Cass. pen., sez. II 31-03-2008 (06-03-2008), n. 13477 Omissione – Nullità – Natura – Conseguenze.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Il difensore di P.G. ricorre avverso la sentenza sopra indicata che ha accertato la responsabilità del prevenuto in ordine al delitto continuato di falso e ricettazione di una carta di identità di provenienza furtiva utilizzata in periodo di latitanza (artt. 81, 496 cod. pen., art. 61 cod. pen., n. 2, artt. 110, 477, 482, 648 cod. pen., art. 99 cod. pen., commi 2 e 4). Il giudice di merito ha valutato la prevalenza della recidiva e dell’aggravante sulla attenuante di cui all’art. 62 cod. pen., n. 4, riconosciuta con riferimento al delitto di ricettazione ed ha irrogato la pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione ed Euro 1.100,00 di multa.
Il ricorrente deduce violazione dell’art. 415 bis cod. proc. pen., per omesso avviso di conclusione di indagini preliminari, della udienza preliminare e del giudizio di primo grado, negando di avere in data 8.8.01 eletto domicilio presso lo studio del nominato avvocato Mauro Valentino del foro di Napoli. Con altro motivo deduce la non punibilità del falso trattandosi di documento alterato in maniera grossolana. Deduce che la concessione dell’attenuante comporta la valutazione della ricettazione come di particolare tenuità ai sensi dell’art. 648 cod. pen., comma 2. Deduce ancora l’insussistenza della aggravante di cui all’art. 61 cod. pen., n. 2, nonchè difetto di motivazione in ordine al diniego di attenuanti generiche e determinazione della pena non nel minimo edittale.
L’eccezione di nullità relativa alla violazione dell’art. 415 bis cod. proc. pen., è tardivamente proposta in quanto la nullità conseguente all’omessa notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini non integra una nullità assoluta ed insanabile perchè non riguarda la citazione dell’imputato stesso, le cui facoltà difensive non risultano limitate nel corso dell’intero dibattimento. Trattasi di nullità a regime intermedio, con la conseguenza che essa doveva essere eccepita o rilevata d’ufficio fino alla deliberazione della sentenza di primo grado (Cass. 6^, 3.11.05 n. 44960 depositata 7.12.05, rv. 233062).
Le doglianze concernenti vizi di notificazione sono manifestamente infondate in quanto l’imputato in data 8.8.01 ha eletto domicilio presso il difensore ove furono effettuate rituali notifiche.
Anche il gravame relativo ad una pretesa grossolanità è inammissibile avendo il giudice di merito non illogicamente escluso macroscopiche ipotesi di falso che nella fattispecie riguardava la sola marca di concessione, dato che non provoca immediato sospetto di non autenticità.
Nè può in qualche modo prospettarsi violazione di legge in una motivata esclusione di ipotesi attenuata, per la cui valutazione sono rilevanti tutti gli elementi integrativi del fatto reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, accertando che il fatto non fu di modesta rilevanza criminosa in considerazione della negativa personalità dell’imputato e della finalità della ricettazione (Cass. 6^ 2.4.98 n. 4067, ud. 19.11.97, rv. 210208; Cass. 2^ 15.5.97 n. 2667, c.c. 9.4.97, rv. 207833; Cass. 1^ 7.7.95 n. 7610, ud.
29.3.95, rv. 202295).
Le doglianze relative alla aggravante del nesso teleologico sono inammissibili in quanto i due delitti sono palesemente finalizzati a procurarsi l’impunità dai reati in ordine ai quali era colpito da provvedimento di carcerazione.
Il ricorso relativo alle attenuanti ed alla entità della sanzione è manifestamente infondato in quanto il giudizio sulla quantificazione della pena e sulle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi esaurientemente compiuto con il porre in risalto anche una sola delle circostanze suscettibili di valutazione. Nel caso specifico la motivazione è stata esposta con riguardo ai numerosi precedenti penali ed all’assenza di resipiscenza, non essendo il giudice comunque tenuto a considerare in maniera analitica i singoli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., esponendo per ciascuno di questi le rispettive ragioni che lo hanno indotto a formulare il proprio conclusivo giudizio (Cass. 2^ 2.9.00 n. 9387, ud. 15.6.00, rv.
216924).
L’impugnazione è pertanto inammissibile a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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