Cass. pen., sez. II 20-03-2008 (04-03-2008), n. 12456 Estorsione – Criteri di applicabilità – Fondamento.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
I difensori di U.S., D.D., D.G. e P.G. ricorrono avverso la sentenza sopra indicata che ha confermato la responsabilità dell’ U. e del consuocero D. D. in ordine ai delitti di partecipazione all’associazione mafiosa "Cosa Nostra" (capo 1 dell’imputazione art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 6) e tentata estorsione aggravata in danno di due imprenditori cui erano stati affidati lavori di metanizzazione del centro urbano di (OMISSIS) (capo 4, artt. 56 e 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 2, n. 3, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 parti lese D.F. e R. G.), nonchè la responsabilità di P.G. in ordine a due fattispecie di estorsione aggravata in danno di una imprenditrice agricola, costituitasi parte civile (capi 7 e 8 art. 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 2, n. 3, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7). La stessa decisione, in riforma della decisione di assoluzione perchè il fatto non sussiste, adottata dal Gip sede di giudizio abbreviato, ha riconosciuto inoltre la colpevolezza dell’ U., del D. D. e del figlio di costui, D.G. in ordine al delitto di tentata estorsione aggravata in danno della società Congas, aggiudicataria di lavori di metanizzazione di vari paesi dislocati tra (OMISSIS) (capo 5, artt. 56 e 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 2, n. 3, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7). E’ stata confermata la confisca in danno dell’ U. di denaro contante per l’importo di Euro 15.560 e di titoli del valore di Euro 140.892,15.
I difensori di U.S. deducono violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla prova di responsabilità per il delitto associativo, non risultando elementi probatori indicanti condotte idonee ad integrare la t partecipazione a "Cosa Nostra" con posizione di vertice in epoca successiva al precedente giudicato che ha accertato la partecipazione dell’ U. sino al 7.2.83. Deducono che le dichiarazioni accusatorie del G. si riferiscono agli anni 1980 mentre "quanto affermato in merito ad una posizione gestionale dell’ U. nell’ambito dell’azienda presso cui lavorava è affermazione priva di riscontro e frutto di sua deduzione personale". Analizzano diffusamente gli elementi indicati dalla corte territoriale come riscontri alla chiamata di correo evidenziandone la non attendibilità e la non concludenza precipuamente sminuendo il significato delle intercettazioni, la valenza l’altra chiamata di correo di F.S. ed il contenuto dei "pizzini" del capo mafia Pr.Be.. Contestano inoltre la sussistenza delle aggravanti del delitto associativo. Deducono gli stessi vizi di legge con riferimento al delitto estorsivo tentato di cui al capo 4 rappresentano l’illogicità della valenza che i giudici di merito hanno conferito alla intercettazione ambientale del 26.1.04 e a quella precedente del 19.5.03, non essendo stato "esaurientemente affrontato il problema dell’attendibilità generale delle dichiarazioni del R.", imprenditore parte lesa sospetta per rapporti di vicinanza con il contesto mafioso locale. Con altro motivo di gravame ricorrono avverso il riconoscimento di colpevolezza relativo alla tentata estorsione di cui al capo 5 non avendo il giudice di appello accertato il concreto apporto causale alla vicenda da parte dell’ U. che certamente non ebbe alcun ruolo nella intimidazione che effettivamente subì la società Congas con la collocazione di una calza contenente cartucce su un escavatore di quella ditta. Negano che la presunta attività di vigilanza che il ricorrente avrebbe ordinato da attuarsi sul cantiere della Congas possa in qualche modo ritenersi espressione di attività estorsiva, in quanto la Congas si sarebbe "messa a posto" a (OMISSIS), non essendovi prova di accordi estorsivo tra gli esponenti di (OMISSIS) e i dirigenti della società. Eccepiscono violazione di legge con riferimento al diniego di attenuanti generiche, alla determinazione della pena ed alla confisca disposta con motivazione non adeguata essendo stata dimostrata la liceità della provenienza dei valori in considerazione della dimostrata attività lavorativa.
Il difensore di D.D. deduce violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento alla dichiarazione di responsabilità per il delitto associativo fondata sulle dichiarazioni accusatorie del G. non sorrette da riscontri individualizzanti che pongono il prevenuto come appartenente alla cosca di (OMISSIS), negando valenza alle ulteriori dichiarazioni del F., rilevando la genericità dei riferimenti a conversazioni con il consuocero U., conversazioni dalle quali non emerge un effettivo interessamento a vicende verificatesi in paese ed oggetto di mere discussioni. Deduce gli stessi vizi della decisione in ordine alla tentata estorsione in danno dei due imprenditori, rilevando che dalla intercettazione del 19.5.03 si evince unicamente il malcontento del ricorrente e dell’ U. per avere il D.F. assunto manovalanza proveniente da altri paesi, dato che non prova l’avere posto in essere minacce anche implicite. Quanto al delitto di cui al capo 5, rileva l’insussistenza di comportamenti integranti minaccia, essendo comunque l’appello del P.M. inammissibile perchè anche se con la forma del ricorso convertito in appello ha avuto per oggetto doglianze di merito che la corte territoriale non doveva considerare avendo il suo giudizio un contenuto di legittimità e non di rivalutazione del fatto, così come accertato dal primo giudice che ha escluso la sussistenza del fatto nei suoi elementi costitutivi.
Il difensore di D.G., prevenuto riconosciuto responsabile del solo delitto tentato in danno della società Congas, deduce violazione di legge e difetto di motivazione della sentenza che, in difetto di ogni correlazione tra l’atto intimidatorio effettivamente subito dalla società parte lesa e la condotta degli imputati, ha supposto un apporto causale non definito, non essendovi prova di accordi estorsivi nè "di eventuali interlocuzioni di natura estorsiva a (OMISSIS)".
Il difensore di P.G. deduce violazione di legge e difetto di motivazione dell’affermazione di colpevolezza fondata sulla sola presenza del prevenuto che ebbe ad accompagnare il padre a ritirare i sacchi di frumento da costui richiesti a T. G.. Osserva che "l’assoluto silenzio" prestato dal prevenuto esclude minacce nella condotta del ricorrente, essendo l’episodio della minaccia con il coltello in danno della moglie del T. stato posto in essere, secondo l’accusa dal solo P. M.. Con altri motivi deduce l’insussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e lamenta la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, essendo il valore dei sacchi richiesti di circa 50,00 Euro.
U.S. è deceduto in data 2.11.07, come da certificato anagrafico in atti. Conseguente l’annullamento senza rinvio della decisione pronunciata nei suoi confronti per l’improcedibilità dell’azione penale per morte dell’imputato, non sussistendo ipotesi che conducano ad una diversa formula di proscioglimento alla luce della motivazione di responsabilità indicata nella decisione oggetto di ricorso.
Il ricorso presentato nell’interesse di D.D. con riferimento al delitto associativo è inammissibile non essendo in questa sede censurabili gli accertamenti del giudice di merito che ha rilevato che le dichiarazioni accusatorie di G. che indicano nel D.D. "la persona più influente di (OMISSIS)" deputato a mantenere i contatti con le cosche dei paesi limitrofi hanno riscontro sia in quelle del F. con i riferimenti fattuali indicati alla pagina 14 della sentenza di appello, mentre non possono essere diversamente valutate le conversazioni intercettate in quanto l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Cass. 5^ 3.12.97 n. 5487, ud. 28.1.98, rv. 209566; Cass. 6^ 12.12.95 n. 5301, ud. 4.6.96, rv. 205651). Con riferimento al vizio di motivazione si ricorda che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6^ 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).
Il ricorso presentato dal D.D. con riferimento alla tentata estorsione in danno dei due imprenditori di cui al capo 4 dell’imputazione è inammissibile in quanto sono reiterate acriticamente le doglianze già proposte in sede di appello e confutate dal giudice di merito che alle pagine 8, 9 e 10 analizza compiutamente il contenuto delle conversazioni del 14.2.03 e del 19.5.03, l’inserimento del R.G., a sua volta vittima del tentativo di estorsione, conversazione nelle quali i prevenuti "si dilungano sulle iniziative da intraprendere per conseguire le dovute tangenti". La valutazione dei fatti è quindi esaustiva a fronte di mera negativa da parte del ricorrente.
Con riferimento alle doglianze espresse dai ricorrenti riconosciuti in grado di appello colpevoli della tentata estorsione di cui capo 5, deve evidenziarsi la correttezza del principio giurisprudenziale esposto dal ricorrente con i motivi di gravame in quanto il ricorso del P.M. avverso l’assoluzione pronunciata in sede di giudizio abbreviato si converte in appello (Cass. 4^ 11.7.07 n. 39618, depositata 26.10.07, rv. 237986; Cass. 1^ 21.11.03 n. 1299, depositata 20.1.04, rv. 227632) in applicazione dell’art. 580 cod. proc. pen., pur conservando la propria natura di impugnazione di legittimità (Cass. 6^ 25.9.02 n. 42810, depositata 18.12.02, rv.
223788). Questa Corte ha statuito che la Corte di appello deve sindacare l’ammissibilità dell’impugnazione del P.M. secondo i parametri dell’art. 606 cod. proc. pen., ed i suoi poteri di cognizione sono limitati alle censure di legittimità. Tuttavia, una volta che ritenga fondata una di dette censure, la Corte riprende la propria funzione di giudice del merito e può adottare le statuizioni conseguenti, senza necessariamente procedere in via formale all’annullamento della pronuncia di primo grado. Tanto è avvenuto nella concreta fattispecie in cui il giudice di merito con i poteri del giudice di legittimità ha accertato la fondatezza delle censure proposte con riferimento alla motivazione di assoluzione disposta dal giudice di primo grado, rilevando che lo stesso è incorso in una illogicità manifesta sia parcellizzando gli elementi fattuali in danno di una analisi globale e non frammentata degli elementi probatori conducenti all’accertamento di pretese estorsive direttamente avanzate e non corrisposte sia non considerando che indipendentemente dalle modalità della condotta posta in essere, la richiesta mafiosa fu presentata accordando dilazioni per un pagamento che non fu effettuato. Il giudice di appello ha tratto certezza probatoria dalla intercettazione del 25.3.04, venti giorni dopo la fine dei lavori, colloquio intercorso tra D.D. e l’U. in cui i due confermano questi dati di fatto, mentre D. G. ha organizzato quella vigilanza notturna del cantiere che ha avuto conferma nell’annotazione dei Carabinieri. Le doglianze concernenti l’insussistenza della condotta devono quindi essere rigettate.
I primi due motivi di ricorso proposti nell’interesse di P. G. sono inammissibili alla luce del canone di legittimità in ordine al difetto di motivazione prima esposto. Va infatti ribadito che non è censurabile, in quanto non manifestamente illogica, la valutazione di merito che qualifica non occasionale la presenza del prevenuto al momento del ritiro dei sacchi di frumento unitamente al padre autore delle minacce e del precedente colpo di coltello (episodio confermato dalla intercettazione del 12.3.04), atteso il contesto in cui sono stati posti in essere i fatti in una ottica di assoggettamento mafioso di chiunque operasse nel territorio di (OMISSIS), circostanza che correttamente è stata ritenuta integrare la riconosciuta aggravante.
Deve essere rigettato il ricorso avanzato dal P. e relativo al diniego di applicazione del disposto di cui all’art. 62 c.p., n. 4, norma che per i delitti contro il patrimonio attenua la pena ove il danno patrimoniale cagionato alla persona offesa sia "di speciale tenuità". Al riguardo si osserva che per il delitto di estorsione non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la minaccia, atteso che il delitto ha natura di reato plurioffensivo perchè lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto. Da tanto consegue che, in applicazione della seconda parte della disposizione citata, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante (Cass. 2^ 5.9.02 n. 30275, ud. 10.4.02, rv. 222784; Cass. 2^ 30.5.01 n. 21872, ud.
6.3.01, rv. 218795). Nel caso in esame il giudizio di merito relativo alla qualificazione dell’entità del danno deve ritenersi conforme a legge in quanto il concetto quantitativo di "specialmente tenue" utilizzato dalla corte territoriale corrisponde al dato della prescrizione normativa, che richiede una entità del danno assai modesta. La valutazione del giudice del fatto non può inoltre dirsi illogicamente formata perchè già corretta con riferimento al solo dato nummario, non avendo peraltro la Corte di Palermo considerato, come prescritto, l’ulteriore danno conseguente all’aggressione alla libertà ed integrità fisica e morale della parte offesa.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta i ricorsi di D.D., D.G., e P. G., gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di U. S. perchè i reati sono estinti per morte dell’imputato.
Rigetta i ricorsi dei rimanenti ricorrenti che condanna in solido al pagamento delle spese processuali.

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