Cass. pen., sez. I 25-03-2008 (06-03-2008), n. 12713 Liberazione anticipata – Possibilità di concessione anche nei casi di collegamento del condannato con la criminalità organizzata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con ordinanza in data 26 giugno 2007 il Tribunale di Sorveglianza di Lecce ha respinto il reclamo presentato dal Pubblico Ministero contro la ordinanza 10 aprile 2007 del Magistrato di Sorveglianza in sede che aveva concesso a S.V. la liberazione anticipata per i semestri di pena espiata dal 16 dicembre 2005 al 16 dicembre 2006 con riferimento al provvedimento di cumulo n. 296/05 R.E.S. emesso dalla Procura della Repubblica di Lecce.
Il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto irrilevante la segnalazione da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di elementi che ipotizzavano un collegamento di S.V. con la criminalità organizzata dedita al traffico di stupefacenti, con riguardo in particolare alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia C.F. che lo aveva inserito in tale organizzazione, rilevando da un lato che lo S. non risultava avere riportato condanne di natura associativa, e, da altro lato, che a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia non risultava aperto alcun procedimento penale a carico del condannato nè emergevano indizi o elementi di fatto tali da fare ritenere che avesse mantenuto i rapporti con la criminalità organizzata.
Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce lamentando: erronea applicazione dell’art. 4 bis, u.c., con riferimento all’art. 54 dell’ordinamento penitenziario, poichè si trattava di comunicazione di iniziativa del Procuratore Distrettuale Antimafia proprio per i casi di condanna per delitti diversi da quelli previsti dal primo comma dell’art. citato;
la esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata che si poneva come ostativa dei benefici penitenziari non doveva essere assistita da una prova del tipo di quella richiesta per il giudizio di cognizione, essendo invece sufficienza la presenza di elementi di fatto da cui i predetti collegamenti potevano essere logicamente desunti.
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Il ricorso è fondato.
Il comma 3 bis dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, introdotto dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, contiene, per il caso in cui la Procura Nazionale ovvero la Procura Distrettuale Antimafia segnalino la attualità di collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, una preclusione assoluta alla applicazione di tutte le misure alternative alla detenzione previste dal capo 6^ del titolo 1^ dell’ordinamento penitenziario, fra cui è contenuta anche, all’art. 54, la liberazione anticipata. Tale ultima misura è invece espressamente esclusa dal novero dei benefici che non possono essere concessi, ai sensi del comma 1, prima parte, dello stesso art. 4 bis, ai condannati per delitti commessi avvalendosi ai fini dell’art. 416 bis c.p. e per altri gravissimi reati, salvo che non collaborino con la giustizia; il che significa che, quanto alle diverse situazioni previste dal primo comma, prima parte, il legislatore ha voluto consentire a tali condannati la possibilità di usufruire dalla liberazione anticipata, esclusa invece, unitamente a tutti gli altri benefici penitenziari, per le diverse situazioni menzionate nel comma 3 bis che viene in considerazione nel caso in esame (detenuti o intervenuti per delitti dolosi di qualsiasi tipo quando il Procuratore Nazionale Antimafia o il Procuratore Distrettuale comunica la attualità di collegamenti del condannato con la criminalità organizzata).
In tal senso è anche la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la quale ha ripetutamente ritenuto che la esclusione, espressamente prevista dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis, comma 1 della liberazione anticipata dalle limitazioni in esso contemplate, non è estensibile, per analogia, al divieto, stabilito dall’ultimo comma del citato art., di tale concessione nel caso di ritenuto collegamento dell’interessato con la criminalità organizzata (v.
Cass. 9.3.1993 n. 892, Rv. 194688; n. 1030 del 1993 Rv. 193947; n. 2417 del 1993 Rv. 195512; n. 2905 del 1992 Rv. 194626; n. 4421 del 1993 Rv. 195595; n. 805 del 1994 Rv. 196806; n. 2862 del 1993 Rv.
226956; n. 38270 del 2005 Rv. 232460).
Nè ciò appare irragionevole alla stregua della circostanza che la liberazione anticipata non porta il condannato immediatamente in contatto con l’esterno, al contrario degli altri benefici penitenziari, poichè comunque anche la liberazione anticipata, riducendo la misura della pena da scontare, comporta o può comportare una rimessione in libertà o quanto meno una rimessione in libertà anticipata e cioè il raggiungimento dello scopo che la norma intende prevenire per coloro che conservano collegamenti con la criminalità organizzata.
La interpretazione della norma applicabile nel caso in esame, da parte del Tribunale di Sorveglianza, è stata quindi erronea ed in difformità ad una giurisprudenza di legittimità priva di qualsiasi contrasto stante anche la chiarezza della norma che ha voluto escludere qualsiasi beneficio per i condannati o internati per delitti dolosi, di qualsiasi tipo, per i quali sia segnalata la persistenza di collegamenti con la criminalità organizzata.
Quanto al secondo profilo del ricorso, la ordinanza impugnata, pur dando atto della segnalazione della DDA e delle recenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia C. in ordine alla attualità della partecipazione dello S. alla attività associativa criminale, ha ritenuto tali dichiarazioni generiche e come tali non valutabili perchè non riscontrate da un provvedimento custodiale nei confronti dello S.. Occorre però rilevare sul punto che la prova nel procedimento di sorveglianza è rimessa alla attività officiosa del giudice e che non deve avere la consistenza richiesta per la prova nel giudizio penale di cognizione, potendo invece atteggiarsi anche in modo diverso. In particolare è pacifico che la magistratura di sorveglianza possa avvalersi degli accertamenti compiuti dalla autorità di pubblica sicurezza o dalla polizia penitenziaria e basarsi anche su elementi, come le informazioni di organismi giudiziari specializzati, da cui si possono trarre elementi utili al fine di valutare la partecipazione del condannato all’opera di rieducazione e la persistenza o meno di collegamenti con la criminalità organizzata nonostante la detenzione.
Anche sotto tale aspetto la motivazione del provvedimento del Tribunale di Sorveglianza è perciò erronea poichè non ha valutato gli elementi emergenti dalla informativa della DDA ritenendoli non confortati da provvedimenti giudiziari assunti nei confronti dello S., senza peraltro avere assunto specifiche informative in proposito (avendo fatto invece riferimento soltanto al certificato penale che tale informative non contiene) e senza considerare che gli elementi suddetti devono essere esaminati anche se non sfociati in provvedimenti custodiali o giudiziari.
L’ordinanza impugnata deve essere in conseguenza annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Lecce il quale si atterrà ai sopraindicati principi di diritto.
P.Q.M.
LA CORTE Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Lecce.

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