Cass. pen., sez. I 25-03-2008 (06-03-2008), n. 12715 Retrodatazione dei termini in caso di connessione teleologica – Sussistenza di tale connessione tra omicidi commessi in una guerra di mafia e reato associativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1 – Con ordinanza in data 21.6.2007 il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ritenendo la inapplicabilità nella specie della disciplina di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, ha rigettato l’appello proposto da C. G. contro il provvedimento 16.4.2007 del GIP Distrettuale presso lo stesso Tribunale che aveva respinto la istanza di scarcerazione del suddetto imputato per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., in relazione al procedimento penale n. 3060/03 R.G.N.R. e 3053/04 R.G. GIP (cd. (OMISSIS)) nel cui ambito era stata emessa dal GIP in data ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del C.G. per il concorso nell’omicidio di C.A. (art. 61 c.p., comma 1, art. 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 1, artt. 605, 575 c.p., art. 577 c.p., comma 1, nn. 3 e 4).
2 – Il C.G. aveva dedotto che la custodia cautelare doveva essere retrodatata poichè era stato tratto in arresto in esecuzione di altra precedente ordinanza di custodia cautelare emessa, nell’ambito della cd. Operazione (OMISSIS), per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, per cui aveva subito un periodo di carcerazione preventiva, in relazione al quale il reato contestato con la ordinanza nell’ambito del processo cd. (OMISSIS) si poneva in connessione teleologica per il contesto mafioso in cui era stato deliberato al fine di agevolare la operatività del sodalizio di riferimento; con la conseguenza che i termini di custodia cautelare dovevano decorrere dal giorno in cui era stata eseguita la prima ordinanza, a norma dell’art. 297 c.p.p., comma 3, ed erano pertanto scaduti.
3 – Il Tribunale del riesame, pur aderendo alla tesi più garantista affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte con le recenti R. e L., rispettivamente del 22.3.2005 e 19.12.2006, per cui non appariva rilevante che si trattasse di reati contestati in procedimenti separati, sotto il profilo che il ritardo anche incolpevole non poteva rendere più gravosa la situazione della persona sottoposta a custodia cautelare, ha però respinto le prospettazioni del C.G. ritenendo, in primo luogo, che non sussistesse nè continuazione nè il nesso teleologico fra i fatti delittuosi oggetto dell’attuale processo cd. (OMISSIS) e quelli precedenti cd. (OMISSIS) nel cui ambito era stato indagato il C.G.. Ha all’uopo rilevato che i diversi fatti di sangue – che non rappresentavano la finalità per cui la associazione era stata costituita e continuava ad esistere – non erano stati consumati per eseguire il delitto associativo, che aveva natura permanente e persistente rispetto ai singoli omicidi. Ha poi richiamato anche il principio per cui occorreva, in caso di ordinanze emesse in procedimenti separati, che i fatti oggetto della seconda ordinanza fossero stati commessi prima della emissione della prima ordinanza e che gli elementi fondanti la seconda ordinanza fossero già desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza, osservando in proposito che all’epoca della emissione della prima misura, nell’ambito del processo (OMISSIS), non sussisteva un compendio indiziario che autorizzasse l’emissione di una ordinanza custodiale per l’omicidio C.A. poichè gli indizi allora emergenti (in sostanza le dichiarazioni di N.N. in data 24.9.1996 e in data 4.2.1997 e la chiamata in correità di V.G. in data 4.2.1997) non raggiungevano la soglia richiesta dall’art. 273 c.p.p. che si era invece concretizzata nel 2005 attraverso la confessione e chiamata in correità di V.F., la chiamata in reità di V. F., la confessione e chiamata in correità di G. F., la chiamata in reità de relato di T.F., le chiamate in reità generiche di B.N. e P. F. ed infine la chiamata in reità de relato di P. R. con fonte diretta in A.A. partecipante all’azione criminoso.
4 – Ha proposto ricorso per cassazione la difesa del C.G. lamentando che fra i reati contestati nell’ambito dei procedimenti (OMISSIS) vi era connessione qualificata poichè l’omicidio (contestato con la seconda ordinanza) era stato commesso al fine di agevolare la operatività della associazione mafiosa, così da integrare reato fine della associazione e comunque erano già desumibili agli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, gli elementi indiziari che avrebbero autorizzato la emissione della ordinanza per l’omicidio C.A. alla stregua di una chiamata in correità e di una chiamata in reità de relato nonchè di ulteriori dati di carattere fattuale e documentale avrebbero autorizzato un provvedimento restrittivo anche per l’omicidio C.A.; e ciò tanto più che il Pubblico Ministero era la stessa persona fisica per entrambi i processi, così da potersi ritenere che il P.M. avesse scelto discrezionalmente di non procedere immediatamente alla iscrizione del C.G. nel registro degli indagati anche con l’omicidio C.A..
5 – Il ricorso è infondato.
Il caso in esame riguarda la possibilità di retrodatazione, a norma dell’art. 297 c.p.p., comma 3, ai fini della decorrenza degli effetti della custodia cautelare, nella ipotesi di più ordinanze applicative di misure cautelari per fatti diversi in procedimenti diversi.
Il ricorrente prospetta la tesi per cui la retrodatazione opererebbe in ogni caso, indipendentemente dal fatto che si tratti di misure cautelari disposte in diversi procedimenti, qualora sussista connessione qualificata fra i diversi procedimenti e comunque, anche indipendentemente dalla connessione qualificata, se al momento della emissione della prima ordinanza sussistono gli elementi probatori per emettere la seconda.
6 – In proposito è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 21957 del 22.3.2005, con cui ha risolto un precedente contrasto giurisprudenziale, fissando alcuni punti fermi per la soluzione della controversa questione riguardante più aspetti del problema della retrodatazione della decorrenza del termine massimo di custodia cautelare, qualora nei confronti di un imputato siano emesse una pluralità di ordinanze di custodia cautelare.
L’art. 297 c.p.p., comma 3, – che disciplina il cd. divieto di contestazioni a catena – stabilisce che "Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benchè diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dalla data in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave". La stessa norma poi aggiunge che "La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma".
Con tale disposizione, modificata con la riforma di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 12, il legislatore, integrando la pregressa disciplina che prevedeva la retrodatazione automatica del dies a quo dei termini di custodia cautelare al momento di adozione della prima misura nel caso di contestazioni successive, relative al medesimo fatto, ovvero a fatti integranti una ipotesi di concorso formale, ivi comprese le ipotesi di aberratio ictus o delicti, nell’ambito di una regolamentazione più garantista della materia ha aggiunto il divieto di contestazione a catena anche per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione qualificata, al fine di evitare un illegittimo prolungamento dei termini di custodia cautelare in conseguenza del comportamento del Pubblico Ministero che diluisca nel tempo le contestazioni per reati connessi allorchè risulti che gli elementi per emettere la nuova misura erano già desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il primo reato.
La Corte di Cassazione a sezioni unite, con la sentenza n. 21957/2005, ritenendo che il novellato art. 297 c.p.p., comma 3, come sostituito dalla L. n. 332 del 1995, art. 12, avesse voluto introdurre un aumento dei casi di retrodatazione automatica, ha operato una ulteriore interpretazione adeguatrice della disposizione, in senso sempre più garantista, in particolare affermando che, nel caso di reati diversi legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica, commessi ovviamente in momento anteriore alla prima ordinanza, la retrodatazione delle misure disposte con le ordinanze successive opera indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti la esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure e che opera pure nei casi in cui non sussista la connessione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, se al momento della emissione della prima ordinanza erano desumibili dagli atti gli elementi che avevano giustificato le ordinanze successive (con la precisazione che il suddetto principio non si applica con riferimento a misure cautelari disposte in procedimenti diversi). Non solo, ma ha ritenuto la operatività della retrodatazione pure rispetto ai fatti oggetto di un diverso procedimento, in relazione ai quali esista peraltro una connessione qualificata, se questi erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o per i fatti oggetto della prima ordinanza (nell’affermare tale principio la Corte ha precisato che quello previsto dall’art. 297 c.p.p., comma 3, è l’unico caso in cui opera la regola della retrodatazione per fatti oggetto di procedimenti diversi).
7 – Successivamente alla suddetta sentenza è intervenuta sul punto anche la Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 408 del 24 ottobre 2005, pur dando atto della interpretazione adeguatrice della Corte di legittimità, ha escluso che l’orientamento espresso da ultimo dalla sezioni unite costituisse diritto vivente ed ha quindi dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza (pur dando atto della peculiarità della fattispecie sottoposta al suo esame per cui, trattandosi di un giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di Cassazione, i giudici remittenti erano vincolati al principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, nel caso specifico opposto a quello seguito dalle sezioni unite con la sentenza n. 21957 del 2005).
Anche la Corte Costituzionale ha quindi ritenuto che, in ipotesi di connessione non qualificata, l’esclusione della retrodatazione risulti ingiustificata soltanto nel caso in cui, al momento della emissione della prima ordinanza, erano già desumibili dagli atti gli elementi che avevano legittimato l’emissione delle ordinanze successive. Ed ha all’uopo rilevato che in una cornice normativa attenta a calibrare l’intera disciplina dei termini di durata delle misure limitative della libertà personale e di quelle custodiali in particolare, sulla falsariga dei valori della adeguatezza e della proporzionalità, nessuno spazio poteva residuare in capo agli organi titolari del potere cautelare di scegliere il momento a partire dal quale potevano essere fatti decorrere i termini custodiali in caso di pluralità di titoli e di fatti reato cui essi si riferivano. Se dunque il legislatore ha ritenuto di dovere stabilire meccanismi legali di retrodatazione automatica nel caso in cui sussista il nesso di connessione qualificata, a maggior ragione l’identico regime di garanzia dovrà operare – sempre secondo la Corte Costituzionale – in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti custodiali essere adottati in un unico contesto temporale, la autorità giudiziaria, per qualsiasi causa, abbia invece prescelto momenti diversi per la adozione delle singole ordinanze, facendo così dipendere la durata della custodia cautelare non da un dato obiettivo, quale quello della acquisizione degli elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari, bensì da una imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere cautelari.
Resta in tal modo confermato che, nel caso di assenza di connessione qualificata, la mancanza di desumibilità degli elementi per emettere la seconda ordinanza al momento della emissione della prima, esclude la possibilità di operare la retrodatazione, sulla base di elementi oggettivi, non rimessi all’arbitrio del Pubblico Ministero e che invece spetta al giudice valutare al fine di stabilire se la contestazione frazionata dei singoli reati sia frutto di una scelta strategica del Pubblico Ministero ovvero sia effettivamente imposta dalla non desumibilità dagli atti degli elementi per emettere la seconda ordinanza al momento della emissione della prima. La presenza o meno di connessione qualificata integra infatti un elemento specializzante della fattispecie, che costituisce la ratio della diversità di disciplina poichè, in caso di connessione qualificata, è possibile un rinvio a giudizio unitario nello stesso procedimento, il che giustifica che si dia rilievo alla conoscibilità dagli atti degli elementi giustificativi delle ulteriori ordinanze al momento del rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza, mentre invece al di fuori di tale connessione i procedimenti devono restare separati, se non è stato possibile emettere una unica ordinanza in un unitario contesto temporale (artt. 15 e 17 c.p.p.).
Con la ulteriore conseguenza che resta irrilevante, in tale secondo caso, la desumibilità dagli atti degli elementi giustificativi delle ordinanze successive al momento della emissione del primo rinvio a giudizio, poichè, in assenza di connessione qualificata, non sarebbe stato comunque giustificato un unitario rinvio a giudizio, non attuabile nel caso di procedimenti diversi, per reati non connessi e per cui gli elementi giustificativi delle successive misure siano emersi in tempi diversi e successivi rispetto al momento di emissione della prima misura.
8 – La Corte di Cassazione è poi nuovamente intervenuta, in epoca ancora più recente, sempre a sezioni unite, con la sentenza 19.12.2006 nel caso Librato con cui ha ribadito il principio che la retrodatazione dei termini di durata di custodia cautelare a norma dell’art. 297 c.p.p., comma 3, non opera rispetto a provvedimenti emessi in procedimenti diversi non collegati da connessione qualificata e che comunque, anche in caso di comprovata connessione qualificata, opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza.
In tale caso la retroazione, come ha riconosciuto la Corte Costituzionale, costituisce infatti un rimedio rispetto ad una scelta indebita della autorità giudiziaria, sia nel caso in cui la scelta sia avvenuta procrastinando, nell’ambito di uno stesso procedimento, l’adozione della misura, sia nel caso in cui essa sia avvenuta procrastinando l’inizio del secondo procedimento o tenendolo separato dal primo, come può avvenire per esempio, non iscrivendo tempestivamente o separando alcune notizie di reato, ricevute o acquisite di propria iniziativa dal Pubblico Ministero.
Non giustifica invece, di per sè, la retrodatazione, perchè non è indicativa di una scelta indebita, la circostanza che l’ordinanza emessa nel secondo procedimento si fondi su elementi già presenti nel primo, poichè in molti casi gli elementi probatori non manifestano immediatamente ed in modo evidente la loro rilevanza e spesso devono essere interpretati; per cui il solo fatto che essi fossero già in possesso degli organi delle indagini non dimostra che questi ne avessero individuato tutta la loro portata, mentre si deve escludere in linea di massima che la separazione sia frutto di una scelta indebita del Pubblico Ministero quando i procedimenti nascono da diverse notizie di reato (v. sentenza Librato).
9 – Orbene il provvedimento del GIP, confermato dal Tribunale in sede di appello, ha fatto corretta applicazione della interpretazione giurisprudenziale più garantista ed è del tutto in linea con la sentenza della Corte Costituzionale n. 408/2005, avendo ritenuto che, in difetto di connessione qualificata, ritenuta insussistente nel caso in esame, non potesse operare la retrodatazione. Nè la valutazione di puro merito espressa dal Tribunale sulla insussistenza della connessione qualificata prevista dall’art. 12, comma 1, lett. b) e c), limitatamente al caso di reati commessi in esecuzione di un medesimo criminoso ovvero gli uni per eseguire gli altri, può essere posta in contestazione in questa sede attraverso il rilievo che si sarebbe trattato in tutti i casi di delitti di mafia commessi per agevolare la attività della cosca poichè la configurabilità del vincolo della continuazione fra la associazione criminale ed i singoli reati commessi nell’ambito della associazione è tutt’altro che automatica ed in ogni caso si tratta di una "quaestio facti" la cui soluzione è rimessa all’apprezzamento esclusivo del giudice di merito (v. per tutte Cass. Sez. 6, n. 1474 del 14.5.1997);
apprezzamento nella specie incensurabile e comunque ampiamente condivisibile poichè neppure in sede di ricorso è stato portato alcun elemento concreto idoneo a giustificare la pretesa connessione qualificata al di fuori della prospettazione – erronea in diritto – per cui sussisterebbe automaticamente il nesso teleologico fra la associazione mafiosa ed i reati fine diretti a favorire a l’operatività del sodalizio.
Esclusa la continuazione, su cui non insiste neppure il ricorrente, non può invero ritenersi che l’omicidio di mafia sia stato commesso per "eseguire il reato di associazione mafiosa", se non altro perchè, ai fini della connessione teleologica, sarebbe eventualmente l’omicidio, commesso dopo la associazione, a costituire il reato fine, che però, per potere rilevare ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. c), richiamato dall’art. 297 c.p.p., comma 3, deve essere già presente nella mente dell’agente, quando commette il reato alla cui perpetrazione il reato mezzo è preordinato, con chiarezza tale da consentire almeno l’identificazione della sua fisionomia giuridica (v. per tutte Cass. n. 4751 del 1990, rv. 183912); il che è stato ritenuto escluso in fatto dalla ordinanza impugnata con motivazione incensurabile in questa sede. Neppure la produzione della pagina 7 dell’ordine custodiale relativa alla operazione (OMISSIS), allegata dal ricorrente all’attuale ricorso a dimostrazione del fatto che gli omicidi M. e Ma. sarebbero stati contestati a certo indagato P. al fine di eseguire il delitto associativo mafioso attinente alla cosca Perna Pranno in conflitto con un clan avverso, può essere utile in proposito poichè, a parte il rilievo che si tratta di altro indagato e di altri omicidi, esiste un arresto giurisprudenziale consolidato per cui resta esclusa la ipotesi di connessione prevista dall’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), proprio ai fini della applicazione dell’istituto della retrodatazione nel caso di omicidi commessi da appartenenti ad una associazione mafiosa nell’ambito di una guerra di mafia con altra similare organizzazione (v., per tutte, Cass. 26.3.1998, Cavallo, rv. 210391; Cass. 25.1.2000, Battaglia; Cass. 15.2.2001, Carannante, rv. 218872).
10 – Manca in ogni caso nella fattispecie in esame anche la prova che gli elementi per emettere la nuova misura fossero desumibili dagli atti prima della emissione della prima misura, avendo la ordinanza del GIP, di cui quella impugnata è integralmente confermativa, dato contezza degli elementi su cui ha basato la valutazione della emergenza degli elementi indizianti, a carico del C.G., in ordine all’omicidio C.A., che viene qui in considerazione, in epoca ben successiva alla emissione della prima ordinanza custodiale nel processo (OMISSIS), poichè in precedenza esisteva qualche elemento indiziante già noto agli inquirenti, ma soltanto nel 2005, ben dopo il rinvio a giudizio nel processo (OMISSIS), erano iniziate le esternazioni di propositi collaborativi, divenendo solo in data recente elementi tecnicamente apprezzabili a carico del C. G.. Nè spetta a questa Corte la rilettura delle dichiarazioni dei collaboratori e delle ordinanze custodiali al fine di verificare se sia condivisibile o meno la valutazione degli atti offerta dal Tribunale, essendo tale compito demandato al giudice di merito e non avendo comunque il ricorrente evidenziato alcuna palese illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, limitandosi ad asserire apoditticamente che le fonti accusatorie nel processo (OMISSIS) erano sufficienti per la emissione di una ordinanza custodiale anche in ordine all’omicidio C.A..
11 – A tale stregua mancano di pregio le doglianze espresse dal ricorrente, dovendosi riconoscere che nel caso in esame è stata correttamente esclusa la retrodatazione della seconda ordinanza cautelare.
12 – Il ricorso deve essere in conseguenza rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La cancelleria provvedere all’adempimento previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa, a cura della cancelleria, al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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