Cass. pen., sez. V 31-03-2008 (13-03-2008), n. 13570 Fatto ingiusto altrui – Nozione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RILEVATO IN FATTO
– che con l’impugnata sentenza, in riforma di quella di primo grado pronunciata dal giudice di pace di Riva del Garda in data 19 ottobre 2006, T.F. venne assolto dal reato di ingiuria aggravata nei confronti dei vigili urbani S.M. e O.M. in quanto ritenuto non punibile ai sensi dell’art. 599 c.p., comma 2, essendosi ritenuto provocatorio il comportamento dei suddetti vigili essenzialmente per avere essi richiesto senza valida ragione al T., già da loro conosciuto ed in quel momento non alla guida del proprio veicolo, ma intento ad operazioni di carico o scarico di oggetti, l’esibizione della patente di guida, nonchè per avergli negato la possibilità di una cd. "sosta operativa", consentita per attività agricole, nonostante che gli oggetti da caricare fossero costituiti da damigiane e fossero quindi – si afferma – riconducibili al suddette genere di attività;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la costituita parte civile S.M. denunciando mancanza e manifesta illogicità della motivazione sull’assunto, in sintesi e nell’essenziale, che:
1) non sarebbe stato tenuto conto del fatto, emergente dalle dichiarazioni rese in veste di testimoni dallo stesso S. e dal collega O., che almeno alcune delle espressioni ingiuriose attribuite al T. sarebbero state da questi pronunciante alla semplice vista dell’autovettura dei vigili, ferma ad uno "stop" e, pertanto, prima che fosse stato posto in essere dagli stessi vigili alcun comportamento, qualificabile o meno come provocatorio, nei confronti dell’imputato;
2) in ogni caso la richiesta di esibizione della patente come pure la ritenuta insussistenza delle condizioni nelle quali si sarebbe potuta consentire la "sosta operativa" non sarebbero state qualificabili come condotte provocatorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso appare meritevole di accoglimento, in quanto:
a) con riguardo al primo motivo, sussiste in effetti il denunciato vizio di motivazione, dal momento che nell’impugnata sentenza risulta totalmente ignorata la dettagliata ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado secondo la quale il T. avrebbe iniziato ad inveire con espressioni ingiuriose (tra le quali "siete venuti a rompere i coglioni"; "siete degli ignoranti") alla sola vista dei vigili urbani, fermi con la loro autovettura di servizio ad un segnale di "stop", senza che gli stessi, fino a quel momento, avessero posto in essere alcuna iniziativa nei di lui confronti; il che, se vero, avrebbe dovuto escludere in radice, almeno per questa prima parte della condotta attribuita al prevenuto, la configurabilità della provocazione;
b) del tutto ingiustificata appare poi, comunque, così come denunciato nel secondo motivo di ricorso, la ritenuta sussistenza della suddetta scriminante, giacchè:
b/1) il fatto che il T. non fosse in quel momento alla guida del proprio veicolo e fosse persona già conosciuta dai vigili urbani non avrebbe potuto, di per sè, dar luogo in alcun modo alla ritenuta connotazione di illegittimità della richiesta di esibizione della patente di guida, atteso che anche i veicoli in sosta sulla pubblica via sono da ritenere, tecnicamente, in circolazione e che pertanto trova applicazione, nei confronti dei loro conducenti, il disposto di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 192, comma 2, in base al quale essi, a richiesta dei soggetti a ciò legittimati, ivi compresi gli agenti della polizia municipale, sono tenuti ad esibire, tra gli altri documenti, anche la patente di guida (in tal senso, già nella vigenza dell’omologa previsione di cui al D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 135 Cass. 6, 18 gennaio – 22 marzo 1968 n. 56, Duval, RV 107249); e nulla rileva la previa conoscenza, da parte dei richiedenti, della identità del conducente, essendo la norma anzidetta da ritenersi finalizzata non solo all’accertamento di detta identità ma anche, più in generale, alla verifica delle condizioni cui, per legge, è subordinata la circolazione e la conduzione di veicoli;
b/2) quanto alla ritenuta insussistenza, da parte dei vigili, delle condizioni nelle quali sarebbe stata consentita la cd. "sosta operativa" per attività agricole, del tutto apodittico appare il giudizio espresso nell’impugnata sentenza, secondo cui si sarebbe trattato di una condotta qualificabile addirittura come "vessatoria" sol perchè, nella soggettiva e per nulla argomentata opinione del giudicante, sarebbe stata da considerare come attività agricola quella costituita dal carico di damigiane su di un’autovettura;
b/3) in ogni caso, ammesso e non concesso che nella condotta dei vigili urbani fossero ravvisatali profili di illegittimità, ciò non sarebbe stato comunque sufficiente a far ritenere automaticamente sussistenti gli estremi della provocazione prevista dall’art. 599 c.p., comma 2 non trattandosi comunque di quella che la giurisprudenza, nel definire il concetto di "fatto ingiusto" richiamato in detta norma, qualifica come "illegittimità intrinseca" (in tal senso, fra le altre: Cass. 5, 16 ottobre – 9 dicembre 1986 n. 13942, Tivioli, RV 174568; Cass. 5, 25 marzo – 19 maggio 1993 n. 5111, Ruggeri, RV 195371), posto che la suddetta nozione di "illegittimità intrinseca" non può certo mutuarsi dai criteri in base ai quali si riconosce la illegittimità di un atto amministrativo, ma trova la sua realizzazione solo in comportamenti i quali "ictu oculi", neppure astrattamente possano trovare giustificazione alcuna in una qualche disposizione normativa (entro i margini di opinabilità consentiti dalla sua formulazione), ovvero nelle regole comunemente accettate della civile convivenza; al che può aggiungersi che, trattandosi (come nella specie) di ingiuria nei confronti di pubblici ufficiali nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, può ancora utilmente farsi riferimento, quando si faccia questione in ordine alla esistenza o meno della scriminante della provocazione costituita dal fatto ingiusto dell’offeso, all’analoga scriminante della reazione ad un "atto arbitrario" del pubblico ufficiale, prevista per il reato (tra gli altri) di oltraggio a pubblico ufficiale (ora abrogato) dal D.Lgs. cit. 14 settembre 1944 n. 288; disposizione, questa, con riguardo alla quale la giurisprudenza ha costantemente escluso che la mera illegittimità dell’atto coincidesse con l’arbitrarietà, richiedendosi per la configurabilità di quest’ultima che "il pubblico ufficiale ecceda dai suoi poteri con la piena consapevolezza di farlo, per perseguire uno scopo estraneo alle sue funzioni, o che usi mezzi non consentiti dall’ordinamento giuridico o si avvalga del suo potere in modo aggressivo, vessatorio o anche semplicemente sconveniente e non consono alle regole della normale convivenza civile" (così, ad es., Cass. 6, 24 giugno – 28 settembre 1999 n. 11093, PM in proc. Egidio Carmine, RV 214335; nello stesso senso, sostanzialmente: Cass. 6, 21 giugno – 27 ottobre 2006 n. 36009, Tonione ed altro, RV 235430, per la quale la scriminante in discorso richiede "il consapevole travalicamento, da parte del pubblico ufficiale, dei limiti e delle modalità entro cui le pubbliche funzioni debbono essere esercitate";
Cass. 6, 2 ottobre – 4 novembre 1998 n. 11518, Suriani, RV 212012, secondo cui l’arbitrarietà deve consistere "in un comportamento che manifesti, per capriccio, malanimo, sopruso, settarietà, prepotenza e altri simili motivi, una deliberata intenzione di nuocere");
– che, pertanto, l’impugnata sentenza non può che essere annullata, ai soli effetti civili, con rinvio, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale, nella massima libertà di valutazione degli elementi di fatto acquisiti o che venissero acquisiti, dovrà tuttavia evitare il riprodursi dei segnalati vizi di motivazione e non discostarsi dai principi di diritto dianzi indicati;
– che l’accoglimento del ricorso della parte civile comporta la condanna del soccombente imputato alla rifusione, in favore della medesima, delle spese sostenute in questo grado, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte annulla, ai soli effetti civili, la sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello. Condanna l’imputato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in Euro 2.500,00 più accessori come per legge.

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