Corte Costituzionale sentenza n. 1 SENTENZA 16 dicembre 2010 – 05 gennaio 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 2 del 12-1-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 1, commi
774, 775 e 776 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007), promosso dalla Corte dei conti – Sezione
giurisdizionale centrale d’appello nel procedimento vertente tra
Lascala Renata e l’I.N.P.D.A.P. con ordinanza del 16 novembre 2009
iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª serie speciale,
dell’anno 2010.
Visto l’atto di costituzione dell’I.N.P.D.A.P.;
Udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2010 il giudice
relatore Paolo Maddalena;
Udito l’avvocato Filippo Mangiapane per l’I.N.P.D.A.P.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 16 novembre 2009, la Corte dei conti –
Sezione giurisdizionale centrale d’appello, ha sollevato, in
riferimento agli articoli 111 e 117 della Costituzione, questione di
legittimita’ costituzionale dell’articolo 1, commi 774, 775 e 776,
della legge 29 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2007), «nella parte in cui – interpretando l’art. 1, comma 41, della
legge 8 agosto 1995, n. 335, nel senso che per le pensioni di
reversibilita’ sorte a decorrere dall’entrata in vigore della legge 8
agosto 1995, n. 335, l’indennita’ integrativa speciale gia’ in
godimento da parte del dante causa e’ attribuita nella misura
percentuale prevista per il trattamento di reversibilita’,
indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, e
abrogando il comma 5 dell’art. 15 della legge 23 dicembre 1994, n.
724 – fanno salvi, con riassorbimento sui futuri miglioramenti,
soltanto i trattamenti pensionistici piu’ favorevoli gia’ definiti, e
non anche quelli in corso di definizione, in sede di contenzioso».
1.1. – Secondo quanto evidenziato dal rimettente, Lascala Renata,
ricorrente nel giudizio a quo, e’ titolare di pensione di
reversibilita’ a decorrere dal 1° febbraio 2003, quale coniuge
superstite di Caruso Ugo, pensionato pubblico dal 1° dicembre 1991,
ed alla medesima e’ stata liquidata la pensione di reversibilita’
nella misura del sessanta per cento unitamente all’indennita’
integrativa speciale (I.I.S.) nella stessa misura.
La pensionata ha, quindi, proposto ricorso dinanzi alla Corte dei
conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria al fine di
ottenere il riconoscimento del diritto alla liquidazione
dell’indennita’ integrativa speciale (I.I.S.) in misura intera, «come
assegno accessorio da corrispondersi separatamente dalla pensione
base», secondo l’interpretazione dell’art. 15, comma 5, della legge
23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica), data dalle Sezioni riunite della Corte dei conti con la
pronuncia di massima n. 8/QM del 17 aprile 2002. Il giudice di primo
grado ha, invece, respinto il ricorso, applicando l’art. 1, comma
774, della legge n. 296 del 2006, «che ha fornito una interpretazione
autentica della normativa opposta a quella delle Sezioni riunite».
Il giudice a quo e’, dunque, chiamato a decidere sull’appello
proposto dalla pensionata avverso la anzidetta negativa decisione;
appello con il quale e’ stata eccepita l’incostituzionalita’ dei
commi 774, 775 e 776 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006.
1.2. – Cio’ evidenziato, il rimettente rammenta quale sia il
quadro normativo e giurisprudenziale in cui viene ad inscriversi la
disciplina oggetto del dubbio di costituzionalita’, rilevando che
l’art. 15 della legge n. 724 del 1994, al comma 3, ha stabilito, dal
1° gennaio 1995 ed in attesa «dell’armonizzazione delle basi
contributive e pensionabili previste dalle diverse gestioni
obbligatorie dei settori pubblico e privato», che le pensioni delle
forme esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria vengono
determinate «sulla base degli elementi retributivi assoggettati a
contribuzione, ivi compresa l’indennita’ integrativa speciale, ovvero
l’indennita’ di contingenza, ovvero l’assegno per il costo della vita
spettante»; aggiungendo, al comma 4, che la pensione cosi’
determinata e’ «reversibile, con riferimento alle categorie di
superstiti aventi diritto, in base all’aliquota in vigore nel regime
dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidita’, la
vecchiaia e i superstiti». Precisa, pero’, il rimettente che il comma
5 dello stesso art. 15 ha previsto che «le disposizioni relative alla
corresponsione della indennita’ integrativa speciale sui trattamenti
di pensione previste dall’art. 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324,
e successive modificazioni ed integrazioni, sono applicabili
limitatamente alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre
1994 e alle pensioni di reversibilita’ ad esse riferite».
A sua volta – argomenta ancora il giudice a quo – la legge 8
agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e
complementare), al comma 41 dell’art. 1, ha disposto l’estensione a
tutte le forme esclusive o sostitutive dell’assicurazione generale
obbligatoria (A.G.O.) della disciplina del trattamento pensionistico
prevista, per l’appunto, nel regime di A.G.O., facendo salvi i
trattamenti previdenziali piu’ favorevoli in godimento alla data di
entrata in vigore della stessa legge n. 335, «con riassorbimento sui
futuri miglioramenti».
Il rimettente ricorda che una «giurisprudenza minoritaria ha
interpretato questa disposizione, in quanto contenuta in una legge di
riforma organica del sistema pensionistico come abrogativa dell’art.
15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, che la giurisprudenza
prevalente, al contrario, ha ritenuto ancora vigente, dato il suo
carattere di norma transitoria e, come tale, non confliggente con la
disciplina generale». La medesima prevalente giurisprudenza ha,
peraltro, affermato che l’indennita’ integrativa speciale in misura
intera (secondo la legge 27 maggio 1959, n. 324, recante
«Miglioramenti economici al personale statale in attivita’ ed in
quiescenza») trovava applicazione alle pensioni dirette liquidate
entro il 31 dicembre 1994, «pur se le corrispondenti pensioni di
riversibilita’ siano liquidate dopo tale data».
In tale quadro, precisa il giudice a quo, le Sezioni riunite
della Corte dei conti, alle quali era stata devoluta questione di
massima, «con sentenza n. 8/QM del 17 aprile 2002, hanno abbracciato
la tesi maggioritaria, dichiarando che "in ipotesi di decessi di
pensionato, titolare di trattamento di riposo, liquidato prima del 31
dicembre 1994, il consequenziale trattamento di reversibilita’ deve
essere in ogni caso liquidato secondo le norme di cui all’art. 15,
comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, indipendentemente
dalla data della morte del dante causa. L’art. 1 comma 41 della legge
8 agosto 1995, n. 335 non ha effetto abrogativo dell’art. 15, comma 5
della legge 23 novembre 1994, n. 724"».
Nel delineato contesto, prosegue il rimettente, e’ intervenuto il
legislatore con la disciplina denunciata, prevedendo, al comma 774,
che l’estensione di disciplina operata a suo tempo dall’art. 1, comma
41, della legge n. 335 del 1995, «si interpreta nel senso che per le
pensioni di reversibilita’ sorte a decorrere dall’entrata in vigore
della legge 8 agosto 1995. n. 335, indipendentemente dalla data di
decorrenza della pensione diretta, l’indennita’ integrativa speciale
gia’ in godimento da parte del dante causa, parte integrante del
complessivo trattamento pensionistico percepito, e’ attribuita nella
misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilita’». Si
e’, poi, stabilito, al comma 775, la salvezza dei trattamenti piu’
favorevoli «in godimento alla data di entrata in vigore della
presente legge, gia’ definiti in sede di contenzioso, con
riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici». Si e’,
infine, provveduto, al comma 776, all’abrogazione dell’art. 15, comma
5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Ad avviso del rimettente, la normativa del 2006, «presentandosi
espressamente come interpretazione autentica, e quindi con efficacia
retroattiva, dell’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n.
335», avrebbe impedito al giudice delle pensioni di seguire
l’interpretazione fornita dalle Sezioni riunite del 2002; peraltro,
la Corte costituzionale, con sentenza n. 74 del 2008, ha dichiarato
non fondati i dubbi di costituzionalita’ prospettati sui citati commi
774-776, «ritenendo la ragionevolezza delle norme in questione, che
non potevano non tener conto "anche delle esigenze di bilancio"».
Con cio’, prosegue ancora il giudice a quo, la «giurisprudenza
prevalente della Corte dei conti ha di conseguenza ritenuto superata
e percio’ ha disatteso la pronuncia di massima delle Sezioni riunite,
proprio in applicazione all’art. 1, commi 774-776, della legge n. 296
del 2006». Tuttavia, a seguito dell’articolo 42 della legge 18 giugno
2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitivita’ nonche’ in materia di processo
civile), integrativo dell’articolo 1, comma 7, del d.l. 15 novembre
1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo
della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14
gennaio 1994, n. 19 (Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, recante disposizioni in
materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), la
sezione giurisdizionale, centrale o regionale, che ritiene di non
condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunire,
deve rimettere «a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione
del giudizio».
Secondo il rimettente, detta disposizione imporrebbe «una
maggiore cautela» nel considerare la sentenza delle Sezioni riunite
n. 8/QM/2002 «effettivamente travolta» dalla disciplina
interpretativa denunciata, cosi’ da suggerire «di accertare con
maggior rigore se detta normativa resista alle censure di
illegittimita’ costituzionale rivoltele dall’appellante». Difatti,
ove la Corte costituzionale dovesse dichiarare l’incostituzionalita’
delle norme censurate, la predetta sentenza delle Sezioni riunite
«rivivrebbe, dotata della novella efficacia attribuitale dall’art. 42
della legge n. 69 del 2009, e questo giudice non potrebbe che
conformarsi ad essa o rimettere la decisione alle stesse Sezioni
riunite»; di qui, «la sicura rilevanza delle questioni di
legittimita’ costituzionale».
1.3. – Cio’ premesso, il giudice a quo sostiene che i profili di
incostituzionalita’ della disciplina recata dai commi 774-776
dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, prospettati dalla parte
appellante in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 36 e 28 Cost.,
sarebbero privi di consistenza e, comunque, in parte gia’ scrutinati
nel senso della non fondatezza dalla Corte costituzionale con la
citata sentenza n. 74 del 2008.
Diversamente dovrebbe, invece, opinarsi, ad avviso del
rimettente, in relazione all’eccezione di legittimita’ costituzionale
che la stessa appellante, richiamando anche la sentenza della Corte
EDU 14 febbraio 2006 (Lecarpentier v. Francia), ha prospettato con
riferimento agli artt. 117 e 111 Cost., giacche’ le norme denunciate
non rispetterebbero, nel primo caso, «i vincoli internazionali
gravanti sullo Stato in forza della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo (CEDU), e piu’ specificamente il principio di preminenza
del diritto evincibile dal Preambolo CEDU e l’art. 1 del Protocollo
n. 1 della CEDU in tema di diritto di proprieta’»; mentre, nel
secondo caso, contrasterebbero con il principio di "equo processo",
posto che la relativa disciplina opererebbe «una palese ingerenza del
potere legislativo sul funzionamento del potere giudiziario, vietato
dalla CEDU».
Il rimettente reputa non manifestamente infondati i dubbi di
costituzionalita’ prospettati dalla parte appellante osservando che
il legislatore, con i denunciati commi 774-776, e’ intervenuto sul
"diritto vivente" costituito dalla pronuncia delle Sezioni riunite n.
8/QM/2002, introducendo «una normativa diversa ed opposta», alla
quale ha espressamente attribuito efficacia retroattiva,
qualificandola come di interpretazione autentica. La retroattivita’
della disciplina – argomenta il giudice a quo – «di per se’ non
sarebbe anticostituzionale», ma potrebbe «diventarlo indirettamente,
per via del contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.», andando
cosi’ a confliggere con l’art. 6, par. l, della CEDU, sottoscritta
dall’Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto
1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla
Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952).
1.3.1. – A tal riguardo, il rimettente sostiene che, in base
all’interpretazione della Corte di Strasburgo, nel contenuto
dell’art. 6 citato «rientra il divieto per lo Stato contraente, che
sia parte in un giudizio, di legiferare nella materia oggetto di
giudizio in corso ingerendosi cosi’ nell’amministrazione della
giustizia». E, secondo quanto precisato dalla Corte di cassazione,
Sezione lavoro, con l’ordinanza n. 22260 del 4 settembre 2008
(richiamando la sentenza della Corte di Strasburgo del 21 giugno
2007, in causa n. 12106/03 fra Scanner de l’Ouest e altri contro
Stato francese), per configurare detta ingerenza e’ sufficiente che
lo Stato, parte del giudizio, «possa conseguire, dall’applicazione
della nuova normativa, la positiva definizione della controversia in
suo favore», come, del resto, verrebbe ad accadere nel giudizio
principale per effetto delle norme denunciate.
Inoltre, il giudice a quo esclude che nel procedimento nel quale
e’ chiamato a decidere, avente ad oggetto materia pensionistica,
«parte in giudizio sia l’ente previdenziale e non lo Stato
legislatore», giacche’ in tal modo si vanificherebbe
l’interpretazione fornita dalla Corte EDU non potendo quasi mai
ravvisarsi la fattispecie da essa «stigmatizzata». Sarebbe, invece,
«conforme a ragionevolezza» reputare – prosegue il rimettente – che
la fattispecie anzidetta «si verifichi ogni volta che vengano in
questione pubbliche risorse, e la nuova normativa abbia l’effetto di
salvaguardare tali risorse in danno della privata controparte».
1.3.2. – Il rimettente ritiene, altresi’, di sollevare la
questione di costituzionalita’ anche in riferimento all’art. 111
Cost., sostanzialmente corrispondendo al «giusto processo», di cui a
tale norma, l’«equo processo» di cui all’art. 6 della CEDU.
Non potrebbe, infatti, considerarsi «giusto» «un processo nel
corso del quale una delle parti e’ arbitra di "cambiare le carte in
tavola" e i parametri normativi del giudizio, travolgendo le
aspettative della controparte, che tale giudizio ha promosso sulla
base di norme e di orientamenti giurisprudenziali diversi». Cosi’
operando, «lo Stato – considerato unitamente nei suoi Poteri – cessa
di essere giudice terzo e imparziale».
In definitiva, secondo la Corte dei conti rimettente, non sarebbe
manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale
dei commi 774-776 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007, «i quali,
nell’imporre una interpretazione del sistema che non puo’ che portare
a una decisione di siffatte vertenze favorevole all’erario pubblico e
sfavorevole al pensionato pretendendo che tale interpretazione abbia
efficacia nei procedimenti giudiziari in corso, sembrano violare
l’art. 111 Cost., che postula il giusto processo, nonche’ l’art. 6
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e di converso l’art.
117 Cost., a norma del quale l’attivita’ legislativa trova un limite
nella necessita’ del rispetto degli obblighi internazionali».
Il giudice a quo esclude che possa addivenirsi ad una lettura
costituzionalmente orientata della disciplina denunciata, «resa
impossibile dal chiaro e inequivoco dettato del comma 775»; esclude,
infine, che la medesima disciplina possa essere "disapplicata", non
essendo le norme della CEDU «ancora "comunitarizzate"» e rimanendo
«pertanto mere norme internazionali, prive di efficacia diretta
nell’ordinamento italiano».
2. – Si e’ costituito l’INPDAP, parte appellata nel giudizio
principale, concludendo per l’inammissibilita’ della questione o, in
subordine, per una declaratoria di non fondatezza.
2.1. – L’Istituto, nel delineare l’evoluzione normativa e
giurisprudenziale interessante lo specifico settore, rammenta, in
primo luogo, che in ordine alla portata ed agli effetti dell’art. 1,
comma 41, della legge n. 335 del 1995 sulla previgente disciplina
recata dall’art. 15 della legge n. 724 del 1994 e, segnatamente, dal
relativo comma 5, si contrapponevano due interpretazioni, avendo poi
le Sezioni riunite della Corte dei conti, con la sentenza n. 8/QM/02,
seguito l’indirizzo maggioritario, cosi’ da negare l’abrogazione
implicita del detto comma dell’art. 15 della legge n. 724 del 1994 da
parte del comma 41 dell’art. 1 della legge n. 335 del 1995. La parte
costituita sostiene, tuttavia, che un tale arresto giurisprudenziale
non si presentava consonante con gli orientamenti di massima della
giurisprudenza costituzionale e di quella ordinaria in tema di
affidamento nella certezza giuridica e sulla natura della pensione di
reversibilita’, con la conseguenza che «l’interpretazione delle
Sezioni Riunite del Giudice contabile non poteva considerarsi
risolutiva». Di qui, per l’appunto, l’intervento legislativo del
2006, di chiarificazione e sistemazione organica della materia,
dovendo pertanto ascriversi alle norme denunciate natura
effettivamente interpretativa; norme che, del resto, hanno superato
il vaglio di costituzionalita’, in riferimento agli artt. 3 e 38
Cost., a seguito della sentenza n. 74 del 2008, di non fondatezza.
2.2. – Cio’ premesso, l’INPDAP argomenta, quindi,
sull’inammissibilita’ della questione per contraddittorieta’ della
motivazione in ordine alla rilevanza, avendo il rimettente fatto
riferimento alla necessita’, derivante dall’art. 42 della legge n. 69
del 2009, di «conformarsi al dictum dell’organo nomofilattico del
Giudice delle pensioni», rappresentato dalla sentenza delle Sezioni
riunite n. 8/QM/ 2002, pur riconoscendo che le norme denunciate,
emanate nel 2006, hanno gia’ superato il vaglio di costituzionalita’.
Semmai, soggiunge l’Istituto, il giudice a quo avrebbe dovuto
rimettere nuovamente la decisione sulla questione di massima alle
Sezioni riunite e non gia’ sollevare la questione per ottenere
l’avallo di una determinata interpretazione della disciplina
censurata.
2.3. – Inoltre, ad avviso della parte costituita, la questione
sarebbe inammissibile, o comunque infondata, riproponendo,
sostanzialmente, profili su cui la Corte costituzionale si e’ gia’
pronunziata con la citata sentenza n. 74 del 2008 e, sebbene avuto
riguardo ad altra normativa di interpretazione autentica, con la
sentenza n. 311 del 2009, in riferimento agli artt. 111 e 117 Cost.
ed alla CEDU.
Proprio con quest’ultima pronuncia, avente ad oggetto l’art. 1,
comma 218, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2006) – nella specie, concernente la regolamentazione del
personale A.T.A. – si e’ riconosciuto, ad avviso dell’INPDAP, che
l’emanazione di norme interpretative, anche in corso di giudizio, non
si pone necessariamente in contrasto con la normativa della CEDU,
avendo la stessa Corte di Strasburgo escluso la violazione dell’art.
6, «qualora, oltre a motivi cogenti di interesse generale, il
Legislatore debba ristabilire l’originario intento della norma
interpretata, nonche’ correggere un’imperfezione tecnica della legge
interpretata».
Di qui, si argomenta diffusamente nella memoria, la non
fondatezza, anche manifesta, della questione prospettata dal
rimettente, posto che il legislatore del 2006, attenendosi ad
"imperiosi motivi di interesse generale": a) «si e’ proposto di
definire ed armonizzare il complesso quadro normativo in tema di
trattamento di quiescenza spettante ai superstiti, eliminando le
precedenti differenze esistenti tra il comparto pubblico e quello
privato»; b) «ha inteso garantire una generale perequazione
dell’importo spettante a titolo di indennita’ integrativa speciale,
ricomprendendola all’interno del complessivo trattamento di
quiescenza»; c) «non ha pregiudicato i diritti acquisiti in modo
definitivo, proprio perche’ ha inciso, con la norma interpretativa,
solamente sulle questioni ancora pendenti ed accogliendo un indirizzo
giurisprudenziale in precedenza elaborato»; d) «ha risolto una
imperfezione tecnica, raccordando la normativa transitoria, recata
dall’art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, con la
sopravvenuta disciplina di ampia riforma pensionistica, e
segnatamente con quanto da essa disposto all’art. 1, comma 41»; e)
«non ha pregiudicato lo svolgimento di un processo equo cosi’ come
puo’ evincersi dalla circostanza che in detta materia la questione e’
stata devoluta» alla stessa Corte costituzionale.
2.3.1. – L’INPDAP evidenzia altresi’ che la disciplina
denunciata, riguardante una materia, come quella previdenziale,
incidente in modo particolare sugli equilibri di bilancio, avrebbe
assunto una funzione perequativa e «non necessariamente peggiorativa»
del trattamento pensionistico degli interessati, posto che l’adesione
al dictum recato dalla sentenza delle Sezioni riunite del 2002 aveva
determinato, in un consistente filone giurisprudenziale, il
riconoscimento dell’I.I.S. in forma separata ed in misura intera,
unitamente pero’ alla liquidazione della pensione di reversibilita’
nella percentuale del 50% (spettante ai pensionati del settore
pubblico) e non gia’ del 60% prevista per il settore privato, cosi’
da rendersi, in talune ipotesi (quelle in cui l’importo della sola
voce pensione risultava superiore all’importo dell’indennita’
integrativa speciale), pregiudizievole per il pensionato.
Peraltro, soggiunge l’Istituto, si erano formate anche prassi
giurisprudenziali, non collimanti con il sistema normativo, per cui
l’indennita’ integrativa speciale veniva liquidata per intero e la
pensione di reversibilita’ nella misura del 60%, ovvero la stessa
indennita’ veniva conglobata per intero nella pensione di
reversibilita’.
In tale contesto, sostiene la parte costituita, l’intervento
legislativo censurato «e’ stato, dunque, non solo opportuno ma anche
necessario, sia per consentire la compiuta applicazione dei principi
di riforma economico-sociale dettati gia’ nel 1995, sia per
ristabilire certezza del diritto».

Considerato in diritto

1. – La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale centrale
d’appello, ha sollevato questione di legittimita’ costituzionale dei
commi 774, 775 e 776 dell’articolo 1 della legge 29 dicembre 2006, n.
296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) «nella parte in cui
– interpretando l’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n.
335, nel senso che per le pensioni di reversibilita’ sorte decorrere
dall’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335,
l’indennita’ integrativa speciale gia’ in godimento da parte del
dante causa e’ attribuita nella misura percentuale prevista per il
trattamento di reversibilita’, indipendentemente dalla data di
decorrenza della pensione diretta, e abrogando il comma 5 dell’art.
15 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 – fanno salvi, con
riassorbimento sui futuri miglioramenti, soltanto i trattamenti
pensionistici piu’ favorevoli gia’ definiti, e non anche quelli in
corso di definizione, in sede di contenzioso».
Ad avviso del giudice rimettente, le norme censurate violerebbero
gli articoli 111 e 117 della Costituzione, giacche’, «nell’imporre
una interpretazione del sistema che non puo’ che portare a una
decisione di siffatte vertenze favorevole all’erario pubblico e
sfavorevole al pensionato pretendendo che tale interpretazione abbia
efficacia nei procedimenti giudiziari in corso», verrebbero a porsi
in contrasto con il principio del "giusto processo", nonche’ «con
l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e di
converso (con) l’art. 117 Cost., a norma del quale l’attivita’
legislativa trova un limite nella necessita’ del rispetto degli
obblighi internazionali».
2. – In via preliminare, e’ da respingere l’eccezione di
inammissibilita’ avanzata dell’INPDAP in ragione della asserita
contraddittorieta’ della motivazione dell’ordinanza di rimessione
quanto alla rilevanza della questione, avendo il giudice a quo fatto
riferimento alla necessita’, derivante dall’art. 42 della legge n. 69
del 2009, di «conformarsi al dictum dell’organo nomofilattico del
Giudice delle pensioni», rappresentato dalla sentenza delle Sezioni
riunite n. 8/QM/ 2002, pur riconoscendo che le norme denunciate,
emanate nel 2006, hanno gia’ superato il vaglio di costituzionalita’.
L’accesso alla delibazione di merito dell’incidente di
costituzionalita’ e’, infatti, consentito in ragione della chiara
affermazione da parte dello stesso rimettente circa l’applicabilita’
della disciplina censurata alla fattispecie oggetto di cognizione,
tale che, proprio in base ad essa, l’appello della pensionata
dovrebbe essere respinto.
3. – Nel merito, le questioni non sono fondate.
4. – La prospettazione del giudice a quo, che si incentra
sull’asserito contrasto delle disposizioni denunciate con il
principio del giusto processo quale desumibile anche dall’articolo 6
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), sottoscritta
dall’Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto
1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla
Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), impone, in
primo luogo, di verificare, alla luce della giurisprudenza di questa
Corte, se sussistano le condizioni che consentano un siffatto
scrutinio.
A tal riguardo, in piu’ di un’occasione questa Corte ha affermato
che le norme della CEDU, nel significato loro attribuito dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo (art. 32, paragrafo 1, della
Convenzione), integrano, quali «norme interposte», il parametro
costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella
parte in cui impone il rispetto dei vincoli derivanti dagli «obblighi
internazionali» (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, n. 311 e n. 317
del 2009, n. 93 del 2010). Pertanto, ove emerga un eventuale
contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, il giudice
nazionale comune deve preventivamente verificare la possibilita’ di
una interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale,
ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica
(sentenze n. 239 del 2009 e n. 93 del 2010), e, in caso negativo,
deve investire la Corte costituzionale del dubbio di legittimita’ in
riferimento al citato art. 117 (sentenze n. 239 del 2009 e n. 196 del
2010).
In siffatta evenienza, questa Corte e’ tenuta a verificare che il
contrasto sussista e «che sia effettivamente insanabile attraverso
una interpretazione plausibile, anche sistematica, della norma
interna rispetto alla norma convenzionale, nella lettura datane dalla
Corte di Strasburgo» (sentenza n. 311 del 2009). Sicche’, nel caso in
cui sia riscontrato detto contrasto (e non si ponga problema di
conflitto della norma CEDU con altre norme della Costituzione), la
norma interna dovra’ essere dichiarata costituzionalmente illegittima
per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla
invocata norma della CEDU.
5. – Alla luce di quanto premesso, e’ necessario, quindi,
soffermarsi sulla portata della disciplina denunciata, che e’ stata
gia’ oggetto di esame da parte di questa Corte, la quale, con le
sentenze n. 74 del 2008 e n. 228 del 2010, ha dichiarato la non
fondatezza delle questioni allora sollevate in riferimento a
parametri differenti da quello di cui all’art. 117, primo comma,
Cost.
5.1. – In particolare, occorre rammentare che le questioni decise
dalla sentenza n. 74 del 2008 investivano il comma 774 dell’art. 1
della legge n. 296 del 2006, censurato sulla premessa dell’esistenza
di un diritto vivente alla pensione di reversibilita’ nel caso di
decesso di titolare di pensione diretta liquidata entro il 31
dicembre 1994, da liquidarsi in base alle norme di cui all’art. 15,
comma 5, della legge n. 724 del 1994, indipendentemente dalla data
della morte del dante causa, non avendo l’art. 1, comma 41, della
legge n. 335 del 1995 abrogato il comma 5 dell’art. 15 appena citato.
La norma denunciata, nello smentire un siffatto diritto vivente,
era stata, quindi, ritenuta in contrasto – dai giudici a quibus – con
l’art. 3 della Costituzione, non potendo l’intervento legislativo
essere qualificato come norma di interpretazione autentica e ledendo,
comunque, il principio dell’affidamento nella sicurezza giuridica.
La Corte, nel ricostruire il quadro normativo di riferimento,
pose allora in luce come nel settore privato operasse, «da epoca
risalente, il principio di onnicomprensivita’ della retribuzione
pensionabile, essendo essa individuata in base ad un coacervo di
elementi che, salvo specifiche eccezioni, entrano, tutti, a comporla,
secondo le disposizioni che recano la disciplina di riferimento».
Diversamente nel settore pubblico, in base al sistema originariamente
delineato dal decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre
1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul
trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello
Stato), si prevedeva che la pensione del pubblico dipendente fosse
calcolata su una determinata base pensionabile «e, una volta
determinata la prestazione, a questa si aggiungeva l’indennita’
integrativa speciale, la quale – come reso palese dall’art. 2 della
legge n. 324 del 1959 e poi dall’art. 99 del t.u. del 1973 – era
elemento accessorio del trattamento pensionistico». Di qui, la
diversita’ di detti sistemi, che si ripercuoteva, pertanto, sul
calcolo della pensione di reversibilita’, spettante al superstite in
misura percentuale rispetto alla pensione diretta del dante causa:
nel «settore privato il 60 per cento in favore del coniuge (aliquota
fissata dall’art.13 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, modificato
anche dall’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903) era calcolato
sulla pensione del dante causa determinata in base al principio di
onnicomprensivita’ (includente quindi tutti gli elementi retributivi
sui quali operava l’aliquota del 60 per cento); nel settore pubblico,
una volta determinata la pensione diretta e calcolata su questa la
misura spettante al pensionato di reversibilita’ (al coniuge, in
forza dell’art. 88 del t.u., il 50 per cento, di regola, della
pensione del dante causa), si aggiungeva, in misura piena,
l’indennita’ integrativa speciale».
Su un tale assetto era, dunque, intervenuto l’art. 15 della legge
23 dicembre 1994, n. 724, stabilendo «che la corresponsione
dell’indennita’ integrativa speciale nella misura piena si sarebbe
dovuta fermare (per dar luogo, poi, al suo conglobamento nel
trattamento pensionistico, con liquidazione complessiva di esso nella
misura percentuale del 60 per cento secondo quanto previsto
dall’assicurazione speciale obbligatoria), per quanto riguarda le
pensioni dirette, al 31 dicembre 1994, ed avrebbe potuto continuare
ad essere corrisposta alle pensioni di reversibilita’, purche’
"riferite" alle pensioni dirette liquidate entro detta data».
Con il successivo art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995
si stabili’ «che la disciplina del trattamento di reversibilita’ in
essere nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria fosse esteso anche
al settore pubblico – determinando cosi’ la liquidazione della
pensione con il conglobamento della indennita’ integrativa speciale –
dalla data di entrata in vigore della legge stessa (e cioe’ dal 17
agosto 1995)». Tuttavia, il problema della implicita abrogazione, per
effetto della successione delle leggi nel tempo, del comma 5 della
legge n. 724 del 1994, venne risolto in termini negativi dalla
giurisprudenza maggioritaria della Corte dei conti.
5.2. – In tale quadro, la sentenza n. 74 del 2008, nello
scrutinare le questioni allora prospettate, affermo’, anzitutto, che
l’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 «pone in rilievo due
dati essenziali: a) l’indipendenza del trattamento pensionistico di
reversibilita’ rispetto alla data di liquidazione della pensione
diretta del dante causa; b) la decorrenza della estensione della
disciplina della pensione di reversibilita’ prevista
dall’assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive o
sostitutive di detto regime dalla data di entrata in vigore della
legge n. 335 del 1995». Sicche’, in riferimento alla decorrenza della
estensione della disciplina a regime della assicurazione generale
obbligatoria, la norma censurata risultava effettivamente
interpretativa dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995,
giacche’ l’intervento del legislatore era stato dettato
dall’«atteggiamento della giurisprudenza contabile, sicuramente
maggioritaria, ma non univoca, essendo presenti anche orientamenti
diversi», cosi’ da scegliere, «in definitiva, uno dei possibili
significati della norma interpretata».
La Corte preciso’, anche, che l’abrogazione – ad opera del comma
776 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 – del comma 5 dell’art.
15 della legge n. 724 del 1994, non poteva reputarsi irragionevole
per contraddittorieta’, «giacche’ essa risulta rispondente ad una
esigenza di ordine sistematico imposta proprio dalle vicende che
hanno segnato la sua applicazione».
Inoltre, potendo il legislatore, in sede di interpretazione
autentica, «modificare in modo sfavorevole, in vista del
raggiungimento di finalita’ perequative, la disciplina di determinati
trattamenti economici con esiti privilegiati senza per questo violare
l’affidamento nella sicurezza giuridica (sent. n. 6 del 1994 e sent.
n. 282 del 2005), la’ dove, ovviamente, l’intervento possa dirsi non
irragionevole», nella specie era da escludersi una siffatta
irragionevolezza anche perche’ «l’assetto recato dalla norma
denunciata riguarda anche il complessivo riequilibrio delle risorse e
non puo’, pertanto, non essere attenta alle esigenze di bilancio».
Infine, ulteriore elemento a supporto della non irragionevolezza
dell’intervento legislativo si e’ radicato nel fatto che «il
legislatore, con il comma 775 dell’art. 1 della stessa legge n. 296
del 2006, ha salvaguardato i trattamenti di miglior favore gia’
definiti in sede di contenzioso, con cio’ garantendo non solo la
sfera del giudicato, ma anche il legittimo affidamento che su tali
trattamenti soltanto poteva dirsi ingenerato».
5.3. – Con la successiva sentenza n. 228 del 2010, questa Corte,
ripercorrendo l’impianto argomentativo della sentenza precedente, ha
ribadito, tra l’altro, l’insussistenza dei denunciati profili di
irragionevolezza dell’intervento legislativo che ha portato a regime
il conglobamento della indennita’ integrativa speciale nella pensione
di reversibilita’ dalla data di entrata in vigore della stessa legge
n. 335 del 1995, posto che esso, operando su rapporti di durata, e’
volto a soddisfare «esigenze, non solo di contenimento della spesa
pubblica, ma anche di armonizzazione dei trattamenti pensionistici
tra settore pubblico e privato».
6. – Cio’ premesso, venendo all’applicazione, da parte della
Corte di Strasburgo, dell’art. 6 della CEDU, in relazione alle norme
nazionali interpretative concernenti disposizioni oggetto di
procedimenti nei quali e’ parte lo Stato, giova rammentare – come
messo gia’ in luce dalla sentenza n. 311 del 2009 di questa Corte
(emessa nel giudizio incidentale di legittimita’ costituzionale
promosso a seguito, anche, dell’ordinanza n. 22260 del 2008 della
Corte Suprema di Cassazione e cioe’ della medesima pronuncia su cui,
in parte, fa leva la motivazione del rimettente in punto di non
fondatezza della sollevata questione) – che la legittimita’ di tali
interventi e’ stata riconosciuta: 1) in presenza di "ragioni storiche
epocali", come nel caso della riunificazione tedesca, unitamente alla
considerazione «della sussistenza effettiva di un sistema che aveva
garantito alle parti, che contestavano le modalita’ del riassetto,
l’accesso a, e lo svolgimento di, un processo equo e garantito» (caso
Forrer-Niederthal c. Germania, sentenza del 20 febbraio 2003); 2) per
«ristabilire un’interpretazione piu’ aderente all’originaria volonta’
del legislatore», al fine di «porre rimedio ad una imperfezione
tecnica della legge interpretata» (sentenza 23 ottobre 1997, nel caso
National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building
Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito; sentenza del 27
maggio 2004, Ogis-institut Stanislas, Ogec St. Pie X e Blanche De
Castille e altri c. Francia).
Alla stregua di quanto evidenziato dalla citata sentenza n. 311
del 2009 nella vicenda da essa scrutinata, i principi in materia
richiamati dalla giurisprudenza delle Corte europea «costituiscono
espressione di quegli stessi principi di uguaglianza, in particolare
sotto il profilo della parita’ delle armi nel processo,
ragionevolezza, tutela del legittimo affidamento e della certezza
delle situazioni giuridiche, che questa Corte ha escluso siano stati
vulnerati dalla norma qui censurata».
Peraltro, in quell’occasione si e’ anche soggiunto che
l’identificazione dei "motivi imperativi d’interesse generale", che
suggeriscono al legislatore nazionale interventi interpretativi, e’
opportuno che sia in parte lasciata agli stessi Stati contraenti,
«trattandosi, tra l’altro, degli interessi che sono alla base
dell’esercizio del potere legislativo», considerato che «le decisioni
in questo campo implicano, infatti, una valutazione sistematica di
profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e
sociali».
7. – Nella complessiva cornice dianzi tratteggiata, deve
ritenersi che le denunciate norme di cui ai commi 774, 775 e 776
dell’art. 1 della legge 29 dicembre 2006, n. 296, sono effettivamente
interpretative e assumono come referente un orientamento
giurisprudenziale presente, seppur minoritario, cosi’ da scegliere,
«in definitiva, uno dei possibili significati della norma
interpretata».
Inoltre, se si tiene presente che nella fattispecie vengono in
evidenza rapporti di durata, non puo’ parlarsi di un legittimo
affidamento nella loro immutabilita’, mentre d’altro canto si deve
tenere conto del fatto che le innovazioni che sono state apportate, e
che non hanno trascurato del tutto i diritti acquisiti, hanno non
irragionevolmente mirato alla armonizzazione e perequazione di tutti
i trattamenti pensionistici, pubblici e privati. La legge n. 335 del
1995, infatti, ha costituito il primo approdo di un progressivo
riavvicinamento della pluralita’ dei sistemi pensionistici, con
effetti strutturali sulla spesa pubblica e sugli equilibri di
bilancio, anche ai fini del rispetto degli obblighi comunitari in
tema di patto di stabilita’ economica finanziaria nelle more del
passaggio alla moneta unica europea.
L’intervento legislativo ha, poi, salvaguardato i trattamenti di
miglior favore gia’ definiti in sede di contenzioso, «con cio’
garantendo non solo la sfera del giudicato, ma anche il legittimo
affidamento che su tali trattamenti poteva dirsi ingenerato»
(sentenza n. 74 del 2008).
Infine, in modo particolare e «determinante» – come posto in
risalto anche nella sent. n. 311 del 2009 – il «processo equo» e con
esso il «giusto processo», ha trovato concretezza ed effettivita’
anche tramite l’incidente di costituzionalita’ in una duplice
occasione «conclusosi con una dichiarazione di infondatezza della
questione, rispetto a parametri costituzionali coerenti con la norma
convenzionale, pienamente compatibile, cosi’ interpretata, con il
quadro costituzionale italiano».
8. – Di qui, pertanto, la non fondatezza della questione, sotto
entrambi i profili di censura che evocano la lesione degli artt. 117,
primo comma, Cost. e 6 CEDU, da un lato, e art. 111 Cost.,
dall’altro, i quali, con riguardo al caso di specie e secondo le
stesse prospettazioni del rimettente, si presentano del tutto
sovrapponibili.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 1, commi 774, 775 e 776, della legge 29 dicembre 2006,
n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, in
riferimento agli articoli 111 e 117 della Costituzione, dalla Corte
dei conti – Sezione giurisdizionale centrale d’appello, con
l’ordinanze in epigrafe indicata.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2010.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Maddalena

Il cancelliere: Fruscella

Depositata in cancelleria il 5 gennaio 2011.

Il cancelliere: Fruscella

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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