Cass. pen., sez. II 26-03-2008 (19-03-2008), n. 12750 Riciclaggio – Prevenzione – Limitazione all’uso del contante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 7.1.2003, il Tribunale di Genova dichiarò T. G. responsabile del reato di ricettazione di un modulo per assegno compendio di furto e – concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva – lo condannò alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 14.7.2004, confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:
1. violazione della legge processuale in quanto in primo grado fu dichiarata la contumacia dell’imputato benchè lo stesso fosse detenuto presso la propria abitazione in espiazione di pena, il che integrerebbe una nullità assoluta;
2. vizio di motivazione in ordine alla nullità di cui all’art. 525 c.p.p., comma 2 non avendo la Corte territoriale pronunziato in ordine alla nullità conseguente all’utilizzo ai fini della decisione di prove acquisite da giudice che si era successivamente astenuto (avendo svolto funzioni di P.M. nello stesso procedimento);
3. erronea applicazione dell’art. 648 cod. proc. pen. in quanto un singolo assegno bancario dovrebbe essere considerato carta di pagamento e la ricezione dello stesso, quando di provenienza illecita integrerebbe il reato di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 12.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, dal momento che, come ha rilevato la Corte territoriale, non risultava agli atti la detenzione domiciliare dell’imputato e questi non informò il giudice dello stato di detenzione.
Essendo stato l’imputato citato regolarmente mentre si trovava in stato di libertà avrebbe dovuto attivarsi per informare il giudice procedente del suo stato di detenzione.
Infatti questa Corte ha affermato che "è legittima la celebrazione del giudizio in contumacia di imputato detenuto per altra causa non risultante dagli atti quando la causa dell’impedimento a comparire sia imputabile alla condotta dello stesso detenuto che non abbia reso possibile la tempestiva traduzione alla sede dell’Ufficio procedente come nel caso di ritardata comunicazione dello stato di detenzione, effettuata solo all’udienza". (Cass. Sez. 5 sent. n. 2119 del 4.2.1997 dep. 6.2.1997 rv 207004. Nella fattispecie l’imputato, al quale era stato notificato "in stato di libertà" il decreto di citazione, veniva successivamente arrestato per altra causa e per negligenza ometteva di attivarsi tempestivamente presso l’autorità giudiziaria procedente – che non conosceva nè poteva conoscere il sopravvenuto stato di detenzione – di guisa che fosse disposta la sua traduzione all’udienza fissata. Ha precisato in tal senso la Corte che i concetti di assoluta impossibilità, forza maggiore, etc. sono incompatibili con la mancata adozione di quel minimo di diligenza – avvisare tempestivamente l’autorità procedente – che eliminerebbe qualsiasi ostacolo alla partecipazione al giudizio dell’imputato, il quale ragionevolmente non può ignorare che l’autorità procedente non conosce il sopravvenuto stato di detenzione e quindi non disporrà la traduzione. Ha precisato peraltro la Corte che se lo stato di detenzione "sopravviene" a ridosso della data fissata per l’udienza, non consentendo, quindi, all’imputato di attivarsi tempestivamente per la traduzione, in tal caso la situazione potrà essere fatta presente anche all’udienza e determinerà l’obbligo del giudice di rinviare ad altra udienza alla quale l’imputato dovrà essere "tradotto").
Il secondo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.
E’ generico in quanto non sono indicate quali prove sarebbero state assunte dal giudice che si era poi astenuto, non rinnovate ed utilizzate senza il consenso delle parti.
D’altro canto, non essendo state tali doglianze dedotte nei motivi di appello (ciò non risultando dal testo della sentenza impugnata e non essendo diversamente allegato nel ricorso) nessuna motivazione la Corte territoriale doveva esprimere, non avendo rilevato d’ufficio alcuna nullità o inutilizzabilità.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte ha affermato che un assegno non rientra nelle previsioni di cui al D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12 convertito con L. 5 luglio 1991, n. 197, neppure nell’ipotesi in cui sia accompagnato dalla esibizione di una carta assegni: "In tema di reati concernenti la falsificazione e l’illecita acquisizione o utilizzazione di carte di credito o di pagamento e documenti che abilitano al prelievo di danaro contante (D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12, conv. in L. 5 luglio 1991, n. 197), l’Eurocheque, nonostante il suo nesso strumentale con la carta di riconoscimento del titolare – la quale garantisce il pagamento al primo prenditore – non può essere assimilato, per la sua natura di titolo di credito, agli ordini di pagamento prodotti unitamente ad un documento che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, di cui alla disposizione predetta. Ne deriva che la ricezione di Eurocheques provenienti da delitto integra il reato di ricettazione e non l’ipotesi criminosa prevista dalla legge speciale". (Cass. Sez. 2 sent. n. 1741 del 9.4.1999 dep. 21.4.1999 rv 213153. Nell’occasione la Corte ha precisato che la carta di riconoscimento non rappresenta un documento che autonomamente costituisce strumento di pagamento e che ad essa non può pertanto farsi riferimento per attribuire agli assegni, in contrasto con la loro peculiare caratteristica dell’astrattezza, la funzione di meri ordini di pagamento).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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