sindacato «intrinseco e sostanziale […] sulla congruita’ degli
strumenti prescelti dal legislatore rispetto al fine da realizzare»;
di conseguenza, qualora vi siano piu’ soluzioni parimenti idonee a
garantire il perseguimento di tale fine, la Corte deve fare salva la
discrezionalita’ del legislatore, come in effetti e’ avvenuto nei
giudizi definiti con le ordinanze n. 377 del 1998 e n. 161 del 1999.
Quando invece la scelta del legislatore si riveli inidonea ad
assicurare l’indipendenza della magistratura speciale, la relativa
disciplina deve essere ritenuta incostituzionale (sono citate, al
riguardo, le sentenze n. 230 del 1987 e n. 266 del 1988).
Ad avviso del rimettente, non sono del tutto condivisibili ne’ la
tesi del ricorrente, il quale sostiene che il modello descritto
dall’art. 104 Cost. per il C.S.M. debba valere anche per gli organi
cosiddetti di autogoverno delle magistrature speciali, ne’ l’opposta
tesi dell’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui non
spetterebbe alla Corte sindacare la congruita’ delle scelte
legislative in tale materia.
Il giudice a quo perviene piuttosto ad una soluzione intermedia,
prendendo spunto da quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 87 del 2009, per effetto della quale e’ stata ammessa,
anche nel procedimento disciplinare dei magistrati amministrativi, la
difesa da parte di avvocati del libero foro. Nell’occasione la Corte
ha affermato che la diversa configurazione del procedimento
disciplinare nei confronti, rispettivamente, dei magistrati ordinari
e di quelli amministrativi, «dipende da una scelta del legislatore,
che ben puo’ articolare diversamente l’ordinamento delle singole
giurisdizioni, a patto che siano rispettati i principi costituzionali
comuni».
Tra questi «principi costituzionali comuni» rientra, senz’altro,
quello di indipendenza che, pur essendo regolato da norme
costituzionali diverse (art. 104 e art. 108 Cost.), rappresenta,
secondo il giudice a quo, «una delle garanzie del corretto
svolgimento della funzione giurisdizionale complessivamente intesa,
esercitata cioe’ sia dalla magistratura ordinaria che dalle
magistrature amministrativa e contabile».
Seguendo questa impostazione, il rimettente ritiene che nell’art.
104 Cost. possano essere rinvenuti alcuni «principi costituzionali
comuni», posti a presidio della indipendenza della magistratura, sia
ordinaria sia speciale, «che rilevino quanto meno in negativo, quale
limite per il legislatore ordinario quando si occupa delle
magistrature speciali». Tra detti principi, il Tribunale individua
quello della necessaria prevalenza in seno al C.S.M. della componente
togata eletta dai magistrati e non della componente togata
complessivamente intesa, cioe’ comprensiva dei membri togati di
diritto. Questa conclusione sarebbe coerente con la diversa funzione
svolta dalla componente togata elettiva rispetto a quella, di
carattere prevalentemente istituzionale, assolta dai componenti di
diritto.
Il criterio della necessaria prevalenza numerica dei membri
eletti dai magistrati costituirebbe un «principio costituzionale
comune» applicabile anche al Consiglio di presidenza della Corte dei
conti, in virtu’ del fatto che «l’esistenza di una relazione di
rappresentativita’», quanto meno con la maggioranza dei componenti
elettivi degli organi di autogoverno, sarebbe un elemento
imprescindibile al fine di assicurare l’autonomia e l’indipendenza
delle varie magistrature.
L’art. 104 Cost. esprimerebbe dunque «un principio di garanzia
minimale, secondo il quale deve essere comunque garantita, almeno, la
maggioranza dei componenti togati eletti dai magistrati» in seno agli
organi di autogoverno delle magistrature speciali. Ad avviso del
giudice a quo, l’art. 108, secondo comma, Cost., sotto questo
profilo, dovrebbe essere letto in combinato disposto con l’art. 104
Cost. e, cosi’ facendo, indicherebbe una «soluzione
costituzionalmente obbligata», consistente nella «previsione di
almeno un componente eletto dai magistrati in piu’ rispetto ai
rappresentanti del Parlamento».
In ragione della descritta ricostruzione del quadro
costituzionale, il rimettente assume che l’art. 11, comma 8, della
legge n. 15 del 2009 violi il principio costituzionale della
necessaria prevalenza numerica della componente togata elettiva e
quindi gli artt. 100, 103, 104 e 108 Cost., come interpretati alla
luce della citata giurisprudenza costituzionale.
La norma censurata contrasterebbe anche con l’art. 3 Cost., per
l’irragionevole disparita’ di trattamento che introdurrebbe a
discapito della magistratura contabile rispetto a tutte le altre
magistrature, cosi’ determinando un vulnus alla sua indipendenza.
In definitiva, il giudice a quo solleva la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 11, comma 8, «nella parte in
cui prevede che la componente consiliare eletta dai magistrati
contabili sia numericamente uguale a quella rappresentativa del
Parlamento e non sia garantita la presenza maggioritaria dei
rappresentanti dei magistrati della Corte dei conti in seno
all’organo di autogoverno, quanto meno mediante la previsione di un
rappresentante in piu’ rispetto al numero dei rappresentanti del
Parlamento».
2. – Nel giudizio si sono costituiti C.G., ricorrente nel
giudizio principale, e l’Associazione Magistrati della Corte dei
conti, gia’ intervenuta nel giudizio a quo, chiedendo che questione
sia accolta.
3. – Si sono costituiti, con un unico atto, pure il Presidente
del Consiglio dei ministri e la Corte dei conti, entrambi
rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
manifestamente infondata.
3.1. – Preliminarmente, l’Avvocatura generale sottolinea come nel
presente giudizio essa intervenga nell’interesse sia del Presidente
del Consiglio dei ministri sia della Corte dei conti, non esistendo,
nel caso di specie, una posizione conflittuale tra gli interessi
sostanziali dell’uno e dell’altra.
3.2. – Sempre in via preliminare, la difesa statale deduce la
manifesta inammissibilita’ della questione.
3.2.1. – Secondo l’Avvocatura generale, il rimettente avrebbe
affermato apoditticamente la rilevanza della questione, fondandola
sulla mera «titolarita’ dell’elettorato attivo» da parte del
ricorrente nel giudizio principale e sul fatto che la norma
denunciata costituisce il presupposto del provvedimento di indizione
delle elezioni del Consiglio di presidenza della Corte dei conti,
senza in alcun modo verificare se la risoluzione della questione
prospettata sia influente ai fini della decisione del giudizio a quo.
Al riguardo, la difesa statale evidenzia una contraddizione nelle
argomentazioni svolte dal Tribunale amministrativo, in quanto
quest’ultimo, per un verso, ha dichiarato che il ricorrente nel
giudizio principale non aveva interesse a proporre la censura
inerente alla contrazione dei tempi delle elezioni, trattandosi di un
magistrato non candidato, ma, per altro verso, ha ravvisato
l’interesse dello stesso magistrato a dedurre un vizio di invalidita’
derivata dalla asserita incostituzionalita’ della norma censurata.
La motivazione in punto di rilevanza sarebbe pertanto
insufficiente e contraddittoria.
3.2.2. – La carenza di interesse del ricorrente nel giudizio a
quo emergerebbe poi dalla considerazione che non si tratta di un
magistrato candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio di
presidenza; di conseguenza, l’eventuale declaratoria di
illegittimita’ costituzionale non potrebbe riverberare effetti
positivi sulla sua posizione giuridica sostanziale, permanendo in
capo al consigliere ricorrente «solo un generico interesse di fatto,
non azionabile processualmente».
La questione prospettata sarebbe dunque manifestamente
inammissibile per difetto di rilevanza, potendo il giudizio a quo
essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione. In
particolare, secondo l’Avvocatura generale, il ricorso nel giudizio
principale sarebbe stato proposto «in via del tutto strumentale per
accedere all’esame incidentale della legittimita’ costituzionale
della norma sulla composizione "togata" del Consiglio di presidenza».
3.2.3. – Da ultimo, la difesa statale si sofferma su un profilo
di inammissibilita’ che discenderebbe dalla stessa articolazione
della questione di legittimita’ costituzionale.
Il quesito formulato dal rimettente, infatti, non sarebbe tanto
finalizzato ad una verifica della legittimita’ costituzionale della
norma censurata, quanto, piuttosto, «a richiedere un "adeguamento"
della norma stessa», cui la Corte dovrebbe pervenire con una
pronuncia creativa di una disposizione affatto originale.
L’Avvocatura generale evidenzia come il giudice a quo non abbia
indicato con precisione «la puntuale "addizione" che consentirebbe un
intervento salvifico della norma», limitandosi «a suggerire,
attraverso la locuzione avverbiale "quanto meno", solo un limite
numerico». Siffatta proposizione della questione, peraltro, si
porrebbe in netto contrasto con la giurisprudenza costituzionale che
ha ritenuto inammissibili i tentativi dei giudici a quibus di
ottenere una manipolazione della norma in senso integrativo.
In definitiva, il Tribunale amministrativo regionale
solleciterebbe la Corte costituzionale a compiere un’inammissibile
opera adeguatrice, sostituendosi al legislatore.
3.3. – Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la
difesa statale ritiene che l’articolato percorso logico-giuridico del
giudice a quo non possa essere condiviso, in quanto contraddittorio.
3.3.1. – L’Avvocatura generale, dopo aver sottolineato la
differenza tra il concetto di autonomia e quello di indipendenza
della magistratura – il primo, relativo «alla magistratura intesa nel
suo aspetto organizzatorio», il secondo attinente «piu’ che
all’ordine nel suo complesso, alla posizione del singolo magistrato,
colto nel momento di esercizio della funzione giurisdizionale» –
sottolinea come autonomia e indipendenza siano «astretti da un legame
strumentale», per cui senza la garanzia strutturale espressa
dall’autonomia non sarebbe realizzabile l’indipendenza del giudice.
In particolare, la difesa statale contesta l’affermazione del
rimettente secondo cui la "prevalenza" dei componenti togati elettivi
rispetto a quelli laici sarebbe, puramente e semplicemente, sinonimo
di garanzia di indipendenza della magistratura dagli altri poteri
dello Stato. A tal fine, sono richiamati i lavori dell’Assemblea
Costituente per evidenziare come, in quella sede, fosse emersa
l’esigenza di assicurare l’equilibrio tra le due componenti,
piuttosto che la mera prevalenza della componente togata elettiva.
L’Avvocatura generale ritiene che la violazione dell’art. 108,
secondo comma, Cost. possa ravvisarsi solo in presenza di «aspetti di
irrazionalita’», non riscontrabili nella norma oggetto dell’odierno
giudizio di legittimita’ costituzionale.
L’affermazione del rimettente – secondo cui la presenza di una
componente laica di numero pari a quella togata elettiva, in seno al
Consiglio di presidenza, non assicurerebbe la piena autonomia della
magistratura contabile – non potrebbe giustificarsi ne’ sulla base
della sentenza n. 87 del 2009 ne’ in virtu’ del parere del Consiglio
di Stato 1° aprile 2009, n. 954. In particolare, il giudice a quo
avrebbe estrapolato e decontestualizzato il riconoscimento della
necessita’ di assicurare «i principi costituzionali comuni»,
contenuto nella citata sentenza n. 87 del 2009, trasferendo siffatta
affermazione in un settore radicalmente diverso, come quello della
composizione numerica degli organi di autogoverno. Un’analoga
operazione sarebbe avvenuta con riferimento al richiamato parere del
Consiglio di Stato.
La difesa statale rinviene il fondamento della ricostruzione
operata dal rimettente nell’«esplicito collegamento deduttivo
simbiotico» che unirebbe l’art. 104 e l’art. 108 Cost. e che sarebbe
individuato nella «necessaria ricerca e affermazione di "principi
costituzionali comuni" ai vari ordini di magistrature». A tal
proposito, l’Avvocatura generale richiama la giurisprudenza della
Corte costituzionale relativa alla «non "unicita’" tra i diversi
"ordini" magistratuali e le rispettive strutture di autogoverno».
Dall’esame di alcune pronunzie emergerebbe non solo la distinzione
del piano dell’autonomia da quello dell’indipendenza, ma anche «la
non necessita’ (costituzionalmente imposta) di un’unica
organizzazione comune tra i vari organi di autogoverno».
3.3.2. – L’Avvocatura generale contesta, poi, le affermazioni del
rimettente secondo cui la norma censurata sarebbe viziata sotto il
profilo dell’irrazionalita’ e dell’irragionevolezza; in particolare,
la difesa statale evidenzia come il giudice a quo non abbia
sufficientemente precisato quali profili della norma in esame siano
affetti dai vizi sopra richiamati, ne’ quale sia il tertium
comparationis.
La prospettazione del rimettente non terrebbe conto, peraltro,
della circostanza che due dei tre membri di diritto (Procuratore
generale e Presidente aggiunto) sono "eletti", sia pure in maniera
indiretta, dalla stessa base elettorale, poiche’ la loro nomina –
ancorche’ discendente da un provvedimento formale dell’Autorita’
politica – e’ il risultato di una designazione che proviene dal
Consiglio di presidenza.
Quanto al Presidente, l’Avvocatura rileva come, in base alla
legge 21 luglio 2000, n. 202 (Disposizioni in materia di nomina del
Presidente della Corte dei conti), esso sia designato dall’Autorita’
politica, sentito l’avviso del Consiglio di presidenza, e comunque
siano previste norme idonee ad assicurarne l’indipendenza di fronte
al Governo.
Ad avviso della difesa statale, non si comprenderebbero le
ragioni per cui i componenti togati di diritto debbano essere
distinti dai membri eletti, tenuto conto del comune stato giuridico e
delle modalita’ di designazione. Parimenti non condivisibile sarebbe
l’affermazione secondo cui i rappresentanti laici del Consiglio di
presidenza non svolgerebbero un idoneo ruolo di garanzia
dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici, tanto da auspicarne,
esplicitamente, la messa in minoranza.
Al contrario, sempre secondo l’Avvocatura, essi, in quanto
espressione di un Parlamento liberamente eletto, costituirebbero un
elemento di garanzia del corretto svolgimento della funzione di
autogoverno, proprio perche’ rappresentano un ineludibile momento di
equilibrio.
In definitiva, nella composizione del Consiglio di presidenza non
solo non si coglierebbe alcuna rottura del sistema ma sarebbe
comunque prevalente la componente togata su quella laica; pertanto,
la norma censurata non si porrebbe quale manifestazione di un uso
abnorme, irrazionale e irragionevole della discrezionalita’ del
legislatore, il quale, non vincolato da una strutturazione
organizzativa, come quella del CSM, stabilita direttamente in
Costituzione, ha ritenuto di modificare una composizione rimessa alla
disciplina della legge ordinaria, senza vulnerare il principio di
autonomia e di indipendenza della Corte dei conti e dei suoi
componenti.
4. – In prossimita’ dell’udienza, hanno depositato memorie il
consigliere C.G., l’Associazione Magistrati della Corte dei conti e
l’Avvocatura generale dello Stato, insistendo nelle conclusioni gia’
rassegnate nei rispettivi atti di costituzione in giudizio.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 11, comma 8, della
legge 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata
all’ottimizzazione della produttivita’ del lavoro pubblico e alla
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonche’
disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti), per
violazione degli artt. 100, 103 e 108, secondo comma, della
Costituzione, in relazione agli artt. 3 e 104 Cost.
2. – La questione e’ inammissibile.
Il giudice a quo ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale del citato art. 11, comma 8, «nella parte in cui
prevede che la componente consiliare eletta dai magistrati contabili
sia numericamente uguale a quella rappresentativa del Parlamento e
non sia garantita la presenza maggioritaria dei rappresentanti dei
magistrati della Corte dei conti in seno all’organo di autogoverno,
quanto meno mediante la previsione di un rappresentante in piu’
rispetto al numero dei rappresentanti del Parlamento».
Il medesimo giudice ritiene di dover scartare le due soluzioni
estreme al problema delle garanzie istituzionali di indipendenza dei
giudici delle giurisdizioni speciali, imposta al legislatore come
finalita’ indefettibile dall’art. 108, secondo comma, Cost. La prima
e’ quella della integrale estensione, agli organi di garanzia
(impropriamente detti organi di "autogoverno") delle suddette
giurisdizioni, del modello previsto dall’art. 104 Cost. per la
magistratura ordinaria. La seconda e’ quella di ritenere del tutto
priva di vincoli finalistici la riserva di legge contenuta nel citato
art. 108, secondo comma, Cost.
Tale impostazione e’ condivisibile, nel senso della necessita’
che un organo di garanzia debba comunque esserci, come affermato da
questa Corte, sul presupposto che «l’indipendenza e’ […] forma
mentale, costume, coscienza d’un’entita’ professionale», ma «in
mancanza di adeguate, sostanziali garanzie, essa […] degrada a
velleitaria aspirazione» (sentenza n. 266 del 1988). La necessaria
presenza di organi di garanzia e’ peraltro riconosciuta dallo stesso
legislatore ordinario, che ha istituito tali organi per tutte le
giurisdizioni speciali.
Allo stesso modo occorre riconoscere che degli organi suddetti
debbono necessariamente far parte sia componenti eletti dai giudici
delle singole magistrature, sia componenti esterni di nomina
parlamentare, nel bilanciamento degli interessi, costituzionalmente
tutelati, ad evitare tanto la dipendenza dei giudici dal potere
politico, quanto la chiusura degli stessi in "caste"
autoreferenziali.
Nel rispetto del principio costituzionale di cui sopra, il
rapporto numerico tra membri "togati" e membri "laici", di nomina
parlamentare, puo’ essere variamente fissato dal legislatore.
3. – Secondo il rimettente, sarebbe sufficiente che questa Corte,
con una sentenza additiva, elevasse il numero dei componenti eletti
dai magistrati della Corte dei conti «quanto meno» di una unita’. Da
questa espressione si deduce tuttavia che lo stesso giudice a quo
considera l’aumento di una unita’ della componente togata elettiva
come una delle possibilita’ utili per conseguire il fine auspicato,
ma non l’unica, giacche’ si potrebbe ritenere maggiormente adeguato
un rapporto numerico diverso, sulla base di scelte di maggiore o
minore vicinanza al modello stabilito dall’art. 104 Cost. per la
magistratura ordinaria. Il petitum e’ formulato pertanto in modo da
lasciare alla Corte costituzionale la scelta tra una soluzione
"minimale" ed altre soluzioni ipotizzabili, tutte ritenute idonee a
rimuovere il denunciato vizio di legittimita’ costituzionale.
Questa Corte ha gia’ chiarito – proprio con riguardo alla
composizione di un organo di garanzia di una giurisdizione speciale –
che l’incertezza del petitum rende inammissibile la questione
(sentenza n. 67 del 1984). Nel caso de quo viene chiesto un
intervento non limitato ad una pura affermazione di principio, come
sostenuto dalla difesa dell’Associazione Magistrati della Corte dei
conti, ma esteso alla individuazione di un concreto rapporto
numerico, di cui si indica, con formula dubitativa, la soglia minima,
mediante l’espressione «quanto meno», che implica logicamente la
preferibilita’, secondo il rimettente, di altri rapporti, che
vedessero una presenza piu’ elevata di membri togati elettivi, in una
prospettiva di maggior rafforzamento dell’indipendenza dei magistrati
della Corte dei conti.
E’ evidente che la scelta tra la soluzione minimale ed altre
soluzioni possibili non puo’ provenire da questa Corte, ma solo dal
legislatore.
La rilevata inammissibilita’ del petitum non consente di
esaminare nel merito la fondatezza delle censure formulate dal
rimettente nell’atto introduttivo del presente giudizio.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009, n. 15
(Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttivita’
del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni nonche’ disposizioni integrative delle funzioni
attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla
Corte dei conti), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 100, 103,
104 e 108, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Silvestri

Il cancelliere:Fruscella

Depositata in cancelleria il 13 gennaio 2011.

Il cancelliere: Fruscella

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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